Negli ultimi tre anni moltissime aziende agroalimentari attive a livello globale hanno abbracciato l'agricoltura rigenerativa. Nel 2019 Danone si è fatta promotrice di un'alleanza internazionale che ha raccolto un largo consenso. Ma è quest'anno che c'è stata una vera e propria ondata di adesioni nei confronti dell'agricoltura rigenerativa. Hanno dichiarato le loro intenzioni giganti come PepsiCo, Unilever, Heineken e tante altre.
Tra le ultime, in ordine di tempo, c'è stata McCain, multinazionale che produce prodotti a base di patata, che ha annunciato come entro il 2030 tutte le aziende agricole che forniscono la materia prima (e che lavorano circa 200mila ettari di terreno) adotteranno i principi dell'agricoltura rigenerativa.
Nestlé ha annunciato lo stanziamento di 1,29 miliardi di dollari per promuovere tali pratiche nei confronti dei suoi fornitori. Mentre Cargill ha sviluppato una piattaforma digitale per sostenere tale approccio, fornendo anche incentivi economici. Insomma, sembra che tutte le grandi aziende del cibo stiano puntando sull'agricoltura rigenerativa come risposta alle richieste dei consumatori di avere una produzione alimentare più sostenibile verso il clima e giusta verso i lavoratori. Ma che cos'è l'agricoltura rigenerativa?
Si fa presto a dire agricoltura rigenerativa
Il termine regenerative agriculture è stato coniato negli anni Ottanta da The Rodale Institute, ente che ha poi dato vita alla Regenerative Agriculture Association. Nel corso degli anni successivi molti ricercatori e associazioni hanno lavorato su questo tema generando una interessante mole di ricerche. Tuttavia non si è giunti ad un quadro esaustivo di che cosa sia l'agricoltura rigenerativa.
Sebbene questo concetto abbia trovato terreno fertile negli Stati Uniti, negli ultimi anni se ne è parlato sempre di più anche in Europa. E l'Università olandese di Wageningen ha condotto uno studio sulla bibliografia esistente per cercare di mettere qualche punto fermo, proprio perché non c'è una definizione o una legislazione codificata, come invece accade per l'agricoltura biologica.
È emerso che chi utilizza un approccio rigenerativo ricerca almeno uno di questi quattro benefici: migliorare la salute del suolo, promuovere l'uso circolare delle risorse, combattere i cambiamenti climatici e infine gestire in maniera ottimale la risorsa idrica.
La tutela del suolo come stella polare
Il principio cardine che sta dietro l'agricoltura rigenerativa riguarda la tutela del suolo come risorsa fondamentale per l'agricoltore e per l'umanità in generale. L'agricoltura moderna, sebbene abbia avuto il grande pregio di sfamare l'umanità negli ultimi settant'anni, ha anche il difetto di impoverire i suoli sia dal punto di vista della sostanza organica, che della struttura, nonché sul fronte della presenza di insetti e microrganismi utili. Insomma, in molte parti del Globo i terreni sembrano più dei substrati inerti piuttosto che dei terreni fertili in grado di sostenere la crescita delle piante.
Per cercare di coniugare produttività e salute del suolo l'agricoltura rigenerativa sposa una serie di pratiche differenti, conosciute e codificate da anni. Ad esempio l'agricoltura conservativa, che prevede la non aratura o lavorazioni superficiali del terreno, in grado di migliorare la struttura del suolo, promuovere lo sviluppo di insetti e microrganismi, nonché potenziare il sequestro di anidride carbonica del terreno.
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Evitando infatti di invertire gli strati di suolo, all'interno del terreno si ripristina un equilibrio biologico che ne aumenta la fertilità, migliora la struttura e grazie alla mancata mineralizzazione della sostanza organica si imprigiona nel terreno anidride carbonica, principale responsabile dei cambiamenti climatici.
All'agricoltura conservativa si somma l'uso di cover crop, utili per difendere il terreno dall'erosione degli elementi atmosferici e per arricchirlo di sostanza organica, nonché potenzialmente utile per la gestione di insetti e microrganismi patogeni. Non può mancare il sovescio come metodo per arricchire i terreni di sostanza organica, l'utilizzo del letame e di altri prodotti di scarto per la concimazione.
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L'agricoltura rigenerativa abbraccia i principi dell'economia circolare, che punta a vedere l'azienda agricola come una unità produttiva che non produce scarti, ma solo risorse da riutilizzare all'interno dell'azienda stessa.
Nessuna bacchetta magica
Punto cardine dell'agricoltura rigenerativa è il fatto che non esiste una sola soluzione a tutti i problemi, ma ogni agricoltore deve trovare la propria strada adottando un differente mix di pratiche, ispirandosi ad approcci come l'agroecologia, la permacultura, l'agricoltura biologica, biodinamica e conservativa. C’è spazio quindi per l'agroforestazione, l'intercropping e lo strip cropping.
Ogni agricoltore dovrebbe dunque fare una valutazione della realtà in cui opera, delle tipologie di specie che coltiva in campo, degli obiettivi aziendali e del contesto di filiera in cui si trova. Dopodiché ha l'arduo compito di disegnare un sistema in grado di aiutarlo a raggiungere gli obiettivi generali dell'agricoltura rigenerativa (rivitalizzare il suolo, ottimizzare l'uso dell'acqua, promuovere la circolarità delle risorse e combattere i cambiamenti climatici).
Si tratta quindi di un approccio ibrido, in grado di adattarsi a molteplici contesti, ma che proprio per questo può essere manipolato e sfruttato a fini meramente di marketing. C'è infatti il rischio che qualche azienda, sotto la pressione dell'opinione pubblica, promuova in maniera fittizia l'agricoltura rigenerativa presso i propri fornitori, con lo scopo non tanto di migliorare la sostenibilità, quanto di apparire più sensibile nei confronti dell'ambiente.