E l'olivicoltura del bacino Mediterraneo, come si è già potuto constatare, sta già vedendo i primi effetti negativi.
Parte da questa riflessione la giornata organizzata dal Conaf, il Consiglio dell'Ordine nazionale dei dottori agronomi e forestali, dal Crea agricoltura e ambiente e dal Cnr-Ibimet, per presentare i risultati del progetto di ricerca europeo 'Facce-Jpi Olive-Miracle, soluzioni modellistiche per migliori e resilienti strategie gestionali per l'olivicoltura contro i futuri cambiamenti climatici'.
Un progetto di ricerca internazionale coordinato dal Cnr Ibimet e che vede coinvolti enti come il Crea, l'Università di Cordoba in Spagna, l'Istituto di ricerca agricola di Cipro e l'Organizzazione greca per l'agricoltura.
L'obiettivo di questo progetto è quello di fornire degli strumenti accurati per valutare nuove strategie di gestione e fornire un supporto per decidere gli investimenti di lungo termine da fare per una olivicoltura sostenibile nel Mediterraneo, di fronte ai cambiamenti del clima che si stanno già manifestando e che si manifesteranno in futuro.
A livello di campo, con sempre maggiore frequenza si riscontrano alterazioni a carico delle piante che portano a problemi di allegagione e cascola delle olive, riduzioni del peso dei frutti e della resa in olio, con alterazioni dei principali indici di maturazione e delle caratteristiche chimiche e organolettiche dell'olio.
Anche parassiti e malattie stanno cambiando le loro dinamiche e il loro impatto sulle coltivazioni. Accanto alla mosca dell'olivo (nome scientifico Bactrocera oleae), si stanno diffondendo fitopatie come la lebbra, provocata dal fungo Colletotrichum gloeosporioides e parassiti secondari come la cecidomia suggiscorza (nome scientifico Resseliella oleisuga), il tripide Liothrips oleae e la margaronia, Palpita vitrealis.
La stessa mosca dell'olivo ad esempio, si sviluppa in stretta correlazione con l'andamento delle variabili meteorologiche, per cui in alcuni areali l'innalzamento delle temperature medie potrebbe determinare un aumento del numero di generazioni, con evidenti effetti negativi per la produzione.
In questo contesto è evidente che si debba correre ai ripari, come ha spiegato Alberto Giuliani del Conaf. Il mondo agricolo ha infatti bisogno di monitorare e controllare dati meteorologici, fenologici, fitopatologici, ha bisogno di avere modelli previsionali che supportino le decisioni per gli interventi alle colture.
Ma avere dei dati precisi non basta. Fondamentale è il ruolo dei professionisti che interpretino questi dati e diano le indicazioni per prendere decisioni funzionali a un'agricoltura resiliente, cioè in grado di rispondere ai cambiamenti, sostenibile, e magari capace di cogliere le opportunità nuove che il cambiamento climatico può offrire.
Ad oggi il Conaf ha firmato due protocolli di intesa con il Crea, uno che parla di innovazione e uno di formazione, perché come ha sottolineato Carmela Pecora, consigliere nazionale del Conaf, è necessario che ci sia un legame permanente tra professionisti e istituzioni di ricerca.
"E in questa relazione - ha concluso Carmela Pecora - i dottori agronomi possono essere le sentinelle che raccolgono in campo dati e informazioni utili al mondo della ricerca e poi restituiscono agli imprenditori agricoli i risultati dei diversi studi".
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Fonte: Conaf