Difficilmente si trova un animalista che non sia al contempo ecologista e viceversa. Chi ama visceralmente gli animali, di solito, ama infatti altrettanto visceralmente l'ambiente. Poi, che ciò avvenga su basi scientifiche oppure meramente ideologiche è tema ampiamente discutibile. Anche gli ambientalisti, da parte loro, sono tendenzialmente animalisti, per lo meno con gli animali selvatici. Basti pensare alle campagne a favore di balene, rondini, orsi, lupi e più recentemente a difesa delle api.

Se però gli animali sono allevati in laboratorio per essere avviati a sperimentazione, la comunanza ideologica fra animalisti ed ecologisti si spacca nettamente mostrando reazioni opposte alla medesima notizia circa i programmi dell'Epa, l'Agenzia americana per la protezione dell'ambiente.

L'Epa avrebbe infatti deciso di ridurre drasticamente l'uso di cavie nei test di tossicità previsti dalle attuali normative per stimare la potenziale pericolosità per l'uomo di agenti esterni cui appunto l'uomo potrebbe essere esposto. Tali test li si vorrebbe infatti sostituire, almeno in parte, tramite un maggior uso di test in vitro e modelli previsionali di tipo informatico atti a stimare i range di possibile tossicità di una molecola in base a quelli mostrati da altre molecole similari. Molti scienziati-ambientalisti, figure troppo spesso sovrapposte fra loro, sostengono però che la mossa sia prematura e potrebbe minare l'affidabilità della regolamentazione delle sostanze chimiche promuovendo molecole più pericolose del preventivato.

Purtroppo e come al solito, tali soggetti pare non siano nemmeno sfiorati dall'idea che tale approccio possa invece rendere in futuro ancor più restrittive le valutazioni, bocciando magari molecole promettenti solo sul dubbio. Perché anche questo potrebbe essere un rischio concreto: rendere molto più difficile alle industrie registrare nuove soluzioni nei più disparati settori, dalla farmaceutica all'agricoltura. Il cosiddetto "principio di precauzione", se venisse malauguratamente invocato in tal senso, potrebbe cioè fare più danni in futuro di quanti ne abbia già fatti sino a ora.
 

La nota dell'Epa

Il 10 settembre 2019 l'amministratore dell'Epa Andrew Wheeler ha inviato una nota interna al personale dell'Agenzia in cui si comunicava l'intenzione di seguire una via più etica, avulsa da sperimentazione sugli animali. Tale nota è giunta dopo che Wheeler ha firmato una direttiva che impegna l'Epa a ridurre i finanziamenti per gli studi sugli animali. Inizialmente tale riduzione dovrebbe fissarsi nel 30% dell'attuale budget, taglio da effettuarsi entro il 2025. La totale eliminazione di tali finanziamenti dovrebbe giungere poi nel 2035. A partire da tale data, tutti i test che coinvolgeranno animali necessiteranno dell'esplicita approvazione dell'amministratore di Epa.

A conferma di tale decisione, sono giunti 4,25 milioni di dollari di sovvenzioni concesse da Epa a diversi centri e università, finalizzati alla ricerca di metodi alternativi alle tradizionali prove di tossicità. Si parla della Johns Hopkins University di Baltimora, della Vanderbilt University di Nashville, della Oregon State University e dell'Università della California Riverside.

Ovvie quindi le reazioni di giubilo degli animalisti, da sempre sostenitori dell'inutilità delle prove di laboratorio in vivo. Tutt'altro che felici invece gli ambientalisti e a poco pare siano valse le rassicurazioni dei funzionari dell'agenzia, i quali sostengono che tale transizione non limiterà la regolamentazione chimica né ridurrà la sicurezza pubblica.
 

Reazioni contrapposte

Gli animali da laboratorio, ratti e topi in primis, sono protagonisti fondamentali negli attuali processi di valutazione della sicurezza delle sostanze chimiche. Non a caso i commenti caustici su tale decisione non hanno tardato a giungere, come quelli di Laura Vandenberg, la quale lavora nel Dipartimento di Salute ambientale dell'Università del Massachusetts e teme che l'Epa si stia effettivamente legando le mani limitando i test a quelli in vitro, su semplici cellule, oppure simulando i livelli di tossicità con modelli previsionali.
Secondo Vandenberg, infatti, "Non vi è alcun effetto negativo in una capsula di Petri".

Verissimo. Per esempio, la ciclofosfamide, chemioterapico a uso umano, non ha alcuna azione su cellule tumorali poste in capsule Petri, dal momento che necessita di un passaggio attraverso il fegato per essere modificata e resa efficace. Limitandosi ai test in vitro, quindi, non si sarebbero mai scoperti gli effetti curativi della molecola. Stessa cosa dicasi per la tossicità su cellule sane: se una sostanza non intacca cellule epatiche, per esempio, non significa che non possa avere un'azione negativa sui feti in via di sviluppo nel ventre materno. 

Attenzione però, perché tale considerazione vale anche alla rovescia: non è affatto detto che una sostanza risultata nociva su cellule del tutto indifese, isolate dal resto dell'organismo, lo sia ancora su un organismo perfettamente formato. Un tema al quale AgroNotizie ha dedicato uno specifico approfondimento.

