All'inizio sembrava una missione complessa e velleitaria, con un corso universitario dedicato alla montagna con opportunità limitate e molti stereotipi a ingabbiarne le potenzialità. Eppure, la capacità, la caparbietà e la visione "olistica" della professoressa Anna Giorgi dell'Università di Milano hanno proiettato il Polo Unimont di Edolo, nel bresciano, fra le sedi universitarie al top dedicate alla montagna a livello internazionale. Tanto che, sottolinea la professoressa Giorgi (ordinaria di Botanica Ambientale e Applicata) con orgoglio, "i nostri bandi ottengono sempre un numero significativo di partecipazione, a conferma di una nuova mentalità fra gli studenti e i giovani".

 

L'abbiamo intervistata, consapevole del ruolo dell'agricoltura anche nelle cosiddette "aree svantaggiate", che rivestono un'importanza cruciale per l'ecosistema, la difesa idrogeologica del territorio, la cura di un paesaggio unico, la produzione di cibo, la cultura di tradizioni secolari.

 

Professoressa Anna Giorgi, chi si iscrive all'Università della Montagna, quali sbocchi professionali intraprende dopo la laurea?

"Premessa: qui da noi si iscrivono giovani da tutta Italia, appassionati, determinati e ostinati a vivere bene, piuttosto che diventare ricchi. Hanno capito che la qualità della vita non passa necessariamente dal denaro. Sono giovani intraprendenti e interessati alla montagna come luogo in cui vivere. La nostra ambizione è quella di formare imprenditori consapevoli e i giovani che frequentano Unimont sono l'esempio di una energia positiva. Accanto alla laurea triennale siamo partiti con una laurea magistrale, che ha studenti internazionali, dall'Iran e dall'India.

 

Le opportunità non sono solo connesse all'agricoltura, ma alla vita e all'impresa in montagna in senso più ampio. E chi frequenta i nostri corsi non necessariamente proviene dalla montagna, ma anche dalle città. Le opportunità sono legate non solo alla zootecnia, ma anche alle filiere legate al territorio, al turismo, alla viticoltura. Con il cambiamento climatico in atto le montagne avranno una grande opportunità, sia per le produzioni agricole che per la viticoltura. La Franciacorta, zona di prestigiose produzioni vinicole, sta guardando alle pendici più in quota della Valcamonica per allevare i vigneti. A Edolo si produce ottimo vino bianco con una varietà resistente, il Solaris, incrocio fra il Riesling e il Pinot. Si aprono, dunque, opportunità per colture che prima non erano previste, che sfruttano le escursioni termiche e danno qualità dei prodotti.

 

Quello che questo corso di laurea vuole trasmettere, oltre alle nozioni teoriche, è il nuovo ruolo che possono avere gli agricoltori in montagna, che dovranno essere considerati come li reputano in Svizzera, dei veri e propri manager del territorio. È un fatto culturale, non c'è lavoro più nobile che produrre cibo per la collettività".

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L'agricoltura di precisione e l'innovazione digitale possono aiutare la montagna?

"L'agricoltura digitale serve a ridurre il lavoro manuale dell'uomo, ridurre il consumo di risorse naturali sempre più preziose sull'ambiente, monitorare e intervenire in modo mirato: aspetti fondamentali per il futuro dell'agricoltura".

 

In cosa consiste il progetto AgriTech?

"Come Polo universitario di Edolo facciamo parte di AgriTech, all'interno dello spoke numero 7 dedicato alle aree marginali. Stiamo collaborando con dodici università e tra i vari compiti che abbiamo c'è quello di portare innovazione nelle microfiliere vegetali e animali, dal lattiero caseario alle produzioni di agrobiodiversità come cereali, piccoli frutti e tutte le colture che in montagna esaltano le loro caratteristiche. Una delle attività di cui abbiamo titolarità è la realizzazione di un hub tecnologico, che di fatto sarà un upgrade della nostra piattaforma web, con la creazione di un ambiente virtuale per trovare tutta l'agricoltura tecnologica, trovare informazioni su applicazioni e software per praticare l'agricoltura in montagna in modo più tecnologico. Il progetto è triennale ed è partito lo scorso settembre, siamo ora in fase di perfezionamento".

 

Qual è l'obiettivo?

"L'obiettivo è creare una nuova vitalità per portare l'innovazione nel contesto territoriale della montagna".

 

Unimont è capofila di un progetto con 47 partner europei, che ha appena ottenuto un finanziamento da 15 milioni di euro. Ce ne può parlare, in sintesi?

"Si chiama Mount Resilience ed è parte di Horizon Europe. Il tema centrale del progetto, che durerà cinque anni, è il cambiamento climatico e le azioni di adattamento al climate change che si stanno materializzando nelle montagne europee. In particolare, il progetto prevede la realizzazione di piattaforme pilota territoriali dove sperimentare tali azioni, così da attuare azioni specifiche, condividere opportunità e prevenire i rischi connessi ai cambiamenti climatici, a partire da quello idrogeologico. Si tratta del primo progetto europeo di questa portata, specificatamente legato alla montagna. Accanto a questo è in corso un altro progetto dedicato alle filiere agroalimentari.

 

Sarà molto interessante conoscere le soluzioni delle altre regioni, per capitalizzare l'esperienza altrui ottenendo così buoni risultati in tempi brevi. E con le aree pilota provare a mettere insieme azioni che siano utili per tutti. Dobbiamo da un lato ridurre le emissioni di gas climalteranti, dall'altro porre in essere azioni di adattamento.

