Industria alimentare preoccupata. Il motivo: gli impatti sociali, economici, e naturalmente sanitari, del Covid-19. Questo il quadro che emerge dal nuovo rapporto 'L'industria alimentare italiana oltre il Covid-19' messo a punto da Nomisma per Centromarca e Ibc.

A causa delle incertezze legate all'emergenza sanitaria - a cominciare dagli effetti del lockdown, tipo il blocco di fatto della filiera hotel, ristoranti e caffetterie che vale di fatto il 34% dei consumi totali di cibo e bevande in Italia - soltanto il 20% delle aziende prevede un incremento del fatturato in Italia e all'estero nel 2020. Per il 15% il turnover sarà in linea con l'anno precedente, mentre per il 62% l'anno si chiuderà con una contrazione delle vendite, che sarà superiore al 15% per il 38% delle imprese. I dati sul giro d'affari ne danno una conferma: -9,5% ad aprile rispetto allo stesso mese dell'anno scorso, -5,8% a maggio e -1,1% a giugno e a luglio.

Per la filiera agroalimentare - mette in evidenza la ministra delle Politiche agricole Teresa Bellanova - "in questi mesi abbiamo già deciso interventi per oltre 2,5 miliardi, e abbiamo investito risorse importanti per la liquidità delle imprese e per l'accesso al credito. Abbiamo lavorato per garantire la più grande operazione di decontribuzione mai fatta nel settore agricolo per un valore di oltre 430 milioni di euro. Siamo al lavoro con il ministero dell'Economia per dare rapida attuazione al sostegno alla filiera della ristorazione. Siamo riusciti a ottenere un finanziamento di 600 milioni che vogliamo venga erogato nel modo più semplice possibile, entro il 2020, per fare un aiuto alla filiera nella sua interezza. Dal lavoratore agricolo fino al ristoratore, perché c'è un pezzo della filiera più 'alta' che ha sofferto in questa fase. Daremo l'aiuto alla ristorazione con l'unica condizione che devono essere acquistati prodotti made in Italy”.

Un ruolo importante lo ha rivestito l'industria di trasformazione alimentare nei primi sette mesi di quest'anno: nel periodo che va da gennaio a luglio del 2019, le vendite al dettaglio di prodotti alimentari, pari al +3,3% rispetto al -17,6% degli altri prodotti, hanno sostenuto anche l'attività della grande distribuzione (4,4% contro un valore delle vendite complessive nello stesso canale del -4%) e delle piccole superfici (+3,9%), un format, quest'ultimo, che negli ultimi cinque anni ha costantemente registrato cali di fatturato. Sul versante export i primi sette mesi evidenziano ancora un risultato cumulato positivo per l'alimentare italiano (+3,5%), con un crollo complessivo di tutte le esportazioni pari al 14%, anche se aprile e maggio fanno registrare cali sensibili fino al 12%.

"Le diverse modalità adottate nel mondo, nei tempi e nell'applicazione del lockdown, hanno determinato performance differenti nell'export dei nostri prodotti, penalizzando principalmente quelli venduti nel canale Horeca - osserva Denis Pantini, responsabile agroalimentare di Nomisma - si spiegano così, per esempio, il -4% nell'export di vino e all'opposto il +25% della pasta italiana o il -7,8% dell'export alimentare francese contro il +2,7% di quello spagnolo".

La ricerca - che ha coinvolto duecento imprese italiane - ha evidenziato che il 42% degli esportatori parla di una contrazione sui mercati esteri e il 35% delle aziende ha timori per il futuro per una perdita di posizionamento dei propri prodotti a causa di un maggior protagonismo delle imprese locali. Poi negli investimenti prevale la prudenza: prima dell'emergenza l'82% delle aziende aveva pianificato di farli nell'anno, ma la mancanza di liquidità e le difficoltà di accesso al credito, oltre alla congiuntura negativa, spingono ora il 38% delle imprese a rimodularli e a rinviarli. Il restante 31% vorrebbe mantenerli destinandoli in particolare all'acquisto di impianti e macchinari funzionali al ciclo produttivo (86%), di nuove tecnologie (46%) e a ricerca e sviluppo di nuovi prodotti (39%).

"Quella delle risorse europee del Recovery fund è un'occasione che non possiamo perdere, per l'agricoltura e l'agroalimentare - rileva l'ex ministro Paolo De Castro - mai come in questo momento abbiamo l'occasione di recuperare il gap strutturale del nostro paese; è necessario puntare su un grande piano per invasi in modo tale da raccogliere l'acqua, sempre più preziosa, e non disperderla".
 
