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A poco pare sia quindi servito ribadire oltre ogni ragionevole dubbio che glifosate è sicuro e che le Autorità di regolamentazione mondiali hanno ritenuto il diserbante non cancerogeno per le persone. A dimostrazione che l’argomentario di puro stampo normativo non attecchisce, né tanto meno risulta efficace il profilo basso che spesso le multinazionali e le loro associazioni preferiscono assumere quando attaccate.
Forse sarebbe venuto il momento di ammettere, a partire proprio dalle industrie, che investire in comunicazione proattiva, chiara, netta, senza compromessi e illusorie diplomazie, costerebbe molto meno di 13 miliardi di dollari, magari riuscendo pure a ribaltare il mainstream dominante anti-pesticidi. Un mainstream che anch’esso costa, visto che gli studi legali americani avrebbero speso la bellezza di 91 milioni di dollari per reclutare, questo è l’unico termine possibile, nuovi querelanti per ingrossare le fila della class action.
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Fare pubblicità su giornali e televisioni ha in effetti un prezzo salato da pagare, però porta sicuramente a ottimi risultati. Secondo quanto emerso da un’indagine di X Ante, società di monitoraggio degli annunci, Roundup sarebbe infatti stato il prodotto numero uno nella pubblicità televisiva a fini di reclutamento. Per contro, sarebbero “solo” 23 i milioni di dollari spesi in advertisement pro-Roundup nel 2020. Roundup si è quindi classificato terzo fra i prodotti più citati e pubblicizzati, dietro a Zantac, farmaco per il bruciore di stomaco, e al talco, per i quali sono stati spesi rispettivamente 37,9 e 34,8 milioni di dollari.
In effetti, di bruciori di stomaco e di irritazioni diffuse ne devono essere circolate molto, sia in America, sia in Germania, pensando ai 10,9 miliardi di dollari già concordati da Bayer per chiudere la maggior parte delle cause, cui ora si aggiungerebbero gli altri due.
In sostanza, le cifre sono 91 milioni contro un totale di quasi 13 miliardi. Inutile chiedersi quali siano state le vere ragioni della criminalizzazione dell’erbicida, a partire dalla ormai indifendibile monografia di Iarc. Una criminalizzazione che a quanto pare serviva unicamente a preparare un vero e proprio assalto alla diligenza.
Sarà quindi sempre più dura per le industrie investire in prodotti chimici, per lo meno finché l’America non metterà una pezza normativa alla gigantesca falla che si è generata sul fronte delle class action, facendole passare da condivisibili strumenti di equalizzazione a veri e propri saccheggi legalizzati.
E le policy aziendali e associative, basate su formalismo stilistico, linguaggio legalese e guanto di velluto, è ormai venuto il momento di ammettere che hanno fallito.