Nella guerra commerciale tra Usa e Ue scatenata dal presidente americano Donald Trump a colpi di dichiarazioni plateali e ad effetto rischia di essere trascinato anche l'agroalimentare.

Un rischio, al punto in cui siamo, che appare molto concreto, soprattutto dopo l'applicazione della tariffa doganale Usa del 25% su acciaio, alluminio ed una vasta gamma di prodotti costruiti con questi due metalli, entrata in vigore il 12 marzo e le dichiarazioni di ieri, 13 marzo 2025, rese dal presidente Usa, il quale ha annunciato dazi del 200% su vini e spiriti di fabbricazione Ue se l'Unione non dovesse togliere la tariffa del 50% sul whisky di produzione Usa.

 

E chiaramente potrebbe essere solo l'inizio di una spirale molto pericolosa per il nostro Paese, considerato che - come ha ricordato il presidente di Cia, Cristiano Fini il 12 marzo scorso, durante la Conferenza Economica dell'organizzazione agricola, l'export agroalimentare italiano verso gli Usa vale 7,8 miliardi di euro ed è cresciuto del 158% negli ultimi dieci anni.

 

Ecco come si è arrivati a tutto questo e perché eventuali trattative per evitare il dispiegarsi degli effetti duraturi dei dazi hanno poco tempo a disposizione: fino alla metà del prossimo aprile.

 

I dazi Usa già in vigore

Il 12 marzo scorso, gli Stati Uniti d'America - dopo un lungo tira e molla - hanno imposto dazi fino al 25% sulle importazioni di acciaio, alluminio e alcuni prodotti contenenti acciaio e alluminio provenienti dall'Unione Europea e da altri partner commerciali. Inoltre, il dazio Usa del 25% è stato esteso su una lunghissima lista di prodotti Ue.

 

Le contromisure della Commissione Ue

In risposta, la Commissione Ue sta avviando una serie di contromisure per proteggere l'Europa dall'impatto di queste restrizioni commerciali ritenute ingiustificate. In primo luogo, la Commissione Ue consentirà che scada il 1° aprile 2025 la sospensione delle contromisure esistenti del 2018 e del 2020 contro gli Stati Uniti e adottate durante la prima presidenza Trump. Tali contromisure prendono di mira una gamma di prodotti statunitensi - tra questi c'è anche il whisky Usa che ha scatenato la reazioni di ieri del presidente Trump - che rispondono al danno economico arrecato a 8 miliardi di euro di esportazioni di acciaio e alluminio dell'Ue.

 

In secondo luogo, in risposta ai nuovi dazi statunitensi che interessano oltre 18 miliardi di euro di esportazioni Ue, la Commissione sta proponendo un pacchetto di nuove contromisure sulle esportazioni statunitensi. Entreranno in vigore entro metà aprile, dopo la consultazione degli Stati membri e delle parti interessate. Tra i prodotti Usa che potrebbero essere così tassati all'ingresso della frontiera Ue, figurano anche molti prodotti agricoli agroalimentari: dalla frutta fresca (pesche e nettarine) ai formaggi grattugiati e fusi, fino ai vini. Tra i prodotti che l'Ue potrebbe tassare alla frontiera anche imitazioni Usa di prodotti tipici europei, quali il gorgonzola e l'Asti spumante, solo per restare a quelli italiani.

 

Ovviamente tale manovra potrebbe essere interpretata come una provocazione, tale da innescare l'avvio di tariffe Usa su tutto l'agroalimentare Ue.

 

"Il processo completo per imporre le contromisure aggiuntive è il seguente - è scritto in una nota del 12 marzo della Direzione Generale Trade della Commissione Ue - il 12 marzo iniziano le consultazioni delle parti interessate: L'elenco dei prodotti mirati proposti dalla Commissione è pubblicato sul sito web della Direzione Generale Trade".

 

I prodotti target delle contromisure Ue proposti comprendono un mix di prodotti industriali e agricoli: questi ultimi comprendono, tra l'altro, "il pollame, la carne bovina, alcuni frutti di mare, la frutta a guscio, le uova, i prodotti lattiero-caseari, zucchero e verdure". Sono nei fatti la risposta punto per punto alle sanzioni adottate da Trump sui prodotti Ue contenenti acciaio e alluminio il 12 marzo, ma che potrebbero essere oggetto di trattativa.

Nel complesso, le contromisure dell'Ue potrebbero quindi applicarsi alle esportazioni di beni dagli Stati Uniti per un valore complessivo fino a 26 miliardi di euro, il che corrisponde alla portata economica dei dazi statunitensi da 28 miliardi di dollari.

 

Il 26 marzo prossimo, al più nei nei giorni immediatamente successivi, la consultazione delle parti interessate avviata dalla Commissione Ue si concluderà. La base giuridica dell'atto di esecuzione della Commissione, che sarà emanato consultando gli Stati membri per adottare formalmente le contromisure, sarà il regolamento di esecuzione Regolamento (UE) n 654/2014. Il Regolamento dovrebbe andare in vigore, secondo la road map della Commissione entro metà aprile.

