A pesare, inevitabilmente, la scomparsa nel periodo di confinamento dettato dalla pandemia Covid-19, delle vendite nel canale Horeca (hotellerie, restaurant, catering), che ha di fatto ridisegnato le modalità di acquisto e di consumo del vino. Prevedibile conseguenza dello stop forzato anche il ridimensionamento dell'export. Una doccia fredda per le esportazioni in una fase finora in costante crescita: proprio nel 2019 aveva fatto segnare il record per l'Italia con valori di 6,4 miliardi di euro.
Complessivamente, secondo quanto riportato da Vinitaly, rassegna internazionale di riferimento del settore, rinviata purtroppo al 2021 (18-21 aprile), nei primi tre mesi e mezzo dell'anno le vendite di vino nella distribuzione moderna (iper, super, Libero servizio piccolo, discount) hanno registrato una crescita a volume del 7,9% (+6,9% a valore) rispetto allo stesso periodo del 2019. Nel dettaglio, i vini Doc e Docg sono cresciuti del 6,8% (+7,6% a valore), i vini Igp e Igt del 10,5% (+7,7% a valore), i vini comuni del 7,2% (+4,1% a valore), le bollicine dell'1,2% (+1,6% a valore).
Numeri preceduti dal segno positivo, quasi a voler nascondere uno scenario allo stesso tempo inedito e complesso, dal momento che il mercato nel suo complesso è ben più sfaccettato. Basti pensare che l'Horeca pesa per il 30% delle vendite. Come affrontare il futuro?
Ne abbiamo parlato con il professor Vincenzo Zampi, ordinario di Economia e gestione delle imprese, docente di Strategia e innovazione all'Università di Firenze e autore di numerosi studi e libri sul vino.
Vincenzo Zampi, partiamo dal blocco dell'Horeca. Chi ha sofferto maggiormente, nel segmento del vino?
"È abbastanza intuitivo rispondere che tutte le aziende che lavorano molto con l'Horeca sono per forza ferme e sono in una fase speriamo temporanea di sofferenza. Se però si parla di grandi vini qualche distinguo va fatto. L'impressione che ho avuto è che le aziende che si trovano in cima alla piramide, più o meno stiano continuando a vendere, nonostante il black out del canale Horeca. I grandissimi vini possono, di fatto, contare su meccanismi, canali e richieste che, tutto sommato, riescono più o meno a funzionare, ma sono una sparuta minoranza.
Il problema è per i tanti vini della fascia media e medio alta, che presenta vini importanti, anche italiani e che più di tutti dipendono dall'Horeca. Eventuali canali alternativi all'Horeca non possono sostituirsi completamente alle vendite collegate appunto a hotel, ristoranti, catering e bar".
L'e-commerce si è mostrato in salute. Può essere una soluzione?
"Si è dimostrata un'opportunità. Le piattaforme di e-commerce stanno vendendo due o tre volte quanto fatto finora e anche le enoteche che operano online si difendono. Questo significa che, con l'accelerazione impressa dal fenomeno Covid-19, l'acquisto online in generale sta diventando un'abitudine, che cambierà anche il lavoro".
In che senso?
"Molte aziende del settore del vino, che continuano a lavorare, hanno incontri e riunioni online. Gli operatori del settore si sono accorti che si può fare a distanza, con risparmio di tempo, di costi, di trasferte in automobile. Così, magari, ci si può dedicare di più alla produzione e alla famiglia. Allo stesso tempo, il cliente che ha capito che può beneficiare di certi prodotti a casa, non tornerà indietro".
Quali aspetti legati al mondo del vino l'hanno colpita maggiormente nella fase di lockdown?
"La sofferenza legata alla socialità, che con riferimento al vino significa che, dove manca la dimensione conviviale, il consumo di vino soffre, proprio perché è un elemento fondante anche dello stare insieme. Allo stesso tempo, sembra quasi un paradosso, il consumo di vino non si è fermato e, messo di fronte a una prova così dura come il confinamento, ha dimostrato di essere un prodotto ben radicato, che non fa parte solo dei consumi, ma anche della cultura degli italiani. Questo ha fatto sì che venissero in parte assorbiti i consumi legati a enoteche, wine bar, ristoranti".
Merito delle aziende vitivinicole?
"Merito della grande tradizione del cibo italiano, che significa quasi sempre cultura del cibo e del vino. E poi, certamente, merito anche delle imprese, che non hanno soltanto venduto vino in questi venti o trenta anni, ma hanno anche costruito un mercato. E la solidità delle aziende sarà la roccia sulla quale costruire il futuro, perché temo che il 2020 sarà per loro un anno tremendo".
Come uscirne?
"È estremamente difficile indicare delle soluzioni. Per le imprese è fondamentale ottenere liquidità, non necessariamente a fondo perduto, con tassi agevolati e dilazionati nei tempi, cosicché aziende solide alla base possano permettersi di recuperare nell'arco dei prossimi quindici anni l'impatto negativo di un 2020 particolarmente difficile".
Quando si potrà tornare alla normalità?
"Ora come ora è inopportuno azzardare previsioni. Molto dipenderà dai tempi della crisi e dell'obbligo del distanziamento sociale. Se le persone avranno paura a stare insieme e casa o al ristorante, ci saranno problemi non soltanto di vendite, ma anche di gestione delle scorte".
Il boom dell'online influenzerà in qualche modo gli altri canali di vendita?
"Non penso. Cambieranno sicuramente alcune modalità di vendita, cambieranno magari le reti distributive e nasceranno servizi nuovi per i clienti, ma se penso a un canale come l'Horeca, adesso in pausa, non vedo il rischio di una sua sostituzione".
Come potrebbe ripartire l'export?
"Tutto dipende da quando sarà superata questa fase emergenziale e, soprattutto, quando sarà cancellata la percezione del senso di pericolo. Nel frattempo, si cercheranno altre strade, si studieranno nuove misure e soluzioni per ripartire. Anche con le esportazioni".
Le vendite en primeur di alcuni grandi vini potrebbero essere una soluzione?
"È difficile dirlo; in Italia è molti anni che se ne parla ma non ci sono stati mai risultati concreti. Se parliamo dei vini francesi, la modalità di vendita en primeur negli ultimi anni è stata messa in discussione, soprattutto dopo la decisione di Château Latour di non essere più sulla piattaforma di Bordeaux".
Pensa che le quotazioni stellari di alcuni vini diminuiranno?
"Forse sì. Ma non ritengo necessariamente un male che alcune bottiglie a prezzi folli si normalizzino un po'. Anche perché, quando parliamo di vino, mercati e consumo non dobbiamo dimenticare che sono soprattutto i grandi vini che fanno i nuovi grandi appassionati consumatori. E se diventano inaccessibili si perde una grande occasione di allargare la platea dei consumatori di questo tipo".