Quale sarà la sorte del rinnovo dell'accordo per esportare grano e cereali dall'Ucraina, in scadenza giovedì 18 maggio 2023?

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La famosa Black Sea Initiative, siglata a fine luglio dello scorso anno fra Ucraina, Russia, Onu con la mediazione della Turchia e prorogata l'ultima volta di soli sessanta giorni (contro i 120 giorni precedenti) lo scorso 18 marzo, verrà confermata oppure Mosca si metterà di traverso qualora non venisse accolta la richiesta russa di poter comprendere nell'accordo anche i cereali e i fertilizzanti russi?

 

La questione è particolarmente delicata e non è per nulla scontata. La Federazione Russa, attraverso il viceministro degli Esteri, Sergej Vershinin, è apparsa categorica. "Il lavoro e i contatti continuano. Tutte le scadenze e i desideri delle parti possono essere considerati, ma non agiremo in contrasto con i nostri interessi", ha dichiarato Vershinin.

 

Leggermente più morbida la posizione espressa da una fonte anonima turca e rilanciata dall'Agenzia di stampa russa Tass, in base alla quale "ci sono informazioni secondo cui l'accordo verrà eventualmente esteso dopo il 18 maggio. E ci sono aspettative che l'esportazione di prodotti russi sarà inclusa nell'accordo".

 

Ma proprio la Turchia, con le elezioni in bilico fra il "sultano" Erdogan e lo sfidante Kilicdaroglu (mentre scriviamo i risultati sono ancora in bilico), potrebbe cambiare la propria rappresentanza politica e, chissà, innescare un processo democratico in grado di tracciare una distanza maggiore dalla Russia, finora con Erdogan blandita con una neutralità di fronte alle sanzioni e a sostanziose importazioni di natura commerciale. La questione è molto in bilico e non è chiaro se l'atteggiamento della Turchia potrebbe prendere una direzione leggermente diversa.

 

I numeri, intanto, dicono che dallo scorso agosto quasi 30 milioni di tonnellate di grano hanno lasciato l'Ucraina, alleggerendo parzialmente i silos nel Paese martoriato dalla guerra di Putin, e alleviando in parte le forti criticità sul piano dell'emergenza alimentare, con oltre 47 milioni di persone spinte in quella che il Programma Alimentare Mondiale ha definito "fame acuta".

 

Eppure, vi sono numeri in base ai quali il maggiore beneficiario dell'export ucraino di grano sarebbe la Cina, che detiene oltre la metà (52,2%) degli stock mondiali di frumento, destinati - almeno secondo le previsioni del Dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti (Usda), pubblicate sul sito Teseo - entro la fine dell'annata 2023-2024 a rafforzarsi ulteriormente, per arrivare al 52,8% e sfiorare la quota di 140 milioni di tonnellate.

 

Sul punto è intervenuto, nei giorni scorsi, l'ambasciatore James O'Brien, capo dell'Ufficio di Coordinamento delle Sanzioni del Dipartimento di Stato americano. "Vorremmo vedere la Cina agire come la grande potenza che è e fornire più grano alle popolazioni povere di tutto il mondo" ha detto. "La Cina è stata un acquirente molto attivo di grano e sta accumulando grano... in un momento in cui centinaia di milioni di persone stanno entrando nella fase catastrofica dell'insicurezza alimentare".

 

Con 357.500 tonnellate di frumento inviate nel corso del 2022, l'Ucraina, nel 2022, è stato il sesto fornitore di frumento dell'Italia, alle spalle di Francia, Ungheria, Canada, Austria, Slovenia. E nel solo mese di gennaio di quest'anno, l'Italia ha importato dall'Ucraina 40.600 tonnellate di frumento.

 

Quanto al mais, nel 2022 l'Italia ha acquistato dall'Ucraina 1.230.900 tonnellate, in crescita del 56,8% rispetto all'anno precedente e a gennaio 2023 gli acquisti italiani di mais ucraino sono saliti a 274.300 tonnellate (+27,7% sullo stesso mese del 2022). Al contrario l'Ungheria, che nel 2022 è stato il primo partner commerciale dell'Italia con 1.270.100 tonnellate, proprio davanti all'Ucraina, quest'anno potrebbe cedere lo scettro a Kiev, visto che a gennaio 2023 le vendite di mais sulla rotta da Budapest all'Italia sono diminuite del 57,9%.

 

Naturalmente è presto per dare un quadro definitivo, ma l'orientamento fin qui espresso è stato abbastanza chiaro, anche con ogni probabilità per i prezzi di acquisto più favorevoli offerti dai trader operanti in Ucraina.

 

Spostando l'attenzione a livello comunitario, la situazione appare ad oggi ancora ingarbugliata. Nei giorni scorsi i ministri dell'Agricoltura di dodici Stati membri (Austria, Belgio, Croazia, Danimarca, Estonia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Olanda e Slovenia) hanno espresso la propria preoccupazione per la disponibilità della Commissione Ue a garantire ad alcuni Paesi dell'Europa Orientale (Polonia, Ungheria, Slovacchia, Bulgaria e Romania) misure di salvaguardia per consentire a tali Paesi di bloccare la commercializzazione di grano, mais, colza e girasole ucraino, a condizione di non impedirne il transito verso altri Paesi europei.

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In quest'ottica - e per frenare il crollo dei prezzi dei cereali nei Paesi dell'Europa Orientale - la Commissione Ue avrebbe, accanto a misure di salvaguardia, assegnato fondi per sostenere gli agricoltori: una prima tranche approvata lo scorso marzo di 56,3 milioni di euro e una seconda dotazione di 100 milioni di euro, proposta a metà aprile. Fondi sui quali i 12 Stati membri firmatari chiedono un approfondimento.