 

Al tempo stesso l'Unione Europea lascia la porta aperta alle trattative per scongiurare una guerra commerciale senza precedenti tra le due sponde dell'Atlantico. Ovviamente da concludersi entro la prima metà di aprile, per evitare l'entrata in vigore sia dei dazi Usa che di quelli Ue.

 

Al momento, le minacce di Trump riguardano solo vino e spiriti prodotti in Ue, per l'Italia a rischio esportazioni per un valore di 1,9 miliardi di euro. Ma lo scenario che si ripropone è quello del 2018-2020, quando lo stesso presidente Usa tentò di imporre tariffe doganali su tutto l'agroalimentare Ue.

 

Ecco cosa rischia l'Italia nel caso la guerra commerciale non dovesse essere disinnescata entro metà aprile, e aperta ovviamente ad un giro di continue reciproche rappresaglie.

 

Prodotti italiani più esposti ai dazi Usa

Uno studio realizzato da Nomisma per Cia-Agricoltori Italiani ha mostrato come - nel caso in cui la guerra commerciale tra Stati Uniti ed Unione Europea dovesse continuare - a soffrire potrebbero essere soprattutto alcuni dei prodotti più diffusi del settore agroalimentare italiano.

 

Guardando ai prodotti made in Italy che trovano negli Stati Uniti il principale sbocco, in termini di incidenza percentuale sulle vendite oltrefrontiera, al primo posto si colloca il sidro, una nicchia di eccellenza che destina il 72% del suo export al mercato americano (per un valore di circa 109 milioni di euro nel 2024), seguito dal Pecorino Romano (prodotto al 90% in Sardegna), il cui export negli Usa vale il 57% di quello complessivo (quasi 151 milioni di euro). Due produzioni molto ricercate dall'industria a stelle e strisce, con "l'Apple Cider" tra le bevande più popolari tra i millenial e il nostro formaggio di pecora utilizzato soprattutto per insaporire le patatine in busta.

 

Ma con i dazi al 25%, il florido settore americano di chips e snack (2,5 miliardi) potrebbe sostituire il Pecorino nostrano con altri prodotti caseari più convenienti. L'arrivo di nuove tariffe rischia dunque di tagliare di netto il loro mercato, con quote difficilmente rimpiazzabili in altre aree geografiche.

 

Discorso a parte sul vino italiano, per il quale gli Usa sono la prima piazza mondiale con circa 1,9 miliardi di euro fatturati nel 2024, ma con "esposizioni" più forti di altre a seconda delle bottiglie. A dipendere maggiormente dagli Stati Uniti per il proprio export sono infatti i vini bianchi Dop del Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, con una quota del 48% e un valore esportato di 138 milioni di euro nel 2024; i vini rossi toscani Dop (40%, 290 milioni), i vini rossi piemontesi Dop (31%, 121 milioni) e il Prosecco Dop (27%, 491 milioni).

 

Grandi numeri che i dazi possono scombinare, lasciando strada libera ai competitor di aggredire una fetta di mercato molto appetibile: dal Malbec argentino, allo Shiraz australiano, fino al Merlot cileno. Anche per l'olio d'oliva italiano gli Stati Uniti hanno un peso significativo, pari al 32% del proprio export (937 milioni di euro nel 2024), ma meno sostituibile nella spesa degli americani, e così a scendere per i liquori (26%, 143 milioni).

 

Meno esposti al mercato Usa risultano invece Parmigiano Reggiano e Grana Padano, per una quota che pesa per il 17% del valore dell'export congiunto di questi due formaggi (253 milioni), così come pasta e prodotti da forno (13%, 1,1 miliardi).

 

Le regioni italiane più esposte ai dazi Usa

Se dai singoli prodotti o categorie di prodotti si passa all'export agroalimentare delle regioni, si scopre dai dati che quella più esposta ai nuovi dazi risulta essere la Sardegna (dove si produce oltre il 90% del Pecorino Romano Dop) il cui export agroalimentare finisce per il 49% negli Stati Uniti (e, giocoforza, ci finisce anche il 74% dell'export dei prodotti lattiero caseari isolani). Al secondo posto per maggior "esposizione" negli Usa figura la Toscana (28% del proprio export agroalimentare, con l'olio in pole position con il 42% e i vini con il 33% delle relative esportazioni).

Ma negli Stati Uniti finisce anche il 58% dell'export di olio del Lazio, così come il 28% delle esportazioni di pasta e prodotti da forno abruzzesi e il 26% di quelle di vini campani.

 

Insomma, considerando le diverse aree del Belpaese, sono le esportazioni agroalimentari del Centro e Sud Italia a "rischiare" di più con l'applicazione dei dazi di Trump, anche alla luce di relazioni consolidatesi negli anni con questo importante mercato spesso grazie alla domanda generata dalle comunità di italiani residenti negli Stati Uniti.