La paura degli ecologisti è quindi più che comprensibile, salvo che ora potrebbe essere interessante vedere cosa accadrà nei loro rapporti con gli animalisti. O ancor meglio, si è curiosi di osservare le reazioni di persone contemporaneamente ecologiste e animaliste, probabili vittime di conflitti interiori profondi su tale tema. Le ideologie, infatti, possono talvolta generare dissonanze cognitive imponenti.
 

Conflitti insanabili

"S'ode a destra uno squillo di tromba; a sinistra risponde uno squillo". Questo l'attacco del coro inserito da Alessandro Manzoni ne "Il Conte di Carmagnola" a descrivere la battaglia di Maclodio fra Viscontei e Veneziani. E sulla decisione dell'Epa in tema di sperimentazione animale pare che di "squilli di tromba" ve ne sia di particolarmente acuti.

Per esempio, la Humane society of the United States, gruppo a difesa degli animali, ha elogiato l'Epa, sollecitando le industrie e le altre parti interessate a "continuare in questo slancio e ad abbandonare i test sugli animali".

Al contrario, per il Natural resources defense council, gruppo di difesa ambientalista di New York, tale mossa rappresenterebbe addirittura una "cattiva alleanza" tra l'industria chimica e i gruppi per i diritti degli animali, i quali stanno da tempo esercitando pressioni per fermare i test sugli animali.

Ogni lobby, quindi, pare sia bella a mamma sua.


E i ricercatori indipendenti?

Anche se l'Epa dovesse ridurre davvero i test relativi alle autorizzazioni delle sostanze chimiche, chi si occuperà delle migliaia di test effettuati annualmente da una ridda infinita di gruppi di ricerca, estranei ai processi normativi, i quali vogliono provare oggi la pericolosità di un erbicida sulle rane e domani quella di un ogm sui topi? Il tutto, magari, nel più totale disprezzo degli scenari realistici, della plausibilità delle dosi e delle modalità di esposizione.

Perché anche questi centri di ricerca "indipendenti" sacrificano milioni di cavie annualmente per poi pubblicare i risultati nefasti ottenuti su qualsivoglia tipo di rivista, spesso prediligendo quelle di basso profilo e dalla peer review "amichevole".

Quale senso ha infatti provare degli agrofarmaci sui girini a dieci volte la dose di impiego in campo, come fatto da Carsten Brühl, dell'Università di Koblenz-Landau, attaccando poi l'intero sistema autorizzativo europeo? Oppure, quale informazione tossicologica potrebbe mai derivare dall'iniezione nei ratti per via intraperitoneale o intrapleurica di soluzioni ad alta concentrazione di "pesticidi"? Infine, ha senso somministrare a embrioni di pollo e anfibi delle dosi di erbicida che spaziano dalle centinaia alle migliaia di volte quelle reali, al fine di attribuire a glifosate malformazioni ossee?

Risposta abbastanza semplice: no, non ha alcun senso. Come pure questa serie di ricerche nulla aggiunge dal punto di vista della conoscenza scientifica. L'unica ragione di effettuare simili test resta forse quella di operare deliberatamente su scenari del tutto irrealistici al fine di produrre effetti tossici certi, forieri di pubblicazioni da utilizzarsi poi per creare allarmismi ingiustificati.

Ecco: per rendere davvero più etica la sperimentazione sugli animali sarebbe forse bene iniziare a rifiutare la pubblicazione di "ricerche" effettuate senza alcun criterio scientifico, avulse cioè dell'indispensabile valutazione preliminare dell'esposizione per meglio tarare gli esperimenti stessi. Basterebbe cioè prevedere linee guida inderogabili che obbligassero a valutare nei test di laboratorio anche gli scenari e dosi reali, o per lo meno plausibili, scoprendo così che in tali condizioni il più delle volte nulla accade

Ciò renderebbe del tutto inutile la pubblicazione stessa di una mole importante di ricerche a sfondo sensazionalistico. Un disincentivo alquanto pesante, questo, per un vero esercito di pseudo scienziati attualmente molto attivi sul fronte dell'editoria allarmista.

Fatto salvo quindi che il parere di chi scrive sulla decisione dell'Epa è al momento negativo, salvo sviluppi diversi in futuro, di certo andrebbe visto come un grande balzo etico impedire inutili stragi di animali innocenti solo per guadagnarsi qualche pubblicazione in più, oppure comparsate su giornali tv, foriere di possibili finanziamenti futuri.  

Il vero fronte dell'animalismo dovrebbe quindi concentrarsi su questo di tema. Perché mentre gli armageddon sanitari vaticinati da certi ricercatori sono del tutto irrealistici, la sofferenza e la morte delle cavie immolate per le loro carriere resta enorme. Soprattutto, resta inutile.

"La tossicologia spiegata semplice" è la serie di articoli con cui AgroNotizie intende fornire ai propri lettori una chiave di lettura delle notizie allarmanti sul mondo agricolo in generale e su quello fitoiatrico in particolare.

Perché la tossicologia, in fondo, è più semplice da comprendere di quanto sembri.