La filiera agroalimentare italiana - prosegue il rapporto - esprime 1,3 milioni di imprese e 3,4 milioni di occupati (il 14% della forza lavoro nazionale), generando 140 miliardi di euro di valore aggiunto (pari al 9% del Pil nazionale) e arrivando a pesare per il 9% sull'export grazie a 43 miliardi di euro di vendite sui mercati internazionali nel 2019. Secondo il rapporto un quinto del valore aggiunto prodotto dalla filiera è riconducibile all'industria alimentare contro il 12% della distribuzione a libero servizio e il 9% di quella all'ingrosso; il 40% degli occupati nell'industria alimentare in Italia ha meno di quaranta anni (contro il 35% del totale manifatturiero) e anche la componente femminile è al 35%, oltre la media del settore. Nel pieno della crisi economica e nell'ultimo decennio (2009-2019), il valore aggiunto prodotto dall'industria alimentare è cresciuto del 19% contro un 7% del totale manifatturiero, mentre l'export è aumentato dell'89% registrando la seconda maggior crescita (dopo il farmaceutico) tra tutti i settori manifatturieri. A livello territoriale, l'incidenza dell'industria alimentare su occupati e valore aggiunto del manifatturiero raggiunge percentuali doppie rispetto alla media nazionale in regioni come Campania, Puglia, Molise o addirittura triple in Calabria, Sardegna e Sicilia. Cosa che dimostra come l'alimentare sostenga l'economia di molti territori, in particolare di quelli ritenuti più svantaggiati. La gran parte delle aziende alimentari italiane presenta un carattere artigianale e familiare.

L'industria alimentare italiana è arrivata a fine 2019 - viene spiegato nel rapporto - con una serie di importanti successi che ne hanno fatto la quinta potenza mondiale nell'export di cibo e bevande, dopo Stati Uniti, Germania, Paesi Bassi e Francia, la terza a livello Ue per valore aggiunto prodotto (dopo Germania e Francia) e la seconda per produttività (dopo la Francia). Il posizionamento medio del prezzo dei propri prodotti in giro per il mondo è tra i più alti, in particolare per alcune categorie tipiche del made in Italy come formaggi, olio extravergine di oliva, prodotti da forno e derivati del pomodoro.

"Dovrebbe far riflettere - rileva Francesco Mutti, presidente di Centromarca - che un settore, spesso portato a esempio di eccellenza, sia riuscito a crescere nonostante l'assenza di un reale disegno di politica economica che consentisse alle aziende di irrobustirsi, rinnovarsi e quindi di esprimere pienamente il loro potenziale competitivo. Ora gli effetti dell'emergenza coronavirus si aggiungono alle criticità esistenti e diventa improrogabile il varo di un piano pluriennale che consenta al settore di sostenere la crisi".

"Piccolo è bello se fa qualità e differenziazione - afferma Alessandro d'Este, presidente Ibc, presidente e ad Ferrero commerciale Italia - se fa un'azienda capace di resistere nel futuro, se fa un'azienda capace di rispondere a quelle che sono le sfide: rapporto digitale con i consumatori, adattamento ai nuovi canali, la capacità di fare esportazione e la capacità di fare qualità"; che "diventa sempre di più anche un impegno da parte delle aziende nei confronti dei consumatori, nel rispetto dei loro valori. Valori di sostenibilità ambientale e sociale. L'Italia è già di per sé espressione di questi valori ma bisogna comunicarlo".

"Siamo impegnati affinché il sistema agroalimentare sia centrale nelle politiche di spesa del Recovery fund - conclude Teresa Bellanova - sono risorse che non possono essere sprecate ma che devono essere capaci di creare qualità durevole, ricadute a lungo raggio sul sistema paese e buona occupazione. Quelle qualità, quelle ricadute e quell'occupazione che questo settore più di altri ha mostrato di sapere garantire"; nei prossimi mesi "l'agricoltura e il sistema produttivo alimentare industriale non potranno che essere protagonisti. Da qui ai prossimi tre anni si getteranno le basi per i prossimi trenta anni e sono certa che con il vostro contributo sarà fondamentale potenziare le filiere al 100% italiane. Ci candidiamo ad essere uno dei ministeri a produrre una spesa qualificata e nei tempi stringenti di Bruxelles forti dell'esperienza di questi anni. E' mia ferma convinzione che se vince il sistema agroalimentare vince l'Italia".