Come sempre, all’indomani di una tornata elettorale scatta la lotteria del toto-ministri.

Questa volta però, viste come sono andate le cose sotto l’effetto valanga dei grillini al loro debutto in Parlamento, l’esercizio è più complicato del solito. Qualcosa è cambiato.
Pierluigi Bersani, il leader del Pd che ammette di “aver perso pur essendo arrivati primi”,  è tutto concentrato a trovare una via di uscita a questa impasse e costruire anche una strana maggioranza con l’apertura al Movimento 5 Stelle. Che quella apertura subito ha deciso di chiudere, rispedendola al mittente con frasi anche sprezzanti. E anche la formazione del futuro Governo diventa un’impresa più difficile del solito.
In questo scenario, fare un elenco di nomi per arrivare a individuare il nuovo possibile ministro delle Politiche agricole è quanto mai azzardato, molto più che in passato.
Tuttavia, qualche idea è possibile farsela, incrociando la rosa dei nomi che circolano nei corridoi e nelle più riservate stanze della politica, con l'identikit politico-professionale che il nuovo ministro della'Agricoltura dovrebbe avere.

Mario Catania - Il responso delle urne ha fortemente ridimensionato il ruolo dell’Udc e questo potrebbe allontanare l’ipotesi che l'attuale ministro uscente, Mario Catania, possa succedere a se stesso.
Il suo nome era tra i più accreditati quando, alla vigilia delle elezioni,  a tener banco era il tormentone dell'ipotetico accordo Bersani-Monti. L’attuale ministro è stato eletto alla Camera dei Deputati con il partito di Casini, ma un Catania-bis all’agricoltura non sembra oggi all’ordine del giorno.

Sel - Nel Centrosinistra, in forza Sel, scalpita Dario Stefàno, che non aveva nascosto la sua intenzione di studiare da ministro dell’Agricoltura, dopo la lunga esperienza di assessore all’Agricoltura della Regione Puglia, nonché coordinatore degli assessori all’Agricoltura delle altre Regioni. 
Il suo sponsor è ovviamente il Governatore della Puglia e leader nazionale di Sel, Nichi Vendola. C’è però una piccola complicazione geo-politica: nel caso Vendola dovesse avere  un dicastero nell’esecutivo di Bersani, due pugliesi potrebbero essere troppi.

Pd - Più affollato, ovviamente, lo schieramento in casa Pd. C'è il nutrito serbatoio dei confermati parlamentari che si erano fatte le ossa in materia di agricoltura nelle rispettive commissioni di Camera e Senato dell'ultima legislatura. C'è poi Ernesto Carbone, new entry in Parlamento (quota Renzi), giovane avvocato calabro-bolognese, proiettato da anni nel settore agricolo come collaboratore storico dell'attuale presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo, Paolo De Castro.
Carbone è attualmente presidente e amministratore delegato di Sin, società di informatica per l’agricoltura pubblico-privata, controllata da Agea; è anche vice capo di Gabinetto del ministro Catania.
Nella vecchia guardia Pd, si fa anche il nome di Tiberio Rabboni, attuale assessore all’Agricoltura dell’Emilia-Romagna, ma per il suo futuro molto dipenderà dall’arrivo o meno a Roma del Governatore dell’Emilia Romagna, Vasco Errani, come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con Bersani premier.

Movimento 5 Stelle - E nell'astro politico nascente del Movimento 5 Stelle? Qui siamo alla fantapolitica, ma per dovere di cronaca ci limitiamo a segnalare che quelle poche volte che il leader-massimo Beppe Grillo si è concesso ai giornalisti, non ha mancato di ricordare di ricaricare le pile, tra una tappa e l'altra del suo tsunami tour, dedicandosi alla  coltivazione di verdure nell'orto della sua villa di Sant'Ilario a Genova. E negli scarni profili dei suoi candidati, figura anche un ingegnere informatico con la passione per l'agricoltura.

Il nodo della Pac - Di nomi in circolazione ce ne sono molti altri. Oltre che per brevità, abbiamo ristretto la rosa a questa short-list proprio perché hanno in comune, in virtù dei loro attuali incarichi istituzionali, una certa dimestichezza con l’agricoltura.
Un settore che, sanno bene i nostri lettori-agricoltori,  impone una conoscenza di quella complessa macchina politico-burocratica chiamata Pac, Politica agricola comune.
Che sarà pure un “mostro”, come la dipingono spesso gli stessi ingrati beneficiari, ma che resta pur sempre il più importante serbatoio finanziario per tutta l’agricoltura, italiana ed europea.
Non che nella storia recente di via XX Settembre siano mancati esempi, anche clamorosi, di ministri che l'agricoltura non sapevano neanche dove fosse di casa. Basta ricordare la girandola dell'ultimo governo Berlusconi, da Galan a Francesco Saverio Romano, prima dell'arrivo del supertecnico Catania.
Ma si dà il caso che, questa volta, il passaggio del testimone alla guida dell'agricoltura italiana coincida con il complesso negoziato sulla riforma della Pac a Bruxelles, dove si sta facendo più serrata la grande partita per la spartizione del budget 2014-2020.
Per l’Italia, la posta in gioco vale circa 50 miliardi di euro da spalmare nei prossimi sette anni: 27 miliardi per i cosiddetti aiuti diretti, ai quali si aggiungono altri 10,5 miliardi (che raddoppiano considerando anche il cofinanziamento nazionale) per il rilancio delle aree rurali.

All’ultimo vertice di inizio febbraio a Bruxelles, il premier uscente Monti e il ministro Catania - due supertecnici europeisti collaudati - avevano portato a casa un discreto risultato, con un sostanziale rafforzamento del budget assegnato all’Italia per lo sviluppo rurale.
Ora toccherà al nuovo Governo metterci altrettanto impegno e capacità.

Il calendario del negoziato non concederà tregue: a metà marzo è atteso il voto del Parlamento europeo sul compromesso finanziario raggiunto al vertice dei Capi di Stato e di Governo l'8 febbraio scorso a Bruxelles. Poi, se non ci saranno veti, a seguire si andrà avanti a tappe forzate cercando di tagliare il traguardo della riforma entro l'estate.
Insomma, per la scelta del nuovo ministro, che parli bene la lingua europea, non c'è toppo tempo da perdere: non vorremmo che mentre a Roma si continua a discutere, nel frattempo a Bruxelles la nuova Pac e, con essa,  la sua ricca dote finanziaria, sia già stata ampiamente espugnata dai nostri agguerriti partner comunitari.