 

Per l'Italia sono rappresentati il Piemonte con l'Università di Torino, l'Alto Adige, la Lombardia con Unimont capofila a livello internazionale e molti soggetti rappresentativi di tutta l'area alpina. In questa fase stiamo costruendo il grant agreement, il contratto con Bruxelles dove ogni partner affina e specifica le proprie azioni, concatenandole a quelle degli altri. Sarà una grande opportunità per consentire il trasferimento del knowhow nella didattica di tutta la rete di atenei specializzati sulla montagna".

 

Il biologico può essere uno strumento per rafforzare l'agricoltura di montagna?

", non c'è dubbio. Il biologico è una storia di successo, che ha attecchito a livello di consumi soprattutto nelle aree metropolitane, dove ormai è passato il concetto che mangiare in modo sano fa bene alla salute".

 

Il turismo può aiutare lo sviluppo della montagna?

", purché si distingua il tipo di turismo e non si scambi la montagna per un luna park".

 

Il marchio "Prodotto di Montagna" che fine ha fatto? Che risultati ha dato?

"Lei parla dell'idea lanciata da Euromontana, sostenuta a livello comunitario, che venne poi adottata da vari Stati. Di per sé l'iniziativa era interessante, proprio per la messa a punto di un disciplinare di produzione per caratterizzare il prodotto di montagna. Tuttavia, la ricaduta reale è stata poco significativa. Forse perché il marchio è poco conosciuto ed è mancata una campagna di comunicazione a sostegno di un progetto che avrebbe potuto dare un aiuto concreto agli agricoltori della montagna".

 

Ci sono secondo lei margini per una rinascita del brand?

"Penso di . Creare un paniere europeo che contenga i prodotti delle montagne d'Europa ben codificati ed evidenziati potrebbe rappresentare uno strumento valido per le filiere agricole di montagna. Bisognerebbe però sostenere la nascita di un grande consorzio europeo, in grado di spiegare il significato del marchio, perché conviene seguire uno specifico disciplinare e quali possono effettivamente essere i vantaggi e le garanzie per i produttori e i consumatori. Altrimenti meglio affidarsi alle Indicazioni Geografiche, che storicamente hanno potuto contare su sostegni ben più consistenti".

 

La Politica Agricola Comune assicura sufficiente attenzione all'agricoltura di montagna?

"Purtroppo no. Ai contesti di montagna arrivano poco più delle briciole, misure assistenziali che andrebbero riviste profondamente, con l'obiettivo di promuovere l'agricoltura e il relativo valore, di cui si è persa traccia. La logica che ha caratterizzato le misure della Pac è stata quella di supportare le imprese affinché le persone rimanessero in agricoltura, senza però una reale misura di accompagnamento ai processi di innovazione affinché si promuovesse un'agricoltura tradizionale nella dimensione e innovativa nei metodi e negli strumenti.

 

Bisogna essere consapevoli che l'agricoltura di montagna ha peculiarità diverse da quella di pianura. È inutile promuovere una stabulazione con i mangimi, se devono essere acquistati altrove, perché avremmo dimensioni non consone alla zootecnia di montagna e costi di produzione più elevati rispetto alla pianura, con il medesimo prodotto sul piano qualitativo. L'agricoltura di montagna deve utilizzare le materie prime del territorio, diffondere la cultura del pascolo, puntare su produzioni non omologate all'agricoltura più 'industriale'. La montagna deve essere messa in condizione di produrre in modo sostenibile, senza compromettere l'ambiente. Questo presuppone innovazione e tecnologia, perché sono indispensabili strumenti per ottimizzare e modificare alcune pratiche e paradigmi sui quali si fondano i processi produttivi in agricoltura. Dobbiamo puntare su soluzioni in grado di ridurre lo spreco di cibo lungo tutta la catena alimentare, ridurre l'impatto ambientale e migliorare l'efficienza in agricoltura, tenendo presente che il sistema naturale non può essere sfruttato e determinati limiti non possono essere oltrepassati.

 

Per questo la Pac dovrebbe sostenere i territori di montagna e attrarre giovani motivati, professionisti capaci, per un'agricoltura idonea e compatibile col territorio".

 

Come immagina l'agricoltura di montagna nel 2040?

"Sono ottimista. Ci sarà un'evoluzione positiva, anche perché le condizioni climatiche nelle pianure diventeranno via via sempre più impegnative e, per certi versi, impattanti. La disponibilità idrica è maggiore in montagna, le temperature sono in prospettiva più consone all'attività produttiva. Io, pertanto, immagino un'agricoltura sostanzialmente florida, ma se, ovviamente, sapremo guidare i processi e portare anche in montagna innovazione tecnologica e quell'approccio professionale che la montagna richiede.

 

Inoltre, prospettive positive per la montagna potranno esserci con un approccio strategico che mira alla crescita della società e alla difesa dei soggetti più fragili. Se pensiamo che fra venti o trenta anni nelle città potremmo avere temperature in estate anche di 45-50 gradi, è inevitabile che la montagna potrà rappresentare una soluzione per ospitare la popolazione, a partire appunto dalle categorie più deboli, come ad esempio gli anziani. Ma in questa logica dovremo ripensare i rapporti fra città e montagna, in maniera molto ampia".

 

Innovazione e tecnologia sono strumenti fondamentali per ottimizzare e modificare alcune pratiche e paradigmi sui quali si fondano i processi produttivi in agricoltura

Innovazione e tecnologia sono strumenti fondamentali per ottimizzare e modificare alcune pratiche e paradigmi sui quali si fondano i processi produttivi in agricoltura

(Fonte foto: Anna Giorgi dell'Università di Milano)