Il flusso d’importazioni, che Coldiretti con le sue manifestazioni al Brennero ha più volte messo in evidenza, entra in Italia e finisce nei prodotti spacciati come made in Italy. Questo fenomeno nella provincia di Piacenza mette a dura prova il settore del pomodoro, già tartassato da un’annata sfavorevole ma che oggi può vedere una speranza in questa decisione che finalmente svelerà da dove arrivano e chi utilizza i fusti di concentrato e semilavorati da oltre 200 chili che vengono svuotati per confezionare barattoli e vasetti di pomodoro da distribuire al consumo nel Paese: un'importazione che per il pomodoro è pari al 20% della produzione nazionale.
“La decisione presa dal ministero - afferma Marco Crotti presidente di Cio - è un primo segnale per iniziare a contrastare la competizione sleale derivante dalle importazioni e dal falso made in Italy che colpisce il mercato del pomodoro. Oggi a Piacenza, le superfici coltivate a pomodoro stanno tornando a crescere, dopo aver toccato il minimo storico, ma questi flebili segnali positivi non bastano, vanno accompagnati da un’alta allerta sui temi della trasparenza, dell’etichettatura e della tutela dell’origine”.
“Chiarire quali aziende comprano materia prima estera è senz’altro un ottimo passo in avanti - afferma Filippo Arata, presidente di Ainpo -perché il consumatore ha diritto di sapere da dove arriva quello che ha nel piatto ed è giusto fornire tutte le informazioni affinché possa scegliere consapevolmente nella massima trasparenza e lealtà”.
Oltre al pomodoro, ad arrivare in Italia, sono anche cagliate, polvere di latte, caseine e caseinati provenienti dall’Est Europa che vengono poi utilizzati per produrre formaggi che non hanno mai visto l’ombra del latte e che fanno concorrenza sleale alle eccellenze italiane prodotte nel rispetto dei disciplinari e con altissimi standard di qualità. Nella sola Emilia Romagna, le importazioni di prodotti lattiero caseari sono passate da 295 milioni di euro nel 2006 ai 356 milioni di euro nel 2012.
“Per non parlare - prosegue Bisi - della provenienza di quella già poca quantità di frutta che troviamo nei succhi che il più delle volte arriva in Italia sotto forma di concentrato e che poi una volta in stabilimento viene diluito e allungato con acqua. Bene dunque la decisione di svelare il segreto che fino ad oggi non solo ha penalizzato molti imprenditori agricoli, che hanno subito questa concorrenza sleale, ma che ha anche ingannato i consumatori. Molti di essi, con una ridotta capacità di spesa a causa delle difficoltà della crisi, si sono orientati verso i low cost dietro i quali spesso si celano prodotti di minor qualità e garanzia, surrogati e aromatizzati per nasconderne lo scarso livello qualitativo. Nel 2013 gli allarmi alimentari in Italia sono aumentati del 14% con un totale di 534 notifiche sulla sicurezza di cibi potenzialmente dannosi: non possiamo più lasciare che questo accada, a rimetterci siamo noi, la nostra salute e la nostra economia”.
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Fonte: Coldiretti Piacenza