Oggi siamo abituati a pensare alle vertical farm come produttrici di insalate ed erbe aromatiche vendute come prodotti di Quarta gamma all'interno della Grande distribuzione organizzata. Ma il futuro potrebbe nascondere delle sorprese. Sono infatti le industrie agroalimentari a guardare a queste modalità produttive con molto interesse.

Ma facciamo un passo indietro. Le vertical farm sono dei veri e propri impianti produttivi, costruiti in luoghi segregati (come magazzini, ma anche vecchi tunnel della metropolitana, miniere e abitazioni) dove i vegetali crescono in substrati inerti (come lana di roccia, vermiculite, etc.) grazie alla somministrazione di una soluzione nutritiva e di luce artificiale, fornita da impianti a led. Il "clima" all'interno dell'impianto è controllato artificialmente e tutti i parametri sono modulati in modo da fornire alle piante le condizioni ideali di sviluppo.

I pregi sono presto detti: produzioni destagionalizzate, minor consumo di acqua e di nutrienti, assenza (quasi) totale di agenti patogeni e quindi di agrofarmaci e produzioni potenzialmente a chilometro zero. Sul fronte opposto l'indoor farming richiede un enorme consumo di energia ed è adatto (per ora) alla produzione di poche specie vegetali.
Si tratta di un business nascente, ma che a livello mondiale attira investimenti miliardari. L'infografica sotto mostra alcune delle oltre 1.300 startup e Pmi (nonché multinazionali) che operano a livello globale in vari segmenti del comparto. L'Italia non è certo il centro di questo movimento, ma esistono comunque delle realtà interessanti (nella mappa è citata solo Planet Farms, ma l'infografica, a detta degli stessi autori, non è esaustiva).
 
2021 Indoor AgTech landscape
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L'interesse dell'industria agroalimentare

Ma perché l'industria agroalimentare dovrebbe guardare a questo nascente settore? Il motivo è presto detto. Le industrie hanno bisogno di forniture costanti tutto l'anno, di prezzi noti, prodotti di qualità stabilita a priori e tracciabili.

Le normali produzioni in campo aperto, come anche quelle in serra, non riescono sempre a soddisfare queste esigenze. Le materie prime sono disponibili solo alcuni mesi l'anno e la qualità può essere influenzata da una molteplicità di fattori che sfugge al controllo degli agricoltori. E anche i prezzi di mercato possono fluttuare grandemente (da qui il diffondersi dei contratti di filiera).

L'indoor farming invece può potenzialmente fornire materie prime tutto l'anno, con un grado di qualità costante, visto che le condizioni di crescita sono gestite dall'uomo. I volumi possono essere definiti in anticipo e anche i prezzi delle materie prime possono essere fissati con una certa stabilità.

Un interessante accordo è quello concluso tra Barilla e Zero, una (ex) startup nel campo dell'indoor farming che già oggi produce greens ed erbe aromatiche in un impianto in provincia di Pordenone. Le due aziende hanno firmato un accordo per svolgere attività di Ricerca&Sviluppo congiunte per la produzione di materie prime vegetali. C'è dunque da aspettarsi che in futuro il famoso pesto Barilla sarà prodotto con basilico proveniente da impianti indoor?

"Barilla è fortemente interessata al tema dell'innovazione e l'accordo con Zero ha l'obiettivo di esplorare una nuova tecnologia che potrebbe diventare interessante per le nostre produzioni. Abbiamo selezionato Zero perché lo abbiamo valutato un partner competitivo e con un elevato know how, insieme al quale vogliamo capire meglio opportunità e limiti dell'indoor farming”, racconta Michela Petronio, a capo di Blu1877, corporate venture capital del Gruppo Barilla.

Secondo Michela Petronio è troppo presto per dire se e come l'indoor farming si inserirà nella filiera di Barilla. "Certamente alcune colture, come il grano duro, continueranno ad essere coltivate in pieno campo, mentre per altre specie, come ad esempio il basilico o le erbe aromatiche, il vertical farming potrebbe rappresentare una interessante alternativa, soprattutto dal punto di vista di destagionalizzare le produzioni".

Per Michela Petronio "il tema della tracciabilità è meno rilevante, in quanto sappiamo esattamente da dove provengono le materie prime che usiamo. Esemplare è il caso del pesto, dove l'impianto che lavora il basilico appena colto si trova proprio adiacente alle serre di produzione. Mentre sul tema della sostenibilità vogliamo comprendere e misurare oggettivamente gli impatti positivi e negativi delle coltivazioni indoor".

Già oggi Zero commercializza prodotti di Quarta gamma negli store Eurospesa, catena della Gdo presente nel Nord Est e proprietà del Gruppo Dado. Fondata nel 2018 da Daniele Modesto, la startup ha sviluppato una tecnologia proprietaria e ha potuto contare sul supporto di investitori e aziende locali che hanno fornito capitali e know how.

Daniele Modesto, fondatore della startup Zero
Daniele Modesto, fondatore della startup Zero