La forza dell'agroalimentare

L'agroalimentare rappresenta per valore aggiunto il primo settore in Italia ed è merito suo se l'impatto economico della pandemia è stato meno grave di quanto altrimenti sarebbe potuto essere.
È quanto si apprende dalle pagine del "Corriere della Sera" del 7 giugno dedicate alla economia. Valerio De Molli, autore dell'articolo e ai vertici del Gruppo Ambrosetti, spiega come l'Italia sia il secondo Paese in Europa per quota del settore agroalimentare sul Pil, preceduto solo dalla Spagna.
L'andamento dell'export, seppure molto positivo, lascia intravedere come ci siano ancora molte potenzialità inespresse.
Fra gli elementi di criticità viene sottolineata la frammentazione del tessuto produttivo, tanto che le piccole imprese pesano sul settore quasi per il 90% del totale, con conseguenze negative sulla propensione agli investimenti.

Passando ai numeri, l'articolo informa che il settore ha generato nel 2020 oltre 214 miliardi di euro in consumi, purtroppo in calo di quasi l'11% rispetto al 2019, in conseguenza del minore numero di pasti fuori casa.
Le sfide che ora attendono il comparto riguardano in particolare il settore distributivo, con la riscoperta dei piccoli negozi di prossimità.
Occorre poi fare i conti con la forte crescita del commercio elettronico, incentivato dai vincoli agli spostamenti durante le fasi più critiche della pandemia.
Fra le priorità per il rilancio del settore si ricorda l'importanza di favorire la sburocratizzazione, sbloccare gli investimenti, rafforzare la dimensione delle aziende e combattere le imitazioni del made in Italy.
 

Nodo infrastrutture

Lo sviluppo del settore agroalimentare è compromesso dal ritardo infrastrutturale.
È quanto afferma Annamaria Capparelli sulle pagine del "Quotidiano del Sud" in edicola l'8 giugno.
Per giungere a questa conclusione l'articolo parte dallo studio realizzato dal centro Divulga, dal quale emerge che la qualità delle dotazioni infrastrutturali italiane è al di sotto del livello europeo.
Per tutte le modalità di trasporto, quello ferroviario, stradale e marittimo, l'Italia è dunque in una posizione arretrata rispetto al resto della Ue.

Puntando sui trasporti, continua l'articolo, e sulla interconnessione delle diverse modalità di trasporto, si potrebbe dare slancio alle spedizioni dell'alimentare italiano.
Migliorare la velocità e ridurre i costi dei trasporti rappresenta un fattore chiave per ottimizzare le potenzialità dell'agroalimentare e i suoi ottimi livelli di qualità, sicurezza e varietà dell'offerta.
A questo proposito l'articolo ricorda i dati delle più recenti verifiche sulla salubrità delle derrate alimentari, che hanno confermato la bassa presenza di residui.
Un campo, questo della sicurezza, nel quale le produzioni italiane vantano livelli di eccellenza nell'Unione europea.
 

Multinazionali Vs made in Italy

È destinato a far discutere l'articolo pubblicato il 9 giugno dal settimanale "Panorama", a iniziare dal titolo che recita: "Perché il made in Italy non piace alle multinazionali".
Nelle prime righe dell'articolo, firmato da Carlo Cambi, si legge che è partito un attacco allo stile alimentare italiano usando armi improprie come l'ambiente, l’etica, la salute.
E di fronte a questo attacco le istituzioni internazionali si arrendono e non si vergognano di cadere in contraddizione con loro stesse.
Si cita il caso dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) che prima dichiara attraverso l'Unesco la dieta mediterranea patrimonio dell'umanità, per poi organizzare nel prossimo autunno un raduno fra tutti i Paesi dove affermare che la stessa dieta mediterranea contiene troppe proteine e dunque fa male.

Contraddizioni che vedono in gioco forti interessi economici, che partono dal presupposto che chi è padrone della fame è padrone del mondo.
Ed ecco arrivare le forti tensioni sui mercati delle materie prime, con la farina di soia che raddoppia di prezzo, l'incremento abnorme delle quotazioni dei piselli da proteina, degli oli vegetali.
Perché gli oli vegetali? La ragione è semplice, servono all'industria alimentare per produrre le imitazioni della carne.
L'articolo si conclude citando le tensioni sulla approvazione o meno delle etichette a semaforo, il Nutriscore.
C'è chi lo ha definito inconcepibile, ingiustificato e inaccettabile. Opinione sulla quale si dividono, purtroppo, anche vertici della nostra sanità.
 

Un terreno per tutti

Si chiuderà il 7 settembre prossimo il quarto bando d'asta dei terreni dell'Ismea. Un'occasione per acquistare a prezzi assai interessanti le 625 aziende agricole della Banca nazionale delle terre.
A disposizione ci sono complessivamente 16mila ettari, la maggior parte dei quali nel Mezzogiorno.
In molti casi si tratta di terre giunte al quarto incanto, cosa che consente di presentare offerte al ribasso e pertanto vantaggiose.

