La legge sul consumo di suolo si aggira in Parlamento da oltre cinque anni. Ma, al momento, come già in precedenza era capitato, vive uno stallo; anche se qualcosa si muove, almeno con la ripresa delle audizioni in commissione. Troppo poco però, specie se si guarda alla volontà (almeno espressa) delle diverse forze politiche, delle associazioni, e degli operatori. Tutti concordi nel dire che la legge non solo è necessaria ma è urgente.

In questa legislatura (anche se il provvedimento ha una lunga storia che ne taglia trasversalmente almeno altre due) i testi in origine erano due: il ddl 86 contenente "Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo nonché delega al Governo in materia di rigenerazione delle aree urbane degradate", presentato dalla senatrice Loredana De Petris (Leu); il ddl 164, contenente "Disposizioni per l'arresto del consumo di suolo, di riuso del suolo edificato e per la tutela del paesaggio", presentato dalla senatrice Paola Nugnes (M5s).

Il primo definisce il suolo "bene comune e risorsa non rinnovabile che esplica funzioni e produce servizi ecosistemici, anche in funzione della prevenzione e della mitigazione degli eventi di dissesto idrogeologico, delle strategie di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici, della riduzione dei fenomeni che causano erosione, perdita di materia organica e di biodiversità"; il secondo attribuisce al suolo un "ruolo fondamentale per la sopravvivenza degli esseri viventi", evidenziando l'indifferibilità delle azioni volte a preservarlo da ulteriori possibili trasformazioni, dai fenomeni di erosione e dalle cementificazioni.

Negli ultimi mesi se ne sono aggiunti altri, tra cui i testi di Forza Italia, Pd e Lega. L'argomento per quanto importante non compie però passi in avanti. Si pensa che un modo per sbloccare l'impasse potrebbe essere un testo condiviso dalle forze di governo M5s e Lega.

Secondo l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) il consumo di suolo in Italia viaggia al ritmo di una media di quindici ettari al giorno. In tutto - conferma l'ultimo rapporto dell'Istat - nel nostro paese sono stati 'mangiati' oltre 52 chilometri quadrati di territorio. Le aree peggiori del paese sono al Nord, dove per esempio la Lombardia 'pesa' da sola il 13,4% della perdita totale di suolo, con oltre 3mila chilometri quadrati. E su questo fronte, in Europa, le cose non vanno meglio: le superfici artificiali coprono il 4,2% del territorio europeo; l'Italia che si attesta sopra la media, al 6,9%, piazzandosi al sesto posto subito dopo Malta (23,7%), Paesi Bassi (12,1%), Belgio (11,4%), Lussemburgo (9,8%) e Germania (7,4%). Sopra la media europea ci sono anche Danimarca, Regno Unito, Francia, Cipro, Portogallo, Repubblica Ceca e Austria.

La posizione delle maggiori associazioni è chiara (da anni): "È ormai giunto il momento di procedere al più presto e con decisione verso la stesura di un nuovo testo base unificato - dicono Coldiretti, Fai-Fondo ambiente italiano, Inu-Istituto di urbanistica, Legambiente, Lipu, Slow food, Touring club e Wwf, in un documento depositato nel corso delle audizioni - non possiamo più attendere. Abbiamo bisogno di una norma quadro, leggera, senza eccessiva sovrapposizione di argomenti e finalità, che possa fungere da architrave per la tutela del nostro territorio".

Inoltre, viene messa in evidenza la necessità di "rafforzare l'obbligo di introdurre nelle normative regionali il principio dell'invarianza idraulica e idrologica", cioè l'obbligo a ripristinare il suolo soprattutto per mantenere invariata la portata e il volume delle acque in caso di pioggia ed eventi meteo; tra le altre misure cui tengono le diverse associazioni c'è la tutela delle aree verdi con il divieto di mutare la destinazione, escluso l'uso agricolo (orti), e l'introduzione di obiettivi e incentivi per sostenere gli interventi di riuso e rigenerazione urbana, compreso il censimento del patrimonio edilizio e delle aree non utilizzate.

Per le imprese è "indispensabile" fare riferimento alla rigenerazione urbana e soprattutto al consumo netto di suolo, cioè il saldo tra nuovo territorio impermeabilizzato e territorio non impermeabilizzato o ripristinato per usi agricoli e naturali. Ma soprattutto - spiega Confindustria - "il tema del contenimento del consumo di suolo va affrontato con una legge organica di riforma, che detti principi di pianificazione e programmazione cogenti per gli enti sub-statali".

Diventa fondamentale in "una gestione proattiva della tutela del suolo, capace di combinare sviluppo e tutela, la rigenerazione urbana, la riqualificazione delle aree, la bonifica e reindustrializzazione sostenibile dei territori, l'utilizzo di nuove tecnologie e materiali, a partire da quelli drenanti, il contrasto ai fenomeni di dissesto, l'infrastrutturazione e la manutenzione del territorio". Secondo Confindustria, a fronte di un investimento di 10 miliardi di euro per il risanamento delle aree pubbliche e private, per una superficie complessiva da bonificare di 46mila ettari, si potrebbe avere un aumento del livello di produzione di oltre 20 miliardi di euro e un aumento del valore aggiunto complessivo di circa 10 miliardi di euro, nel giro di cinque anni, con 400mila nuovi posti di lavoro.

Per le regioni serve una "norma quadro nazionale" sul consumo di suolo ma deve fare salve tutte le normative regionali previgenti già in linea con gli obiettivi nazionali: "E' auspicabile che la formulazione di una norma identifichi lo Stato come soggetto competente all'individuazione di una strategia nazionale per contenere il consumo di suolo nonché strumenti efficaci e incentivi per consentire alle regioni di dispiegare le proprie competenze".