Sono iniziate martedì 12 giugno, “come da protocollo” - sottolinea Eddo Rugini, responsabile del progetto di coltivazione sperimentale di piante transgeniche per conto del Dipartimento di produzione vegetale dell'Università della Tuscia di Viterbo - le operazioni di espianto.

 

Legalità ad ogni costo

Tutta la vicenda è iniziata a metà maggio con una lettera indirizzata ai ministri Corrado Clini e Mario Catania e alla presidente della Regione Lazio, Renata Polverini, dalla Fondazione Diritti Genetici e sottoscritta dal suo presidente, Mario Capanna. Oggeto della denuncia, il “perdurare di una situazione di illegalità – si legge nel testo - circa i campi sperimentali di ciliegi, kiwi e olivi transgenici ospitati nell’Azienda didattico-sperimentale dell’Università della Tuscia di Viterbo”.

 

Dieci anni in fumo

Il progetto, autorizzato nel '98 dal ministero della Sanità, aveva la finalità di indagare la possibile generazione di varietà arboree con dimensioni ridotte o con facilitata riproduzione vegetativa e varietà resistenti ad attacchi fungini. 
L'autorizzazione era decennale e allo scadere, spiega Rugini in un'intervista rilasciata ad Agronotizieabbiamo chiesto una proroga per terminare la ricerca ma, avendo ricevuto parere negativo, abbiamo chiesto di adottare un provvedimento favorevole alla prosecuzione delle sperimentazioni".
La risposta negativa del ministero dell'Ambiente è arrivata con una lettera recapitata il primo di giugno. Verdetto: l'espianto.

"Siamo ricercatori – si difende Rugini - vogliamo solo fare chiarezza cercando di produrre conoscenza ma in questo momento ci è impedito da leggi molto discutibili".

 

Le ragioni della mancata proroga

Alla base del rifiuto non ci sarebbero, secondo l'esperto, i rischi legati alla sperimentazione, bensì la mancata individuazione da parte della Regione Lazio dei siti idonei a sperimentazioni di questo genere. Nel corso dell’ispezione del febbraio 2010 fu, infatti, rilevato il rispetto delle condizioni previste dalle notifiche e, nelle prescrizioni ministeriali, in merito ai rischi per la salute umana e l’ambiente derivante dal rilascio all’aperto di piante Gm.

Stando alle disposizioni della Comunità europea – prosegue il docente - la Regione avrebbe dovuto provvedere cinque anni fa e il Mipaaf avrebbe dovuto approvare i protocolli di sperimentazione ma non lo ha fatto per mancanza di volontà".

 

Il polline non c'è

Si tratta – spiega Rugini - di piante assolutamente sicure, che non disperdono polline semplicemente perché non ce l'hanno. Le piante di actinidia femmine non hanno polline, gli ulivi non hanno ancora raggiunto la maturità sessuale e non hanno fiori e i ciliegi in fiore non sono transgenici.
I ciliegi transgenici sono sterili per cui non producono polline; l'unico a produrre polline è l'actinidia maschio, ma ogni anno in presenza dell'ispettore regionale asportiamo i fiori prima della loro apertura.
Naturalmente l'abbiamo fatto anche quest'anno, eliminando qualsiasi possibilità di diffusione del polline. In ogni caso, non ci sono coltivazioni di kiwi attorno, né tanto meno piante selvatiche che - come noto - stanno in Cina”.

 

Espianto ma con rilievo

La richiesta sottoscritta dalla Fdg di riportare la situazione alla legalità, richiedeva “scondo il principio di trarre il positivo dal negativo, di attuare un piano urgente di ricerca finalizzato all’acquisizione di informazioni sulle piante Gm prima di procedere alla dismissione”. Richiesta non accolta dal ministero dell'Ambiente che ha ritenuto “impossibile, stante la prioritaria necessità di assicurare la dismissione e bonifica del sito, prendere in considerazione ulteriori iniziative di ricerca”.

Più propenso al contrario il Mipaaf che, per voce del dirigente Bruno Caio Faraglia, ha fatto sapere di ritenere “utile effettuare campionamenti sul materiale vegetale e sull'ambiente al fine di valutare eventuali effetti non previsti al momento del rilascio dell'autorizzazione”.

 

Il lupo perde il pelo...

Già qualche anno fa il docente si era scontrato con le difficoltà insite al suo ambito di ricerca.

Il ministero delle Politiche agricole - racconta Rugini - aveva avviato un progetto per la costituzione di piante di pero resistenti all'Erwinia amylovora che stava devastando gli impianti nel nord Europa e in parte anche in Italia.
Al terzo anno di sperimentazioni ha però interrotto il finanziamento lasciandomi con un debito di 19mila e 300 euro che sto rifondendo personalmente all'Università da cui avevo ricevuto l'anticipo dei fondi”.

Ora, spiega con rammarico il docente, “pur con qualche difficoltà causata dal vento che impedisce l'utilizzo di disseccanti, stiamo praticando alle piante iniezioni di erbicida così da uccidere anche l'apparato radicale; poi bruceremo tutto.
Ci vorrà più o meno una settimana, le piante sono tantissime – circa 140 - e si va a rilento perché man mano che dissecchiamo cerchiamo di rilevare, per quello che è possibile, alcuni dati oltre a campioni di apparato radicale da analizzare se si manterranno in congelatore.
Sono – constata amareggiato - centinaia di migliaia di euro andati in fumo e mancavano solo un paio di anni per arrivare a raccogliere dati interessanti dal punto di vista agronomico, fisiologico, biochimico ma anche ambientale. Questo campo, infatti - conclude Rugini -, era stato concepito in modo tale che potessero tutti raccogliere dei dati facendo anche esperimenti sulla trasmissibilità del polline”.