Lo si apprende da "Il Sole 24 Ore" del 10 giugno, dove Micaela Cappellini spiega che per questa nuova offerta Ismea promette una maggiore semplificazione, a iniziare dalla consultazione online dei terreni disponibili.
Per chi partecipa all'asta ed ha meno di 41 anni sono possibili agevolazioni, come il pagamento rateale con piani di ammortamento a trenta anni.
Investire nei terreni, conclude l'articolo, rappresenta oltre a una opportunità di lavoro in campo agricolo, anche un interessante investimento.
Non per nulla fra i maggiori proprietari di terre figurano gli imprenditori più ricchi del mondo, e l'articolo cita il caso di John Malone, presidente di Liberty Media, il cui patrimonio annovera la presenza di 890mila ettari.
 

Biologico e biodinamico

Il "Foglio" è fra i giornali che nelle ultime settimane ha tenuto più alta l'attenzione sul tema dell'agricoltura biodinamica, senza risparmiarle pesanti critiche.
Torna su questo argomento anche l'11 giugno per rimarcare le differenze con l'agricoltura biologica, dove l'Italia primeggia in campo europeo e dove i consumi promettono una forte crescita.
Lo ricorda Massimo Fiorio, autore dell'articolo, che collega la crescita di questo settore alle politiche europee e all'impulso che ne deriva dal Green new deal e dal Farm to fork, che insieme prevedono un aumento al 25% del suolo destinato a coltivazioni biologiche in Europa, tanto da dedicare il 30% dei fondi per la ricerca ai temi del biologico.

Le norme stabilite dal Parlamento italiano in tema di agricoltura biologica, continua l'articolo, dovrebbero fornire strumenti per l'aggregazione dei produttori, condizione per far uscire il settore dalla attuale condizione di "nanismo".
Scelte che portano a superare preconcetti del passato, quando all'agricoltura biologica si rimproverava di "consumare" più terreno rispetto ad altre tipologie di produzione.
Sulle critiche all'agricoltura biodinamica, peraltro relative alla equiparazione con l'agricoltura biologica, si solleva il timore che alla base ci possa essere un tentativo di fermare la legge sul biologico.
"Questa legge - conclude l'articolo - va approvata senza accuse di stregonerie da una parte e di venduti alla chimica agrofarmaceutica dall'altra".
 

Il vino negli Usa

La pandemia ha lasciato il segno sui consumi di vino, settore nel quale l'Italia vanta un primato mondiale in quanto a produzione, con oltre 30 milioni di ettolitri.
La ripresa tarda a venire, ma intanto la crisi innescata dal Covid-19 ha indotto a valutare con maggiore attenzione i canali della distribuzione, suggerendo una riorganizzazione.
E' quanto emerso dalle analisi di Wine monitor di Nomisma sui dati delle Dogane statunitensi, analisi sulle quali si sofferma Giorgio dell'Orefice sulle pagine de "Il Sole 24 Ore" del 12 giugno.

Si apprende così che le importazioni Usa sono calate dell'11% nel 2020, penalizzando in particolare le provenienze dalla Francia.
Con l'allentarsi della crisi pandemica, i consumi vanno riprendendosi e l'articolo conclude segnalando la crescita nel segmento "fuori casa", dove è premiata la qualità.
Una crescita che ha visto prevalere i vini fermi della fascia di prezzo oltre i 20 dollari, della quale hanno beneficiato le provenienze italiane, salite del 24%.
 

Più carne nel piatto

A quanto pare il consumatore medio italiano non si lascia influenzare dalle indicazioni del New green deal e nemmeno è ammaliato dalle sirene del Farm to fork.
Così aumentano i consumi di proteine animali (carne e latte), ci si lascia tentare più di prima da salumi e insaccati e si beve vino come e più di prima dell'arrivo della pandemia.
E' il quadro che emerge dall'indagine sui consumi degli italiani curata da Ismea e Nielsen e commentata da Attilio Barbieri sulle pagine di "Libero" del 13 giugno.

Nel 2020, questi alcuni dei dati emersi dall'indagine, la spesa alimentare è cresciuta del 7,4%, con una "fetta" importante occupata dagli alimenti di origine animale, che compongono il 40% del carrello medio.
Significativo l'aumento del consumo di carne, che nei primi tre mesi del 2020 è cresciuto del 9,8%, una "corsa" proseguita anche nel primo trimestre di quest'anno, sebbene a ritmo meno sostenuto (più 1,3%).
Performance deludenti invece per latte e formaggi, che hanno perso lo 0,7%, a fronte tuttavia di una forte crescita (più 8,4%) nello scorso anno.
Scende il consumo di farina, dopo i picchi registrati a inizio lockdown sulla scia del "fai da te" alimentare della prima ora.
Ora bisognerà attendere qualche tempo per avere conferma di questa rinnovata preferenza per i prodotti di origine animale.
"Di cosa parlano i giornali quando scrivono di agricoltura?"
Ogni lunedì uno sguardo agli argomenti affrontati da quotidiani e periodici sui temi dell'agroalimentare e dell'agricoltura, letti e commentati nell'Edicola di AgroNotizie.

Nel rispetto del Diritto d'Autore, a partire dal 23 novembre 2020 non è più presente il link all'articolo recensito.

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