L'opinione pubblica, come gli agricoltori e gli scienziati sono preoccupati per la moria di api che interessa gli sciami a livello globale. Secondo gli ultimi dati lo scorso inverno gli apicoltori statunitensi hanno perso il 40% delle loro arnie. Se le cause dietro a quella che è stata definita la Sindrome dello spopolamento degli alveari non sono ancora chiare, è certo che alcuni fattori influiscono sulla salute delle colonie.

La varroa è un acaro parassita molto diffuso negli alveari che nutrendosi dell'emolinfa delle api le indebolisce rendendole più vulnerabili a stress abiotici e biotici, come ad esempio il virus dell'ala deformata. Un agente virale Rna, trasmesso dalla varroa stessa, che colpisce con maggiore frequenza le api indebolite.
 

Un batterio a difesa delle api

Vista l'importanza delle api per l'agricoltura a livello globale molti centri di ricerca si sono applicati negli ultimi anni per identificare le soluzioni al problema della moria di questi insetti. Una ricerca rivoluzionaria e promettente è quella che è stata sviluppata da ricercatori dell'Università del Texas e pubblicata sulla prestigiosa rivista Science.

Gli scienziati hanno infatti modificato geneticamente dei batteri che vivono naturalmente all'interno dell'intestino delle api per indurre negli insetti una maggiore resistenza alla varroa e al virus dell'ala deformata. Snodgrassella alvi è un batterio specie-specifico che vive esclusivamente all'interno di uno circoscritto tratto del canale digerente delle api ed è indispensabile agli insetti per digerire il miele e il polline.

Di fatto S. alvi si è co-evoluto con le api e ha stretto un rapporto simbiotico aiutando questi insetti non solo nel processo nutritivo ma anche regolando il funzionamento del sistema immunitario. Si tratta di un batterio fondamentale per la sopravvivenza delle api e può rappresentare fino al 40% della microflora intestinale. D'altronde anche nell'essere umano, come abbiamo scritto in questo articolo, vivono una molteplicità di batteri senza i quali semplicemente non potremmo sopravvivere.

Gli scienziati statunitensi hanno utilizzato le più moderne tecnologie di ingegneria genetica per creare due differenti ceppi di questo batterio con l'obiettivo di difendere le api dalla varroa e dal virus. I risultati sono stati molto promettenti: in laboratorio le api a cui è stato somministrato il batterio modificato hanno registrato una mortalità al virus inferiore del 36,5% rispetto al testimone non trattato. Mentre gli esemplari di varroa parassiti di api colonizzate dal batterio modificato hanno avuto una mortalità maggiore del 70%.

Questa ricerca apre interessanti scenari per la difesa delle api. In futuro all'agricoltore potrebbe bastare somministrare una soluzione di acqua e zucchero, contenente i batteri modificati, per aumentare la resistenza degli alveari. I ricercatori rassicurano poi che non bisogna temere che questi batteri si diffondano nell'ambiente una volta usciti dal laboratorio in quanto la loro sopravvivenza è legata al rapporto simbiotico con le api e non sarebbero in grado di sopravvivere al di fuori di questi insetti, neppure all'interno di altri organismi simili, come i bombi.
 

La speranza dell'Rna interferente

Tutti gli organismi viventi hanno sviluppato nel corso di milioni di anni dei sistemi di difesa nei confronti dei microrganismi patogeni. Uno di questi è denominato Rna interferente ed è un meccanismo che si attiva quando il corpo viene attaccato da un virus Rna. Quando il virus entra all'interno della cellula ospite per replicarsi produce delle molecole dsRnas (double-stranded Rnas). Se una cellula sana intercetta queste molecole si attiva il meccanismo Rna interferente che ha come target proprio il virus, che viene neutralizzato.

Gli scienziati hanno modificato il Dna dei batteri S. alvi affinché producano proprio le molecole dsRnas, in qualche modo simulando l'attacco virale.  In questo modo, una volta nell'intestino dell'ape, queste molecole ne attivano il sistema immunitario che è dunque in grado di contrastare efficacemente il virus.

Qualcosa di simile è stato fatto anche per la varroa. In questo caso gli scienziati non hanno potuto sfruttare il sistema immunitario dell'ape contro questo parassita. Ma il colpo di genio è stato quello di indurre una risposta autoimmune proprio nell'acaro.

I batteri geneticamente modificati rilasciano infatti all'interno dell'intestino dell'ape sequenze particolari di Rna che vengono assorbite dall'emolinfa dell'insetto e da qui arrivano all'interno della varroa. Una volta nell'organismo dell'acaro queste sequenze inducono una risposta Rna interferente che tuttavia non è indirizzata al contrasto di un organismo patogeno esterno, ma all'acaro stesso, che muore a causa di una risposta autoimmune del suo sistema immunitario.