Quando i primi coloni portoghesi e inglesi sbarcarono sulle coste del Natal, quasi non riuscirono a credere a ciò che si parava davanti ai loro occhi: una costa incontaminata di centinaia di chilometri, un porto naturale per proteggere le navi dalle tempeste dell'Oceano indiano, sterminate terre fertili, la promessa di un futuro ricco e stabile.
Per un'ironia della sorte, più di cinquecento anni dopo quel futuro carico di promesse sembra essersi arenato proprio su quelle spiagge dorate dove sorge oggi la città di Durban.
La lotta al cambiamento climatico, la cui riuscita è sempre più identificata come una delle condizioni per assicurare a tutti condizioni di prosperità, benessere e pace, ha subito una parziale battuta d'arresto alla diciassettesima conferenza mondiale sui cambiamenti climatici (COP17), promossa dall'Onu . Scopo dell'incontro, far sedere intorno allo stesso tavolo i delegati di oltre 190 Paesi per discutere del cambiamento climatico in corso e correre ai ripari prima che sia troppo tardi.
Alla conferenza è stato sì raggiunto un accordo, ma privo del coraggio e dell'ambizione necessari per invertire la rotta della crisi climatica globale. Un accordo in zona Cesarini, oltretutto: il vertice doveva terminare il 9 dicembre, ma la sua fine è stata posticipata di oltre un giorno e mezzo a causa delle difficoltà nel raggiungere una posizione comune.
Con il protocollo di Kyoto in scadenza nel 2012, l'obiettivo principale delle discussioni del summit di Durban si è concentrato soprattutto sul futuro delle contromisure al riscaldamento globale.
I lunghi e complessi negoziati, in cui spesso i diplomatici hanno discusso parola per parola i documenti, hanno infine portato alla definizione di un percorso che mira a raggiungere un accordo globale sul clima nel 2015, accordo che sarà presumibilmente in vigore a partire dal 2020. Molto debole anche l'accordo sul Green Climate Fund, il fondo progettato per sostenere finanziariamente i Paesi in via di sviluppo, spesso i più duramente colpiti dalle conseguenze del cambiamento climatico, ad attuare interventi di adattamento e mitigazione.
Se molti osservatori hanno commentato che a Durban si è visto soprattuto il trionfo della diplomazia europea, la stessa Unione non è rimasta del tutto soddisfatta dall'esito dei negoziati.
"Si tratta di un buon risultato a cui deve seguire un'azione concreta" ha dichiarato il deputato europeo di centro sinistra Jo Leinen, presidente della delegazione parlamentare per il summit, riferendosi all'accordo che prevede di tagliare le emissioni di gas serra entro il 2020. "Abbiamo bisogno che tutti i Paesi vadano nella stessa direzione per firmare un accordo contro il cambiamento climatico entro il 2015".
"Se l'accordo internazionale sarà effettivo unicamente a partire dal 2020 - ricorda Leinen - l'obiettivo comune di limitare il surriscaldamento del pianeta entro 2 gradi sarà messo in grave pericolo".
La svolte verde della Cina
Ma dai palazzi del potere di Durban vengono anche ottime notizie: anche Stati Uniti, India e Cina, spesso individuati come i principali 'inquinatori' al mondo, hanno finalmente deciso di continuare la lotta al cambiamento climatico.
"Mi congratulo con la Cina che ha mostrato che intende prendersi delle nuove responsabilità e giocare un nuovo ruolo nel mondo. Abbiamo bisogno di un maggiore impegno, perché ancora molto resta a fare" ha detto Karl-Heinz Florenz, deputato europeo di centro destra e vice-presidente della delegazione del Parlamento europeo a Durban.
Il Canada lascia il protocollo
Il tiepido ottimismo del dopo Durban ha ricevuto però un duro colpo: il Canada ha deciso di ritirarsi dal protocollo di Kyoto. E' il primo Paese al mondo ad aver preso una simile iniziativa. Non sono ancora stati specificati i tempi della sua fuoriscita, ma il motivo è chiaro: "Il protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici non funziona" ha detto il ministro dell'ambiente canadese Peter Kent.
Durban - Italia, la reazione di Confeuro
Il presidente di Confeuro, Rocco Tiso, si dice "preoccupato" per il "nulla di fatto" con il quale si è conclusa la conferenza sudafricana.
"I governi dei Paesi più sviluppati - sottolinea Tiso - non sono riusciti a varare un accordo unitario, mentre la loro attenzione dovrebbe essere maggiormente rivolta alle gravi condizioni di salute della terra, che si sta avvicinando sempre più velocemente a cambiamenti irreversibili".
La crisi climatica in Italia: i dati di Coldiretti
"La conferma della necessità di agire subito per contrastare i cambiamenti climatici al centro della conferenza di Durban viene anche dal fatto che il 2011 in Italia si classifica al sesto posto tra gli anni più caldi da oltre due secoli". Lo sottolinea la Coldiretti, sulla base delle rilevazioni dell'Isac-Cnr, Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna.
In Italia l'anno meteorologico 2011 ha fatto segnare temperature medie superiori di 0,88 gradi rispetto alla media di riferimento del periodo 1971-2000, andamento, osserva la Coldiretti, in linea con quanto avvenuto a livello globale, dove la temperatura media registrata è stata la decima più calda di sempre.
Inoltre il 2011, ha ricordato Coldiretti, è stato un anno segnato da eventi estremi, con frane ed alluvioni che hanno causato vittime e ingenti danni materiali, anche all'agricoltura.
"Le alte temperature registrate - afferma l'associazione agricola - evidenziano l'importanza di agire al più presto per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, che si fanno sentire con particolare intensità nelle campagne".
"L'impresa agricola - conclude la confederazione - deve interpretare il cambiamento ed i suoi effetti sui cicli delle colture, sulla gestione delle acque e sulla sicurezza del territorio".
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Fonte: Agronotizie