"La panificazione è un'arte vera e propria".

Così Davide Trombini, presidente dell'Associazione nazionale dei panificatori pasticceri di Confesercenti, definisce quella che da tempo è chiamata l'arte bianca, specificando poi che "ogni panificatore ha i suoi segreti".
Anche perché sono numerosi i fattori, come per esempio la temperatura, l'ambiente circostante ed anche il forno utilizzato, che possono influenzare e di fatto influenzano il risultato finale. "In una giornata fredda l'impasto può venire in un modo, mentre in una giornata dove la temperatura è più alta si può avere un risultato diverso" continua il presidente Trombini. "Anche il profumo può cambiare a seconda per esempio delle ore di lievitazione o anche del tipo di farina usato".

Un processo dunque che sembra facile, ma che poi tanto facile non è. E probabilmente se ne sono accorti anche coloro che a seguito del lockdown imposto dall'emergenza sanitaria da Covid-19, si sono riscoperti panificatori. Da qualche settimana infatti sui social spopolano foto e video di persone "con le mani in pasta", pronte a preparare pane, pizza e dolci fatti in casa.
E l'ingrediente principale in tutto ciò è il lievito. Come ricorda infatti Davide Trombini "nella panificazione il lievito è tutto" e proprio per l'aumento della sua richiesta, nei giorni scorsi negli scaffali dei supermercati era quasi introvabile. Anche perché il lievito non si fa ma si coltiva: essendo un organismo vivo la sua coltivazione ha determinati tempi che devono essere rispettati.

Dalla definizione contenuta nell'articolo 5 del disegno di legge "Disposizioni in materia di produzione e vendita del pane" del 2018 per lievito si intende "un organismo unicellulare, tassonomicamente appartenente, non limitatamente, alla specie Saccharomyces cerevisiae, avente la capacità di convertire gli zuccheri derivanti dalla degradazione dell'amido in alcool e in anidride carbonica, assicurando la formazione della pasta convenientemente lievitata. La produzione di lievito deve essere ottenuta a partire da microrganismi presenti in natura, appartenenti, non limitatamente, alla specie Saccharomyces cerevisiae, coltivati su substrati provenienti da prodotti di origine agricola".
In più, per fare un po' di chiarezza, viene fatta anche una distinzione tra lievito fresco, liquido, secco, pasta madre e paste acide.

Ad oggi però il disegno di legge giace ancora in Parlamento, nonostante ci sia la necessità anche da parte degli operatori del settore di arrivare ad un punto definitivo.


Lievito di birra: si coltiva e non si fa

Quello che nei giorni scorsi scarseggiava nei supermercati è quello che comunemente viene chiamato lievito di birra e che si ottiene dal melasso da zucchero. Quest'ultima è "una sostanza caratterizzata da grandi proprietà nutritive e dalla consistenza viscosa: è un prodotto derivante dalla lavorazione dello zucchero, che così acquisisce una seconda vita. Un tempo tutto partiva dal malto d'orzo, ovvero dalla birra: non a caso, si parla di Saccharomyces cerevisiae o lievito di birra" afferma Piero Pasturenzi, presidente del Gruppo Lievito da zuccheri di Assitol, l'Associazione italiana dell’industria olearia.
"Dalla purezza e dall'aspetto di questo coprodotto della barbabietola o della canna da zucchero, quindi, dipendono le caratteristiche del lievito di birra, e di conseguenza anche di tutte le preparazioni che lo utilizzano come ingrediente chiave".

Come si passa dal melasso da zucchero al lievito?
"Non si può parlare di un'autentica trasformazione" specifica subito Pasturenzi. "Il lievito si coltiva a partire dalla componente zuccherina del melasso. Lo zucchero costituisce il principale nutrimento del lievito, il suo carburante: il melasso è dunque il terreno di coltura in cui si fa crescere il lievito, garantendogli il giusto nutrimento. In prima battuta viene sottoposto ad un processo di sterilizzazione, in modo da evitare rischiose contaminazioni. La produzione prende avvio da qualche milligrammo del ceppo di lievito utilizzato (ogni azienda ha il suo), che viene messo all'interno di un liquido di coltura, ricco di sostanze nutritive, a 30°C. Il lievito si moltiplica e nel giro di ventiquattro ore da qualche milligrammo si ottiene un grammo. Questo viene messo in un fermentatore da 10 litri, a sua volta riempito con un terreno di coltura a base di melasso e aperto all'aria: in altre ventiquattro ore si ottengono circa 300 grammi di lievito. Poi si passa a tini più grandi dove il lievito si moltiplica sempre di più, arrivando a diverse centinaia di chili".

Il composto che si ottiene al termine del processo di fermentazione è una crema di lievito molto concentrata. In media per l'intero processo di moltiplicazione delle cellule di lievito occorre una settimana.

Arrivati a questo punto, se si vuole ottenere del lievito liquido il processo è terminato, mentre se si vuole ottenere un lievito fresco o secco sono necessari altri passaggi come il filtraggio per il primo e la disidratazione per il secondo.

