"Studiare i microrganismi che vivono nel suolo può essere di enorme importanza per avere colture più sane e produttive", spiega ad AgroNotizie Stefano Mocali, ricercatore del Crea responsabile per la parte italiana dell'Earth microbiome project. Un progetto internazionale, finanziato da fondazioni private, lanciato negli Stati Uniti nel 2010 che ha come obiettivo quello di mappare i microrganismi che vivono sul nostro pianeta, dal suolo all'acqua, fino alla flora del nostro intestino.
Il progetto è mastodontico, visto che conosciamo meno dell'1% dei miliardi di batteri che vivono sul nostro pianeta e che rappresentano la vera biodiversità della terra. "Il lavoro è enorme non solo perché identificare i microrganismi è difficile, ma anche perché è necessario studiare come questi batteri, virus e funghi si comportano in relazione ad organismi più complessi".
Come si sta svolgendo la ricerca?
"Questo consorzio internazionale ha cercato partner in giro per il mondo che potessero fornire campioni significativi da analizzare e confrontare tra di loro. Noi come Crea abbiamo fornito il terreno di un campo sperimentale in cui da venticinque anni viene coltivato mais in monosuccessione".
Quali sono le potenzialità di questo studio?
"Oggi si ritiene che parte della salute dell'uomo passi dal microbiota, per questo le aziende stano spendendo miliardi di dollari nello studio della nostra flora intestinale. Lo stesso vale per le piante, conoscendo i batteri che vivono a contatto o dentro i vegetali possiamo aiutarle a stare meglio, a produrre più cibo e di migliore qualità".
I microrganismi come possono aiutare le piante?
"Ad esempio a nutrirsi meglio. Possono rendere disponibili degli elementi che la pianta da sola non potrebbe assorbire. Oppure possono incentivare lo sviluppo della rizosfera, che esplorando strati di terreno più profondi è in grado di trovare più nutrimento".
Il microbiota può combattere le malattie delle piante?
"Ci sono varie strade attraverso le quali i microrganismi possono difendere una coltura. Ad esempio occupando la stessa nicchia biologica di un altro microrganismo, questa volta patogeno, fermandone la diffusione. Una strategia già adottata nel mais. Oppure il microbiota può aiutare la pianta a rafforzare il proprio sistema immunitario".
In che modo?
"Nel Ravennate alcune aree dedicate alla frutticoltura sono state colpite da malattie fungine che non si riuscivano a debellare con i prodotti tradizionali. Siamo intervenuti sul suolo, ricostruendone la biodiversità, e abbiamo riscontrato una incidenza minore delle malattie. Semplicemente perché un suolo sano e vitale ospita piante sane e vitali, più capaci di difendersi da sole".
I futuri prodotti a base di batteri sostituiranno i fertilizzanti e gli agrofarmaci tradizionali?
"Assolutamente no. Saranno prodotti che si inseriranno in nuove strategie di gestione delle colture. Potranno essere usati da soli, magari in casi specifici in cui i prodotti tradizionali non hanno funzionato, oppure in parallelo. Ci permetteranno di avere più opzioni tra cui scegliere e in definitiva una agricoltura più sostenibile".
I microrganismi possono influire anche sulle caratteristiche nutrizionali delle piante?
"Certamente sì, hanno un impatto significativo. Il principio attivo contenuto in molte piante officinali ad esempio è prodotto da batteri che vivono all'interno delle piante stesse. Oppure sono sostanze che la pianta produce dietro sollecitazione dei batteri. In futuro potremo isolare il microrganismo responsabile della produzione di questi metaboliti e inserirlo in altre piante".
E' possibile prendere un batterio, che magari vive in simbiosi con una pianta da milioni di anni, e spostarlo in un'altra specie?
"In molti casi sì, soprattutto perché questi microrganismi hanno una elevata capacità di adattamento. In altri invece non è possibile a meno di ricorrere alla manipolazione genetica. Potremo così avere ad esempio cibi più ricchi di vitamine e microelementi utili alla nostra salute".
Come possono essere definiti dei prodotti ad uso agricolo che contengono microrganismi?
"Questa è una bella domanda a cui la legislazione europea sta cercando di dare una risposta. Un microrganismo che aiuta una pianta ad assorbire nutrienti o a renderli disponibili all'assimilazione non è un fertilizzante. E un batterio che aiuta a rafforzare le difese immunitarie di un vegetale non è un agrofarmaco".
Quando potremo avere dei prodotti a base di microrganismi?
"Già sono in commercio dei prodotti che contengono microrganismi o i metaboliti degli stessi. Ma siamo solo all'inizio, in futuro avremmo molta più scelta e prodotti molto più efficaci perché sapremo esattamente i motivi dietro alla loro azione. Il 90% delle 28mila specie che sono state identificate nell'ambito dell'Earth microbiome project erano sconosciute. E molte altre sono ancora da scoprire. Ora dobbiamo studiarle, identificare quelle interessanti e successivamente ottenere dei prodotti utilizzabili in campo".