Piaccia o meno il settore vale per l’Italia 2,629 miliardi di euro di esportazioni. Siamo i secondi al mondo dopo gli Usa che segnano 2,981 miliardi (dati Nomisma, proiezione 2020). Attualmente il 15,8% della Sau italiana è dedicata alle colture biologiche, un dato fra i più elevati in Europa.
In definitiva: il settore biologico si è inserito perfettamente fra le eccellenze dell’agroalimentare italiano con una forte capacità di penetrazione anche in mercati complicati e competitivi come quello statunitense o giapponese. Chi fa strategia deve però pensare al futuro. Perché qualche problema si staglia all’orizzonte. Problemi che paradossalmente nascono dalla forte volontà ambientalista europea.
Uno degli obiettivi della strategia Farm to fork della Commissione europea è infatti quello di arrivare al 25% della Sau dell’Unione dedicata all'agricoltura biologica – il termine di paragone (benchmark, per quelli bravi) della Commissione paiono quindi paesi come la Danimarca o l’Austria, in cui alla forte produzione si appaia anche un fortissimo mercato interno. Se vogliamo però pensare alla legge della domanda e dell’offerta i prezzi dei prodotti bio potrebbero divenire via via più popolari, cosa buona e anzi ottima per i consumatori; magari meno per i produttori.
Il biologico negli scorsi 20 anni è stato uno dei pochi settori dell’agroalimentare mondiale in cui la domanda poteva superare l'offerta; spuntare dei prezzi ben remunerativi poteva quindi essere (talora, parliamo in generale eh…) agevole per i produttori. Oggi già il 53% dei prodotti bio italiani viene venduto dalla Gdo, ma all’interno di questa i maggiori passi in avanti negli ultimi anni sono stati fatti dai discount (+11% rispetto al 2019, Nomisma). La progressione di Gdo e soprattutto discount vuole e vorrà dire una sempre maggiore competizione sui prezzi e quindi una maggiore compressione dei produttori da parte dei distributori. Un fenomeno che, ahinoi, è una regola.
Cosa fare?
Primo: organizzarsi. Notiamo che la capacità di aggregazione, per esempio in Op, da parte dei produttori bio è piuttosto bassa e potrebbe di molto crescere.
Secondo: pensare a come soddisfare quella fascia di consumatori che è sempre alla ricerca di qualche cosa di più.
Negli Usa, come ci ha raccontato recentemente Michael Pollan, siamo già a “oltre il biologico” (“beyond organic”). Verso l’infinito e oltre (cit.).