Con sempre maggior frequenza oggi si parla di educazione ambientale, di riavvicinamento dell'uomo alla natura, per il raggiungimento di un equilibrio complessivo della persona, che fa parte a pieno titolo della natura stessa e quindi da una parte soggiace alle sue leggi, dall'altra deve imparare a rispettarle.

Articoliamo la riflessione in due punti.
 

L'aspetto pedagogico

L'educazione ambientale è uno dei cavalli di battaglia dei moderni programmi pedagogici. Deve essere impostata e gestita secondo alcuni imprescindibili criteri.

La comunicazione, nutrita di molta immagine (pure di buona qualità) ci trasmette milioni di messaggi più o meno subliminali, dove è difficile distinguere l'informazione vera e propria da ciò che mira a creare nuovi bisogni, alimentando ancor di più il nefasto ciclo della "società dei consumi" che, sbandierando successo e libertà da una parte, non si preoccupa più di tanto della distruzione di interi ecosistemi dall'altra. L'educazione ambientale, o meglio la sensibilizzazione ambientale, si pone dunque come un vero e proprio modello educativo, come una grande opportunità per affrontare in modo equilibrato i molteplici aspetti della vicenda umana.

La complessità della "civiltà" moderna è spesso caratterizzata da una schizofrenia generale connessa al susseguirsi frenetico di cambiamenti tecnologici. È ormai ampiamente dimostrato che, nella storia dell'umanità, mai altro uomo come quello del ventesimo e ventunesimo secolo ha vissuto tante trasformazioni tecniche, scientifiche, economiche, politiche e sociali.
E in mezzo a tanta confusione, qual medicina migliore della riscoperta del risveglio primaverile della vegetazione, dell'esplosione delle prime vistose fioriture, di quella fragranza nell'aria che ti dà la voglia di ricominciare, perché vuol dire che la vita va avanti con le regole di sempre?
Ciò che sconcerta è che in un mondo pieno zeppo di strumenti di conoscenza (basta solo citare internet) ci ritroviamo con bimbi di città che non hanno mai visto una gallina "dal vivo".

Bisogna allora "reimparare" i tempi della natura: ci vuole tempo, capacità di osservazione, pazienza, rompendo una forma mentale che si è tradotta in un modus vivendi che non concepisce pause, silenzi, perché bisogna consumare il tempo senza tregua. Ma solo il silenzio permette di ascoltare il "rumore" discreto della natura. Un'efficace sensibilizzazione ambientale parte già dai più piccoli della scuola d'infanzia, dalla conoscenza e dalla valorizzazione dello spazio verde scolastico, che rappresenta la prima importante "palestra verde".

Sono opportune alcune riflessioni in merito.
Quando insegnanti e bambini lavorano per realizzare e mantenere, ad esempio, l'orto didattico, vivono un' "esperienza di fatica" che fa sentire come proprio quel fazzoletto di terra col quale si stabilisce un legame affettivo.
La natura ha i suoi tempi: sistemare razionalmente un'area vuol anche dire saper progettare, avere una visione d'insieme.
L'entusiasmo è una gran cosa, ma bisogna mettere subito in conto che, quando manca, l'attività non si può fermare, ma deve prevalere la costanza dell'impegno, nella logica di una "pedagogia della perseveranza".
Ogni persona coinvolta nell'attività (bimbo o adulto che sia) deve sentirsi veramente "costruttore di ambiente", il senso di appartenenza al gruppo deve essere una realtà viva.
La creatività dei singoli deve potersi esprimere e confluire nel progetto del gruppo.
Per non perdere la memoria storica di ciò che si fa è utile documentare con fotografie e disegni tutte le fasi del progetto, in modo che sia chiaro il percorso pedagogico seguito e le varie fasi delle sua realizzazione concreta.

