La varroa, Varroa destructor Anderson & Trueman, è ormai da oltre quarant'anni uno dei problemi principali dell'apicoltura moderna. Eppure, paradossalmente, di questo acaro sappiamo ancora poco, soprattutto riguardo alla sua biologia. Una mancanza di conoscenze che è stata causata soprattutto da due problemi.
Il primo problema è che nel mondo apistico c'è sempre stato molto più interesse a cercare di capire come ucciderla che a cercare di capire come vive.
Il secondo problema è che, per quanto sia diffusa in quasi tutti gli alveari del mondo, è difficile raccoglierne in quantità adatte per studiarla approfonditamente, perché compie il suo ciclo vitale strettamente legata alle api, cosa che ne rende difficilissimo l'allevamento in laboratorio.
E proprio su questo aspetto, sull'allevamento in laboratorio, si stanno concentrando gli sforzi dell'Università di Udine, che vanta un'esperienza pluridecennale nello studio della biologia e del comportamento di questo acaro.
Per farci spiegare cosa si sta studiando a Udine abbiamo intervistato il professor Francesco Nazzi, che guida il gruppo di ricerca che sta lavorando al miglioramento e alla standardizzazione delle tecniche di allevamento della varroa.
Professor Nazzi, perché allevare la varroa?
"Perché per conoscere a fondo qualsiasi specie bisogna studiarla intensamente; a questo scopo è fondamentale che il ricercatore abbia a disposizione: numeri abbondanti, per tutto l'anno e soprattutto in condizioni standard.
Faccio un esempio ricavato dalla nostra esperienza di studio. Noi otteniamo le varroe dai nostri apiari sperimentali; per assicurarci che gli acari che studiamo siano confrontabili tra di loro, li preleviamo in un momento ben definito del loro ciclo biologico, ovvero quando inizia la riproduzione, poco dopo l'ingresso nella celletta contenente una larva d'ape in procinto di svolgere la metamorfosi. A questo scopo, dobbiamo prelevare dei favi dal nostro apiario, aprire centinaia di cellette appena opercolate e sperare di ottenere un numero sufficiente di acari che sono entrati spontaneamente in quelle cellette.
Ma (per fortuna) per la maggior parte dell'anno, l'infestazione delle api è limitata, così i nostri laboriosi studi sulla varroa sono limitati al periodo maggio-settembre, meno di metà dell'anno: troppo poco per comprendere a fondo un acaro che, invece, 'corre in fretta', dato che, ad esempio, può acquisire la resistenza nei confronti di un acaricida nel giro di due/tre anni. Inoltre, solo chi abbia una minima esperienza apistica può immaginare le difficoltà tecniche associate al mantenimento di alveari infestati, ma non troppo, e non trattati con prodotti che potrebbero alterare i risultati delle nostre prove".
Quali sono le principali difficoltà per allevare la varroa?
"Sono legate a tre fattori principali che si possono meglio comprendere se si conosce almeno sommariamente il ciclo della varroa.
Per riprodursi, la varroa lascia l'ape adulta su cui si trova, entra in una celletta di covata contenente una larva d'ape matura, attende ben nascosta che la celletta venga opercolata e poi, indisturbata, inizia a nutrirsi sull'ape. A questo scopo, aspira l'emolinfa da un foro che ha praticato sulla cuticola dell'ape, la sua 'pelle' dura. Naturalmente, l'emolinfa di cui si nutre la varroa contiene anche vari materiali provenienti dai tessuti bagnati da quel liquido, come il corpo grasso, ma la notizia diffusa con grande clamore qualche anno fa, che la varroa si nutre del corpo grasso e non dell'emolinfa, è apparsa subito come infondata ai conoscitori della materia e si è rivelata tale in seguito a successivi studi ben più approfonditi.
Ricapitolando, per mangiare, la varroa ha bisogno di: un ambiente idoneo e un alimento adatto da aspirare attraverso una membrana perforabile; questi sono i tre fattori principali.
Sappiamo già molto delle caratteristiche che deve possedere l'ambiente e perciò, ultimamente, abbiamo concentrato l'attenzione sulla dieta, che deve contenere tutti i nutrienti necessari all'acaro, e la membrana perforabile, che deve essere spessa pochi millesimi di millimetro e avere particolari qualità di resistenza e elasticità".
Quali sono oggi le principali lacune sulla biologia della varroa?
"Purtroppo, ce ne sono ancora molte e sono importantissime. Per esempio, tutti gli apicoltori sanno che l'infestazione da varroa, associata alle infezioni virali trasmesse dall'acaro, è letale per le colonie d'ape perché la varroa si riproduce talmente velocemente che ogni mese la popolazione degli acari nell'alveare pressappoco raddoppia.
In pratica, bastano cento varroe in un alveare nel mese di maggio, per ritrovarsi con migliaia di acari in autunno, una condizione che è normalmente associata alla morte della colonia d'api. Quel drammatico raddoppio mensile della popolazione di varroa ha a che vedere con la sua riproduzione. Ma la varroa, come tutti i parassiti, si riproduce solo in presenza di un ospite in condizioni adatte ed è in grado di riconoscere tali condizioni sulla base di certi segnali emanati dall'ape in via di sviluppo. Sembrerà strano a chi ci legge, ma la vera natura di quei segnali, dopo decenni di ricerche, è tuttora ignota. Credo che si possa ben dire che la loro identificazione rappresenti una specie di Sacro Graal per i ricercatori che studiano l'acaro, perché conoscere la natura di quegli stimoli potrebbe permetterci di manipolarli per ridurre la riproduzione del parassita o potrebbe consentire di orientare programmi di selezione mirata delle api.
Quest'estate, abbiamo identificato una sostanza prodotta dalle api che potrebbe essere utilizzata dalla varroa per sincronizzare la propria riproduzione con lo sviluppo dell'ape: forse siamo finalmente sulla buona strada".
Quali studi si potrebbero migliorare con un metodo di allevamento in laboratorio standardizzato?
"Direi… tutti. Ma in particolare menzionerei quelli sulla riproduzione dell'acaro e quelli inerenti i suoi rapporti con il virus delle ali deformi (Dwv), che è poi il vero killer delle api, quello che le debilita e causa la morte delle colonie.
Ma molte altre attività potrebbero beneficiare della disponibilità di tanti acari in condizioni standard; ad esempio, la verifica con facili saggi di laboratorio dell'efficacia di trattamenti innovativi contro l'acaro".
Voi a Udine cosa state facendo?
"Il mio gruppo di ricerca è formato attualmente da sette persone che si dividono tra varie attività; in particolare, gli studi sull'allevamento della varroa in condizioni artificiali sono stati supervisionati dal professor Desiderato Annoscia. I nostri studi vanno dagli effetti del cambiamento climatico sulle api selvatiche e mellifere, alla nocività di certe sostanze tossiche per le stesse; dal modo in cui i fattori di stress interagiscono tra di loro, causando la morte delle colonie, alle dinamiche del principale virus delle api, il cosiddetto Dwv. Ma svolgiamo anche studi più applicati, inerenti, ad esempio, la nutrizione delle api o l'effetto dei trattamenti sulla loro salute.
In generale, ci sforziamo di dare il nostro contributo, sia con ricerche di base che riguardano le soluzioni sostenibili da implementare domani, sia con ricerche più applicate che offrano soluzioni, magari meno sostenibili ma applicabili fin da oggi.
In ogni caso, penso che le ricerche sulla varroa occuperanno sempre un posto speciale tra le attività del nostro laboratorio, come è sempre stato fin da quando, nel 1981, la varroa iniziò l'invasione dell'Italia proprio dal Friuli".






























