In anticipo di un paio di settimane, come sostengono i più ottimisti (il via libera era atteso per il 17 dicembre prossimo), in ritardo di oltre due mesi (30 settembre/primi di ottobre scorsi), come più realisticamente andrebbe riconosciuto, il Piano Strategico Nazionale della Pac varato dall'Italia dopo le molteplici "indicazioni" di Bruxelles è stato approvato dalla Commissione Europea. Si parte, quasi.

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Mancano ancora i decreti attuativi e c'è da scommetterci che sarà una bella corsa da qui a fine anno, ma siamo quasi convinti che alla fine in un modo o nell'altro arriveremo a definire un quadro complessivo almeno accettabile per poter partire in regola con la prossima programmazione della Politica Agricola Comune.

 

Si tratta della sesta riforma varata da quando è entrata in vigore la complessa architettura per sostenere le produzioni agricole europee, difendere il reddito degli agricoltori, tutelare il consumatore attraverso cibo sano, sicuro e a prezzi ragionevoli, e oggi contemplare le sfide dei cambiamenti climatici e delle produzioni più sostenibili.

 

Sul piatto ci sono circa 270 miliardi di euro di finanziamenti per il periodo 2023-2027, poco meno del 30% del bilancio complessivo dell'Unione Europea. Per l'Italia parliamo di circa 35 miliardi, di cui oltre 26,6 di fondi Ue e 7,4 provenienti dal cofinanziamento nazionale obbligatorio.

 

Qualche riflessione si impone. Innanzitutto, la Pac continua ad essere strategica e necessaria. Se vogliamo garantire la produzione di cibo e l'accesso al cibo, inevitabilmente è indispensabile prevedere finanziamenti specifici per mantenere una produzione agricola coerente con l'aumento della popolazione mondiale.

 

Lo ha ricordato pochi giorni fa, intervenendo alla presentazione dell'Outlook 2032, il commissario europeo all'Agricoltura, Janusz Wojciechowski. "Secondo gli ultimi Rapporti del Global Network Against Food Crises, oltre 200 milioni di persone in 53 Paesi dovrebbero affrontare una grave insicurezza dell'approvvigionamento alimentare. In Afghanistan, Etiopia, Nigeria, Somalia, Sud Sudan e Yemen, affrontano la prospettiva della carestia".

 

L'Unione Europea, la sua agricoltura, la sua capacità di produrre materie prime e beni agroalimentari sarà in grado di dare risposte? Non dovrebbe essere questa una missione dell'agricoltura, produrre cibo per tutti?

 

Garantire la sovranità alimentare

È il mantra che le difficoltà, innescate dalla pandemia prima e dalla guerra in Ucraina successivamente hanno rilanciato. La riforma della Politica Agricola Comune è in grado di rispondere a tale esigenza? I dati dell'Outlook 2032 indicano un ulteriore calo delle produzioni di mais e di orzo, a conferma di una minore presenza dell'allevamento in Europa. Su questo fronte, a proposito, è bene chiedersi se la riforma della Pac, che punta a salvaguardare le piccole imprese agricole e i piccoli allevamenti, possa vantare strumenti sufficientemente all'altezza.

 

È bene chiedersi: cosa spinge un piccolo allevatore a mantenere la propria attività e a non chiudere? La redditività, innanzitutto, la possibilità di potenziare l'autosufficienza energetica per ridurre i costi (facciamo in modo che si possa vendere l'energia verde in maniera profittevole!), la possibilità di valorizzare i reflui zootecnici e l'economia circolare, la possibilità di fare trasformazione e - dove possibile - fare ospitalità rurale e vendita diretta (o valorizzazione attraverso formule specifiche).

 

Produrre beni alimentari significa anche non dimenticare la solidarietà. Produrre per gli altri, affinché tutti possano avere accesso al cibo e a prezzi equi. Come produrre di più? Non dobbiamo pensare a come consumare meno, aspetto essenziale, ma è altrettanto prioritario incentivare ricerca e sviluppo, incrementare le rese in campo, compiendo quel salto numerico che ha caratterizzato le grandi rivoluzioni agricole. Abbiamo visto che la superficie agricola è quella che è, tra il 2010 e il 2020 - ha reso noto Wojciechowski - "abbiamo perso 2 milioni di ettari di terreni agricoli, passando a 157 milioni di ettari". Senza un boost produttivo diventa complicato persino difendere l'ambiente, perché aumentare le importazioni da altri continenti significa aumentare le emissioni.

 

I giovani, il futuro

Il Censimento dell'Agricoltura, portato avanti in tutta Europa, consegna numeri preoccupanti. L'età media di un agricoltore nell'Ue è di 57 anni, mentre il numero di gestori di aziende agricole nella fascia di età compresa tra 25 e 44 anni sta diminuendo al tasso più rapido.

 

La Pac ha previsto per i giovani agricoltori e il ricambio generazionale fondi per 8,5 miliardi di euro e il sostegno degli Stati membri è ampiamente convinto nella direzione di dare una mano ai nuovi agricoltori. Bisognerebbe forse stimolare una maggiore coesione, creare comunità rurali in grado di offrire beni alimentari, ma anche servizi.

 

Politiche europee più uniformi

Se è vero che la Politica Agricola Comune è stata il fondamento dell'Europa unita, anche perché assorbiva quasi l'80% delle risorse comunitarie, per continuare a costituirne il collante l'Ue deve fare in modo che l'agricoltura rappresenti il punto di convergenza di altre strategie comunitarie: quella fiscale, innanzitutto, quella ambientale, quella dell'innovazione tecnologica, delle infrastrutture, della logistica e dei trasporti, quella migratoria e del lavoro, quella della salute umana e animale secondo la nuova concezione "One Health".

 

A pensarci bene, in tutti questi ambiti l'agricoltura rappresenta un terreno comune. Il dialogo per un'Europa più forte deve passare anche da nuove azioni in grado di portare una crescita economica e sociale, innanzitutto, ma anche culturale, formativa, tecnologica, ambientale e, inevitabilmente, politica, che possano poggiare le fondamenta sull'agricoltura e sull'alimentare.

 

La Pac, in fin dei conti, funziona. Parola di Regno Unito

Il fatto che la Pac sia strategica e, tutto sommato, non così zoppicante, iper burocratica, farraginosa, lo dimostra la situazione dei cugini britannici, che hanno annoverato fra le ragioni della Brexit l'eccessiva complessità dei vincoli europei, compresa l'odiatissima e non sufficientemente ambientale (sic) Politica Agricola Comune, ma che oggi stanno attraversando una fase di difficoltà che la National Farmers' Union, il sindacato degli agricoltori di Sua Maestà Re Carlo III, non esita a definire come "rischio di crisi alimentare", sotto i colpi di maggiori spese (il boom dei costi legato alle speculazioni, alla guerra in Ucraina, ma anche ai controlli doganali), riduzione del numero delle imprese agricole (7mila perse dal 2019 a oggi) e carenza di manodopera, un fattore comune anche a parte dell'Unione Europea, che però avrebbe (il condizionale è d'obbligo) maggiori facilità a costruire corridoi verdi e a garantire processi di migrazione legata a sostenere il lavoro agricolo.

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