 
Con poche specie e un disegno semplicissimo si colora il giardino della scuola
Con poche specie e un disegno semplicissimo si colora il giardino della scuola
(Fonte foto: Alberto Vanzo - Associazione Pubblici Giardini)

 

L'aspetto scientifico-tecnico-gestionale

Che bella la natura, che belli i fiori, che bello l'orto… sono esclamazioni di entusiasmo ricorrenti.
Quando si passa alla fase realizzativa, dove la poesia consiste nell'armarsi di zappa e cominciare a scoticare l'area che diventerà un orto o un'aiuola fiorita, ci si accorge che "la terra è bassa" (come dicevano una volta i contadini) e la fatica si fa sentire.
L'esperienza insegna, innanzi tutto, che le iniziative che "promettono bene" sono quelle che vedono coinvolte tutte le persone che lavorano nella scuola oggetto dell'intervento (insegnanti, educatori, operatori) o perlomeno la maggior parte di esse, perché vuol dire che c'è un intero gruppo che ha maturato la consapevolezza di un impegno comune a favore delle varie classi di bambini.
L'attività di formazione e sensibilizzazione si può orientare su quattro fronti: scientifico, tecnico, pratico-realizzativo e gestionale.

Formazione scientifica
Negli interventi in aula bisogna innanzi tutto rispolverare conoscenze di botanica, parlare di agronomia (in particolare clima, terreno, acqua, fertilizzazione, controllo delle avversità…), di ortaggi e loro utilizzazione alimentare, di curiosità varie sull'ambiente, fornendo ad insegnanti, educatori ed operatori strumenti e spunti da sviluppare con creatività e fantasia.

Formazione tecnica
Si tratta qui di approfondire ciò che si farà poi in pratica, descrivendo nel dettaglio come si prepara il terreno, come si determinano le pendenze, come si decidono le prode ed i percorsi dell'orto, cosa seminare in autunno e cosa in primavera (in base all'andamento climatico stagionale della regione), come apportare l'acqua necessaria per l'irrigazione, come organizzare il lavoro delle varie classi, dando la possibilità a tutti i bimbi coinvolti di "sporcarsi le manine", eccetera. È di fondamentale importanza osservare la natura circostante, per capire come si "esprime" nelle varie stagioni, buttare l'occhio sull'orto del nonno, che certamente non sbaglia i tempi delle semine e dei trapianti… in modo da farsi un'idea del mondo che ci circonda.

Realizzazione pratica
Finalmente si incomincia a lavorare con la zappa, la vanga, il rastrello, il trapiantatore, eccetera, si manipolano semi di aspetto e dimensioni diversissime; si impara a movimentare, fertilizzare, sminuzzare e modellare il terreno, si mettono a dimora piante di specie e varietà diverse di ortaggi, di aromatiche, di fioriture stagionali o perenni, di alberi da frutta, arbusti ornamentali, dando ad ognuno il suo nome e cognome (genere, specie, cultivar, varietà) per non perdere conoscenze durante il naturalistico cammino.

Impegno gestionale
Il bello comincia a questo punto, perché dopo aver impostato l'orto, il piccolo frutteto, realizzato il percorso sensoriale, l'aiuola fiorita, la siepe mista, bisogna irrigare, scerbare, cioè asportare le erbacce infestanti, nutrire le varie piante. Bisognerà poi anche potare, togliere il secco, predisporre insomma le piante, ogni anno, a rinnovare la propria vegetazione, senza trovare "intoppi" dell'anno precedente ormai secchi. Nei mesi estivi, deputati giustamente alle tanto sospirate vacanze, bisogna che ci sia qualcuno che provvede alle bagnature, alle scerbature, cioè all'eliminazione manuale delle erbacce ed alla sarchiatura superficiale, altrimenti alla ripresa della scuola ciò che a fatica si è realizzato nell'arco di un intero arco scolastico si troverebbe in condizioni, diciamo così "pietose", con frustrazione garantita per i bambini che si sono impegnati. L'estate è un periodo critico che bisogna "coprire" (programmandolo già quando si decide di fare l'orto o qualsiasi altra realizzazione).
Insomma, ce n'è per tutti coloro che vogliono dare il loro costruttivo contributo.
Alberto Vanzo
Delegazione Piemonte e Valle d’Aosta
Associazione Pubblici Giardini

Footer Pubblici Giardini
Visita il sito - Scopri le Delegazioni regionali
Pagina Facebook - Gruppo Pubblici Giardini Facebook
info@pubblicigiardini.it

Questo articolo fa parte delle collezioni: