E' ancora presto per dire se in Italia piove meno che in passato. Ogni anno ha una storia a sé e solo in futuro potremo dire se effettivamente sul nostro territorio cade in media meno pioggia rispetto al dopoguerra. Eppure una cosa possiamo già dirla, in Italia piove 'diversamente'. La pioggia leggera e prolungata nel tempo, che impregna il terreno e rimpingua le falde, ha lasciato il posto ai nubifragi (le cosiddette bombe d'acqua) che allagano i campi, ingrossano i fiumi e creano danni alle colture e alle città.
La domanda allora è: lo Stato sta facendo qualcosa per mettere in sicurezza il territorio e garantire risorse idriche per usi civili e agricoli? "Le infrastrutture non sono sufficienti ad affrontare un quadro climatico in mutamento", spiega ad AgroNotizie Francesco Vincenzi, presidente di Anbi, l'Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni.
"Servono nuove infrastrutture idriche per proteggere le nostre città e per soddisfare i bisogni dell'agricoltura. Oggi solo il 10% delle acque meteoriche viene immagazzinata, una percentuale troppo bassa per provvedere al fabbisogno nazionale. Lo abbiamo visto questa estate, soprattutto al Nord".
In sette anni, dal 2010 ad oggi, in Italia le disponibilità idriche si sono praticamente dimezzate, con forte accentuazione del fenomeno al Nord: a settembre 2017 erano presenti, nei bacini lungo la penisola, 1.066 milioni di metri cubi di acqua contro i 1.512 dell'anno scorso, i 1.730 del 2015 e i ben 2.317 del 2010.
Già, il Nord. Perché se è vero che nel Dopoguerra la Cassa del Mezzogiorno ha investito molto nelle infrastrutture idriche del Sud Italia, un territorio più abituato alla scarsità di acqua, al Nord si è fatto poco perché ci si affidava alle precipitazioni e ai grandi laghi alpini. Ma le cose sono cambiate e "il bacino padano è stato il primo ad andare in crisi questa estate. E' necessaria la realizzazione di un sistema di piccoli e medi invasi che permetta di trattenere l'acqua per distribuirla quando è necessaria".
Nel Piano irriguo nazionale sono stati destinati 300 milioni di euro per modernizzare il sistema di condotte e canali che distribuisce l'acqua nelle campagne. E altri fondi potrebbero arrivare dai 295 milioni di euro sbloccati nell'ambito dei Fondi strutturali europei. Fondi stanziati dal Cipe (il Comitato interministeriale per la programmazione economica) per opere infrastrutturali, tra cui anche quelle idrauliche.
Ma l'Anbi, per venire incontro alle esigenze dell'agricoltura e mettere in sicurezza i centri urbani, ha presentato un piano molto più ambizioso. Il Piano nazionale degli invasi prevede la costruzione di 2mila opere, di dimensioni medio piccole, per una spesa di venti miliardi di euro in venti anni. Fondi che in larga misura andrebbero nelle regioni del Nord, che come detto sono meno preparate ad affrontare la scarsità di acqua. Dal Governo però sono arrivati solo 250 milioni spalmati sui prossimi cinque anni.
"E' qualcosa, ma non è certo abbastanza", spiega Vincenzi. "I problemi sono molti e serve un progetto di grande respiro che copra un lasso di tempo lungo. Le risorse stanziate sono poche, ma confido che nei prossimi anni arrivino altri fondi". E guardando al passato non possono passare sotto silenzio le opere incompiute, di cui l'Italia è costellata. Ad oggi sono 31 le opere censite che aspettano fondi freschi per essere completate. Servirebbero circa 621 milioni di euro per finirle.
(Fonte foto: Anbi)
Trattenere più acqua nei bacini artificiali per utilizzarla nei momenti di bisogno, ma anche sfruttare al meglio l'acqua che si ha. Gli acquedotti di molte città sono un colabrodo e anche in campagna le infrastrutture lasciano spesso a desiderare.
"Gli agricoltori sono già molto attenti nell'utilizzo dell'acqua perché rappresenta un costo che incide sulla produzione. Margini di miglioramento ci sono, ma dobbiamo anche stare attenti a non stravolgere la tradizione e il paesaggio. Le risaie sono un patrimonio anche paesaggistico a cui non possiamo rinunciare", precisa Vincenzi.
"In un'ottica di miglioramento continuo abbiamo sviluppato il progetto Irriframe, che consiglia all'agricoltore il momento giusto per irrigare basandosi sull'andamento metrologico, la tipologia di terreno, di coltura e di irrigazione".
Oltre ai laghi, che questa estate sono andati in stress, le infrastrutture maggiori sono quelle legate ai bacini idroelettrici. E ogni anno si ripresenta l'annosa sfida tra agricoltura e industria. Le aziende agricole avrebbero bisogno di acqua per irrigare, ma le dighe si aprono solo quando il mercato richiede un aumento della produzione di energia elettrica. "La legge dà la priorità all'agricoltura e solo dopo all'industria. Già questo dovrebbe orientare le scelte", taglia corto Vincenzi.
Ma anche tra agricoltori l'acqua diventa oggetto del contendere. Già, perché se in Piemonte si irriga, nel Ferrarese la portata del Po cala e questa estate si è fatto sentire come non mai il fenomeno del cuneo salino. "Per coniugare le varie esigenze quest'anno abbiamo messo in campo delle cabine di regia. Hanno funzionato bene e andranno consolidate".
In Italia sono 3,3 milioni gli ettari irrigati, con un valore all'ettaro superiore in media di 13.500 euro rispetto a quello non irriguo. L’Italia è seconda solo alla Spagna in termini di superfici e quarta in termini di incidenza della superficie irrigata sulla Sau (Superficie agricola utile) con circa il 9%, dopo Malta, Cipro e Grecia, che irriga circa il 20% della Sau.
"L'Italia, come gli altri paesi mediterranei, ha bisogno dell'irrigazione per fare agricoltura. Mentre nel Nord Europa possono spesso farne a meno. Per questo abbiamo creato Irrigants's d'Europe, una associazione che riunisce i paesi mediterranei per portare a Bruxelles le nostre istanze". Una vera e propria lobby che lavora a livello europeo per orientare l'allocazione delle risorse comunitarie di cui l'Italia ha davvero sete.