Un processo lungo e lento, con tempi ben precisi. Ecco dunque il perché della mancanza di lievito nei supermercati a seguito del picco di domanda da parte dei consumatori. "E' un microrganismo vivente che prende vita, cresce e si sviluppa nutrendosi di un coprodotto di origine agricola". "Questo ci rivela la sua origine naturale: le aziende creano le condizioni più favorevoli perché si riproduca in presenza di ossigeno" specifica il presidente del Gruppo Lievito da zuccheri di Assitol.

Oggi "gli impianti delle aziende produttrici lavorano senza sosta, nonostante il periodo difficile e le difficoltà nella logistica, ma i quantitativi richiesti sono notevoli e non è possibile ridurre le tempistiche di lavorazione in azienda. Siamo consapevoli del nostro ruolo e della centralità che il lievito ha nell'alimentazione quotidiana. Il nostro obiettivo è rispondere alla domanda dei consumatori, garantendo l'alta qualità delle nostre produzioni e, al tempo stesso, la salute dei nostri lavoratori".

In Europa l'Italia che posto occupa nella produzione di lievito?
"Siamo al terzo posto dopo Francia e Germania, paesi con una lunga tradizione nell'arte bianca. La qualità della nostra produzione - conclude Piero Pasturenzi - è molto apprezzata, non soltanto in Italia, ma all'estero. Va detto che la domanda di lievito è molto aumentata anche al di fuori dei nostri confini e anche sull'export stiamo vivendo una pressione analoga a quella registrata sul mercato interno".


La lunga storia e tradizione del lievito madre

E' una storia antica quella del lievito madre, una storia ricca di tradizione la cui origine si fa risalire addirittura agli "antichi egizi: nacque per un'inondazione del Nilo in un granaio in cui venivano stoccate le farine" spiega Marco Gobbetti, ordinario di Microbiologia agraria presso la Libera Università di Bolzano.

"E' uno starter naturale" che si ottiene mettendo semplicemente a contatto la farina e l'acqua, lasciandolo a temperatura ambiente e rinfrescandolo di tanto in tanto. Si utilizzano "i microrganismi che sono naturalmente presenti nella farina, o che derivano dall'ambiente".

Ma nel lievito madre, continua il professore, sono presenti "due gruppi di microrganismi: i lieviti, ma soprattutto i batteri lattici". Di conseguenza si realizzano due tipi di fermentazioni, una alcolica, operata dai lieviti, e una lattica, operata dai batteri lattici. Il vantaggio di quest'ultima è quello di favorire un processo di acidificazione, ovvero "il valore di pH dell'impasto diminuisce, va verso valori già acidi e nello stesso tempo questi batteri lattici sono anche in grado da un lato di sintetizzare certi composti e dall'altro lato di liberare, a partire dalla farina, tutta una serie di composti che sono importanti per il sapore".

Ecco quindi che ogni prodotto realizzato è diverso dall'altro in quanto ogni panificio ha un suo lievito madre. "I pani prodotti con lievito madre hanno un forte legame con la tradizione, con il patrimonio culturale, con la storia".

Ed è da qui che è nata l'idea di dar vita ad una biblioteca dove raccogliere, conservare e soprattutto custodire i lieviti madre provenienti da varie parti del mondo, nonché tutte le informazioni circa il processo. Una biblioteca dove è "custodito il patrimonio culturale che sta dietro ogni lievito" perché "dietro ogni lievito madre che è stato usato da lungo tempo c'è una storia" afferma Gobbetti.

La biblioteca in questione si trova a Sankt Vith, in Belgio, è chiamata "Biblioteca del lievito madre" e a sua volta è situata all'interno del "Centro per il sapore del pane" di Puratos, un'azienda che produce e vende prodotti per il settore lievitati da forno. Chiamata anche archivio, la biblioteca è stata allestita circa una decina di anni fa e tra i numerosi collaboratori c'è proprio Marco Gobbetti. "Io analizzo - spiega - i loro lieviti madre per dare un nome e un cognome ai microrganismi che sono presenti e per facilitarne la gestione".

Ma come si fa a conservare i lieviti per così tanto tempo?
"Vanno rinfrescati. Il termine rinfresco è un termine tecnico che sta ad indicare che vanno propagati, rivitalizzati periodicamente e il rinfresco o propagazione o rivitalizzazione che dir si voglia consiste nel favorire una fermentazione andando ad aggiungere al lievito madre nuova farina e nuova acqua. Quindi periodicamente, ogni mese presso questa biblioteca, nelle aziende ogni giorno o al massimo ogni settimana, vanno alimentanti, vanno somministrati dei nutrienti che per loro sono acqua e farina".

In questo modo i lieviti continuano a vivere.

E' possibile risalire all'età di un lievito madre?
"No, proprio perché ogni giorno, ogni settimana o ogni mese vengono rinfrescati" conclude Marco Gobbetti.