L’occasione dell’intervista è legata all’appropinquarsi della Conferenza delle Parti di Parigi, in programma il prossimo dicembre. Sotto la lente, i cambiamenti climatici, la grande sfida alla quale è chiamato il pianeta.
Per la cronaca, nei giorni scorsi la Cina ha presentato i propri impegni nazionali volontari. Non c’è in verità molto di nuovo rispetto al passato, ma è comunque un primo passo del Dragone verso una coscienza un po’ più verde. Un piccolissimo passo avanti.
Sull’altro versante, il premio Nobel della Fisica, il norvegese Ivar Giaever, che contesta il presidente americano Obama sull’allarme riscaldamento globale. “Mr President, hai completamente torto”, avrebbe detto Giaever nel corso del Lindau Nobel Laureates Meeting, in Germania. Insomma, nessun global warming alert. Anzi. Incomprensibile la preoccupazione degli stati europei, secondo Giaever.
Presidente Maracchi, partiamo da qui. Condivide le affermazioni di Giaever?
“Vede, le vorrei ricordare un grande precedente in Italia, perché un ragionamento analogo lo faceva anche Zichichi. E allora le chiedo: le si farebbe operare di prostata con Giaever? Penso di no. Ecco, il concetto è che essere fisico ed essere climatologo sono due cose differenti. Avere ricevuto un premio Nobel per la Fisica nel 1973 non autorizza a parlare di tutto. Personalmente non condivido la sua posizione.
L’unica cosa che dobbiamo vedere sono gli articoli scritti negli ultimi 20 anni dalle riviste scientifiche e non dai quotidiani sul cambiamento climatico. Dobbiamo superare la sindrome della partita di calcio, sempre con due squadre opposte, il negazionista da un lato e il catastrofista dall’altro”.
Cosa dicono i dati scientifici?
“I dati ci dicono che il clima sta cambiando. Il global warming è diventato una nuova religione, ma è relativa a quanto è stato compiuto negli ultimi 100-150 anni”.
Vale a dire?
“Gli oceani si stanno riscaldando, negli ultimi 20 anni i fenomeni estremi stanno aumentando ovunque. Ma questo si spiega bene con quello che abbiamo bruciato negli ultimi 100 o 150 anni, perché c’è una relazione fra il riscaldamento globale, l’azione dell’uomo e il cambiamento del clima. Questo racconta la letteratura scientifica, che io ho cercato di sintetizzare in tre parole. Bisogna guardare più alle misure che alla teoria”.
Quindi i cambiamenti climatici sono colpa dell’uomo?
“Sul cambiamento del clima sono tutti d’accordo e anche sulla responsabilità dell’uomo sono tutti d’accordo al 95 per cento.
È la tesi sostenuta dalla Conferenza della Parti di Copenaghen, peraltro già avanzata negli anni Ottanta sul tema della sostenibilità e della famosa soglia di usabilità del pianeta. Il modello di sviluppo degli ultimi 150 anni ha avuto molti pregi, ma anche molti difetti”.
Per cui bisognerà individuare modelli di sviluppo differenti?
“Indubbiamente. Bisogna andare più in là. L’ha detto anche il Papa, facendo un ragionamento di buon senso”.
Si potrà fare a Parigi?
“Secondo me a Parigi non succederà nulla, perché siamo alla 21ª conferenza delle Parti e se si punterà sulle dichiarazioni di volontà e non sugli accordi, che vedo molto difficili, vuol dire che poi non succederà nulla. Solo chiacchiere”.
Quali sono gli ostacoli?
“Finché i grandi poteri non si convincono che è anche loro interesse virare verso una maggiore sostenibilità, che è meglio usare l’energia solare rispetto a quella fossile, che è meglio un ventilatore rispetto al condizionatore, allora forse si arriverà ad un accordo”.
Qual è il ruolo dell’Italia alle grandi conferenze?
“Zero. L’Italia ha avuto ruoli a singhiozzo. Berlusconi non era gran sostenitore dei cambiamenti climatici. Il ministro Corrado Clini andava ai Cop come rappresentante del governo e gettava acqua sul fuoco rispetto al global warming. L’Italia non ha mai avuto una leadership, non si è mai impegnata nemmeno in politiche ragionevoli di media durata. Ha politiche a singhiozzo, basti pensare che chi 5 anni fa ha costruito un impianto solare prendeva 40 centesimi al kilowatt, oggi ne prende nove. Questo significa che lo Stato italiano è un commerciante di basso livello”.
Cosa avrebbe dovuto fare?
“Posizionarsi su un rapporto di 1:1. Se l’energia costa 28 centesimi al kilowattora, l’energia alternativa dovrebbe essere retribuita dal Gse altrettanto”.
Come cambia o come potrebbe cambiare l’agricoltura?
“Per ora non sta cambiando molto, salvo negli eventi estremi come alluvioni o siccità. Ma sono eventi locali che creano danni ingenti e, però, circoscritti a singole aree. L’agricoltura è l’unica soluzione ai cambiamenti climatici, perché al netto delle tecnologie, è l’unica attività a saldo zero di Co2: tanta ne prende e tanta ne emette. Certo, poi dobbiamo fare i conti con i trattori, i fertilizzanti e le tecnologie, e quindi non abbiamo più il saldo zero”.
Quindi?
“Dobbiamo anche in questo caso compiere un ragionamento di larga scala. La Danimarca, ad esempio, è autosufficiente per il combustibile a trazione agricola, usando l’olio di colza. E qui entriamo nell’area delle produzioni no food. L’Unione europea parla di bio-economia, che significa biotecnologie, chimica verde. Con l’Accademia dei Georgofili ho organizzato dei gruppi di lavoro e l’idea è capire quale può essere l’impatto dell’agricoltura anche e non solo sul versante alimentare. Le risorse fossili non sono infinite e dobbiamo pensare a risorse rinnovabili: biomasse, eolico, gas di fermentazione”.
Parteciperà alla Conferenza di Parigi?
“Penso di sì. Stiamo ragionando con le organizzazioni sindacali agricole”.
Quindi avremo finalmente un mandato unitario da parte del mondo agricolo italiano?
“Per ora ho parlato con Agrinsieme. Coldiretti la sensibilità sui temi dei cambiamenti climatici ce l’ha, ma non so se vorrà unirsi per una posizione o una rappresentanza comune”.
Lei è disponibile a farsi da portavoce?
“Certo. Ma temo che la Conferenza di Parigi sarà come Expo, con grandi documenti finali, che non lasciano alcun segno”.
Quindi il suo giudizio nei confronti di Expo è negativo?
“Penso sia un’occasione mancata, perché è una splendida kermesse commerciale, un grande evento turistico, ma non vedo altri risultati, finora, al di là delle conferenze anche interessanti che sono state organizzate. Peccato, perché poteva essere una grande opportunità. Sono stati costruiti edifici geniali, che pure saranno distrutti. L’evento ci è costato quattro miliardi, non sono pochi”.
Qual è l’errore di fondo, secondo lei?
“È mancata una regia culturale. Io nulla ho contro Coca Cola o McDonald’s, ma non so quale impegno possono dare sul fronte dell’alimentazione e dell’agricoltura. Sono due esempi di un modello che non credo possa sposarsi molto con l’obiettivo di Nutrire il pianeta”.
È scettico anche sul dopo Expo?
“Le ripeto, uscirà qualche documento finale di grande effetto, ma nulla di più, temo. Per non parlare poi della destinazione dei padiglioni e dell’area. O si decide di fare una città per l’agricoltura, oppure finirà tutto in malora. Ma la destinazione andava decisa prima e non dopo”.