Nella regione desertica dell'Ararat, nell'Armenia occidentale, un gruppo di sei astronauti - tra cui l'italiano Simone Paternostro - sta simulando lo sbarco su Marte e collaudando le attrezzature che serviranno per i futuri viaggi sul pianeta rosso.
Si tratta della missione Amadee-24, coordinata dall'Austrian Space Forum in collaborazione con l'Agenzia Spaziale Armena, assieme ad altri gruppi di ricerca ed enti di 26 paesi, compresa l'Italia.
Un'esercitazione che cerca di simulare in tutto le condizioni in cui si troveranno i primi astronauti, dalla conformazione geologica alle comunicazioni con Vienna in differita di 10 minuti, dalle strumentazioni di bordo ai moduli e alle attrezzature abitative per sopravvivere sul suolo marziano.
E tra queste attrezzature c'è anche l'Hort3Space, un dispositivo di coltivazione idroponica ipertecnologico messo a punto da Enea in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale dell'Università La Sapienza di Roma.
Una prova sperimentale di coltivazione di microverdure presso la seda Enea di Casaccia (Rm)
(Fonte: Enea)
Un sistema di coltivazione idroponica innovativo, completamente automatizzato, modulare, dotato di specifiche luci Led e di un braccio robotico integrato che dovrà produrre verdure fresche per gli astronauti, riducendo al minimo il lavoro delle persone, gli sprechi di risorse e massimizzando l'efficienza produttiva e il recupero degli scarti.
L'obiettivo è quello di produrre cibi freschi ad alto valore nutrizionale - in particolare ravanelli e cavoli rossi - ricchi specialmente di vitamine, sali minerali e antiossidanti. Si tratta tecnicamente di microverdure, cioè di poco più che foglie di piantine appena germinate.
Nello specifico, i sei astronauti - o meglio "astronauti analoghi", in quanto anche loro al momento sono astronauti simulati - dovranno verificare la fattibilità dell'intero processo di coltivazione valutare i consumi energetici e quelli dei fattori di produzione, come acqua e fertilizzanti, e studiarne la produttività.
L'Enea non è nuova a questo tipo di ricerche. Da oltre dieci anni infatti i suoi ricercatori stanno lavorando a sistemi di coltivazione ipertecnologici da utilizzare nelle missioni spaziali, sia a fini di ricerca, sia soprattutto per la produzione di verdure fresche fuori dal nostro pianeta, come nel caso di GreenCube, un micro orto sperimentale che già sta producendo verdure in un satellite in orbita a 6mila chilometri dalla Terra.
Un filone di ricerca che porterà cibo fresco agli esseri umani nello spazio e che, come tutta la tecnologia spaziale, avrà una ricaduta diretta anche sulle tecnologie normalmente usate a scopi prettamente produttivi ed economici.
Quindi non c'è solo l'importanza tecnica di realizzare una tecnologia necessaria per future missioni fuori dal pianeta - e se vogliamo anche l'orgoglio di portare in qualche modo cibo italiano su Marte o da qualche altra parte - ma come è già successo per tutte le imprese spaziali, c'è uno slancio di innovazione che darà i suoi benefici anche qui sulla Terra.