La votazione della scorsa settimana relativa alla Legge sul Ripristino della Natura, ora proiettata al nuovo step di discussione con il Consiglio Ue, ha visto tutti vincitori. Da un lato le rappresentanze del mondo agricolo, che hanno esultato perché, con l'esclusione in limine dell'articolo 9 della Legge, gli agricoltori sono stati esentati da azioni di ripristino degli ecosistemi agricoli. Sul fronte opposto, gioisce la generazione di Greta, dei Fridays for Future e di chi, invece, è convito che sia stato approvato un atto normativo a difesa della biodiversità in Europa. Dove sta la verità?

 

Non ho la risposta. Quello che è certo è che dalla votazione finale è emerso un Parlamento completamente diviso (336 voti a favore, trecento contrari e tredici astensioni) ed è forse su questo aspetto che bisogna avviare una riflessione, alla vigilia del rinnovo assembleare nel 2024.

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In linea teorica, la proposta di un'Europa più verde, più attenta alla tutela della biodiversità, impegnata a ripristinare il 20% degli ecosistemi a livello europeo è condivisibile. Quello che stona è come raggiungere tale obiettivo o, meglio ancora, a scapito di chi raggiungere tale obiettivo. E se si pensa di farlo riducendo del 10% la superficie agricola dell'Ue, che significa solo nel contesto italiano tagliare oltre 1 milione di ettari e gettare una Produzione Lorda Vendibile (Plv) pari a 6 miliardi di euro, allora vuol dire che il tema della sicurezza alimentare è completamente sfuggito da ogni ragionamento. E quello che è peggio e umiliante è che non si è capito qual è il ruolo degli agricoltori, custodi del territorio, del paesaggio, della sicurezza dei luoghi, prima ancora che deputati a garantire una produzione agricola sana e sicura.

 

Bisognerebbe forse ripartire dai fondamentali, dai Trattati di Roma del 1957 che istituirono la Politica Agricola Comune (Pac) (entrata in vigore nel 1962) e che non menzionarono mai la parola ambiente, perché ritenuta tutt'uno con l'agricoltura. L'agricoltura è ambiente. Da qui bisogna orientarsi per cercare certo di ridurre l'impatto sugli ecosistemi, migliorare la produttività, adattarsi ai cambiamenti climatici. Dobbiamo chiederci, innanzitutto, chi salverà l'agricoltura? E come proiettare l'agricoltura nel futuro?

 

Alla prima domanda non c'è che un'unica risposta: gli agricoltori. Saranno loro a doverla proteggere e salvare, come San Giorgio che per liberare la principessa è chiamato a sconfiggere il drago. In Olanda il movimento BBB si è organizzato ed è sceso in campo contro una visione della politica che punta il dito sull'agricoltura e la considera fonte di tutti i problemi ambientali. La risposta è stata compatta: giù le mani da chi produce cibo. La domanda che ne costituisce il corollario allora potrebbe essere questa: e se si organizzasse un partito europeo degli agricoltori, per presentarsi all'appuntamento elettorale dell'anno prossimo?

 

Alla seconda domanda ("come proiettare l'agricoltura nel futuro?") si possono dare differenti risposte e operare in più direzioni. Vi sono esigenze concomitanti alle quali rispondere tramite la tecnologia, nuovi modelli produttivi, normative in grado di accompagnare la crescita senza per questo vessare gli agricoltori e le catene di approvvigionamento.

Preservare le risorse naturali e ripristinare gli ecosistemi è solo una delle direzioni, insieme all'esigenza di incrementare la produttività in campo, in ambito zootecnico e nella piscicoltura, alla riduzione degli sprechi alimentari lungo le catene di approvvigionamento, incrementare la shelf life dei prodotti agricoli, sviluppare sistemi di conservazione più efficienti, reti di comunicazione e logistica più veloci, processi di digitalizzazione per rendere le catene di approvvigionamento più fluide.
Tutto questo senza dimenticare gli sforzi legati al miglioramento del benessere animale, alla riduzione dell'utilizzo dei farmaci, all'uso delle biotecnologie per rispondere a un clima che sta cambiando, a nuovi percorsi per produrre cibi con caratteristiche organolettiche e nutrizionali migliori rispetto al passato, così da rispondere al trend di crescita mondiale della popolazione e della necessità di avere a disposizione maggiori sicurezze alimentari.

 

Come dovrebbe comportarsi l'Unione Europea? Una prima risposta arriva dagli obiettivi del semestre di presidenza spagnola del Consiglio Ue in corso (purtroppo in parte azzoppata dalle elezioni nazionali che alla fine del mese daranno alla Spagna un nuovo Governo), che dovrà appunto coniugare le politiche verdi e di natura ambientale con il benessere animale, la tutela delle Indicazioni Geografiche (Ig), l'autosufficienza alimentare alla popolazione europea, tenuto anche conto di una crescita del commercio globale di commodity che la Fao prevede dimezzata nel decennio 2023-2032 rispetto al decennio precedente e con una produzione agricola in Europa frenata da un riassetto ambientale. Con una guerra in corso alle porte dell'Europa e con un'inflazione che, nonostante i proclami, resta elevata ed è responsabile di un aumento dei tassi di interesse che frena gli investimenti.

 

Il segnale, tuttavia, che gli agricoltori si attendono è quello di una Unione Europea più sensibile alla missione degli agricoltori, più riconoscente nei confronti del ruolo che già oggi svolgono, in grado di sostenerne gli sforzi per adattarsi alla sostenibilità e non, al contrario, una Commissione Europea contro il sistema agricolo e contro gli agricoltori e gli allevatori. Anche perché, in ottica mondiale, l'Europa incide per l'8-9% delle emissioni globali. Senza una visione di equilibri planetari, magari da perseguire all'interno del G7 e del G20, si rischia di penalizzare l'agricoltura comunitaria, senza oltretutto dare risposte in termini ambientali.