Lo Sri Lanka non è noto per la ricchezza economica della propria popolazione, ampiamente rappresentata dalla componente rurale, la quale produce circa il 7,5% del Pil nazionale. L'agricoltura del Paese poggia essenzialmente sulla produzione di riso, tea e caffè, ma anche su ortaggi destinati fondamentalmente all'autoconsumo interno. Il clima non è certo dei migliori, visto che il caldo-umido apre la strada a numerosi patogeni e parassiti delle colture summenzionate. Va da sé quindi che la corretta difesa fitosanitaria e la sufficiente nutrizione vegetale dovrebbero essere viste come punti imprescindibili delle locali politiche agricole. Invece no.

Nel luglio 2021 il locale Governo ha approvato la proposta del proprio Presidente, Gotabaya Rajapaksa, di vietare l'importazione di fertilizzanti chimici, ma non solo. Il divieto coinvolge anche l'importazione di agrofarmaci di sintesi, siano essi classificati come "Molto tossici e tossici" (Classe 1 a livello locale) e "Nocivi" (Classe 2). Ovvero quelli più ampiamente utilizzati sia per l'efficacia, sia per l'economicità.

Ciò ha sollevato però dubbi sulla capacità del paese asiatico nel breve periodo di produrre internamente sufficienti quantità di fertilizzanti organici con i quali sostituire i fertilizzanti caduti in disgrazia. Né sarebbe stata definita una metodologia adeguata per quanto riguarda l'applicazione di una così elevata quantità di concimi di derivazione prettamente animale. Peggio: non pare siano stati trovati idonei sostituti degli agrofarmaci banditi.

Da subito, gli agricoltori locali sono stati impattati dalla carenza di fertilizzanti e agrofarmaci, essendo state presto erose le scorte esistenti. Tale svolta green, con forti orientamenti verso il biologico, sta quindi già generando pensieri, come per esempio nei produttori di tea. A temere il peggio il locale maestro del tea Herman Gunaratne, uno dei 46 esperti scelti dal Governo per guidare tale rivoluzione "verde". L'esperto teme infatti che i raccolti medi annui dello Sri Lanka possano dimezzarsi, non riuscendo più a produrre le attuali 300mila tonnellate di tea per 660 milioni di sterline di ricavi. L'auspicio sarebbe quindi quello che Gotabaya Rajapaksa cambi rotta. Impossibile secondo molti raddoppiare infatti i prezzi per compensare la perdita di resa. Si verrebbe cioè a creare una situazione sbilanciata fra le perdite di produzione e i maggiori ricavi al chilo, insufficienti a fare bilancio.

La decisione governativa è stata per giunta presa in un momento particolarmente difficile per l'intero Paese, con un'inflazione al 6%, in parallelo al crollo dei turisti per via della pandemia da Covid-19. Il tutto, a fronte di una svalutazione del 7,5% della locale rupia nei confronti del dollaro americano.

I danni provocati già nel breve periodo dal bando dei prodotti di sintesi avrebbe generato perfino un repentino calo delle produzioni interne di cibo, anche più veloce di quanto paventato, tanto che il Presidente ha dovuto rassicurare circa l'intenzione delle autorità di fornire alla popolazione alcuni prodotti alimentari essenziali a tariffe agevolate, acquistandole soprattutto sui mercati internazionali.

In sostanza, sta già avvenendo quanto si poteva sospettare fin da luglio: il calo delle importazioni di agrofarmaci e fertilizzanti sta già inducendo il bisogno di importare maggiori quantità di cibo. A ulteriore dimostrazione che chimica e cibo sono due vasi comunicanti: tanto scende uno, tanto deve salire l'altro. Una lezione che sarebbe bene venisse imparata anche in Europa, ove tali languori si sono concretizzati in politiche di medio e lungo termine che potranno solo che ottenere risultati simili. Solo che gli Europei sono mediamente ricchi, i Cingalesi no.