Diverse campagne non sono concluse e per alcune colture, per esempio il kiwi, bisognerà anche aspettare che il prodotto sia stoccato nelle celle frigo per la conservazione prima di poter dare una dimensione della situazione (il danno infatti è visibile solo dopo il raffreddamento del prodotto). Di certo c'è che un'annata come quella 2019 non si era mai vista: la cimice asiatica, complice un inverno 2018 mite, che ha aiutato la sopravvivenza delle svernanti, ha colpito su moltissime colture frutticole (pero, pesche e nettarine, kiwi, nocciolo, melo) ma anche orticole e i seminativi (soia, mais).
Per ora di concreto c'è la promessa da parte della ministra dell'Agricoltura Teresa Bellanova di uno stanziamento da 80 milioni in tre anni e quella di sgravi fiscali e contributivi del 50% a favore delle imprese agricole colpite, allo studio poi la possibilità di concordare una moratoria sui mutui. E' qualcosa, ma se si guarda alla conta parziale dei danni, sembra ancora una goccia nel mare.
Dall'Unione europea è poi arrivata una disponibilità di massima ad approvare misure straordinarie per aiutare l'Italia ad affrontare l'emergenza: a Bruxelles devono essersi resi conto che la questione cimice asiatica sta provocando danni, per ora, nelle nostre campagne ma, potenzialmente, è un problema che riguarda tutti.
Dove H. halys ha colpito più duro è stato al Nord, lì dove è stata individuata per la prima volta (Modena, 2012, anche se una prima segnalazione risale al 2007, Genova), eppure si può dire, senza timore di essere smentiti, che la cimice asiatica sia ormai praticamente ovunque in Italia (ad eccezione del Molise, dove non ci sono state segnalazioni). Non esistono ancora dati scientificamente raccolti per tutte le regioni del Sud ma da una pubblicazione del ricercatore Fabio Cianferoni, che ha messo in ordine lavori di colleghi fino al 2018 citando diversi autori fra i massimi esperti di H. halys in Italia, si desume che l'ultima regione ad essere stata invasa sia la Sicilia (2017).
Se si controlla poi l'app della Fondazione E. Mach, che si basa però su segnalazioni spontanee della cittadinanza, si scopre che è presente anche in Umbria (2019), regione che non compare in nessuna pubblicazione con basi scientifiche.
"Praticamente non c'è regione italiana in cui non sia arrivata" ha detto ad AgroNotizie Lara Maistrello, entomologa e professoressa Unimore. "Abbiamo visto, analizzando il Dna delle cimici in diversi luoghi d'Italia, che sono tredici aplotipi diversi. Ciò significa che sono arrivate in più episodi invasivi. La cimice si muove molto, si rifugia in veicoli, in magazzini, scatole, viaggia quindi con noi. In Pianura padana si sono insediate e hanno trovato un clima che è loro favorevole, caldo umido, come nella zona d'origine. L'invasione è partita dal Nord, tramite le merci si sta diffondendo, diventerà pericolosa per le coltivazioni una volta che la popolazione sarà sufficientemente ampia e diventerà un vero problema lì dove troverà le condizioni climatiche favorevoli".
Sempre secondo una pubblicazione di Lara Maistrello e altri ('The Italian invasion of Halyomorpha halys' - 2018) se nel 2012-2013 la cimice si trovava maggiormente in aree urbane, in case, palazzi, magazzini, già nel 2016 si era spostata nei frutteti. Neanche altitudini considerevoli servono a tenerla a distanza, secondo la stessa pubblicazione infatti H. halys è stata trovata anche ad altitudini di oltre 1.800 metri, in Piemonte.
Danni e diffusione della cimice asiatica in Italia.
Stime compiute dalla redazione di AgroNotizie e basate sui materiali raccolti tramite Servizi fitosanitari regionali e lavori scientifici. In considerazione della lacunosità e disomogeneità dei dati fino ad ora disponibili il lavoro non vuole avere pretese scientifiche
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Venendo ai danni, i conti per l'Emilia Romagna in particolare e per il Nord Italia li ha fatti il Cso di Ferrara, purtroppo solo su pere, pesche e nettarine perché troppe campagne sono ancora in corso. La stima è stata fatta sia per quanto riguarda il prodotto non raccolto, sia per ciò che concerne i problemi riguardanti la qualità del raccolto sia per il danno indiretto sull'indotto (logistica, manodopera, imballaggi, costi commerciali, ammortamenti e costi fissi). Il totale per il Nord Italia ammonta a 356 milioni e 315mila euro, vanno però considerate anche le 486.450 giornate di lavoro perse. In particolare, per le pere, in Emilia Romagna (circa 5mila aziende coinvolte), sono andate perse 114mila tonnellate di prodotto rispetto alle previsioni 2019. Impressionante confrontare i dati 2018 con quelli 2019: le Williams sono passate da 115.265 tonnellate a 70.315 tonnellate, le Abate Fétel da 247.058 tonnellate a 106.235 tonnellate, le Conference da 37.825 tonnellate a 16.569.
Per pesche e nettarine, le aziende agricole coinvolte in Emilia Romagna sono circa 4.600, sono state perse 16.609 tonnellate di prodotto rispetto alle previsioni per un valore di circa 7 milioni e 500mila euro cui vanno aggiunti altri 16,3 milioni di minore introito per il danno alla qualità delle pesche e nettarine raccolte e altri 25,7 milioni di euro di danno nella fase post raccolta e indotto.
Per quanto riguarda il Veneto, secondo quanto riferito ad AgroNotizie, dall'assessorato all'Agricoltura il danno è stimato attorno ai 100 milioni di euro, soltanto per le campagne concluse (pere, pesche e nettarine). Ad essere più colpite sono le province di Verona, Padova e Rovigo.
In Lombardia, sotto attacco sono le drupacee, melo, pero, kiwi e pomodoro oltre a soia e mais, per un totale di oltre 377mila ettari potenzialmente interessati. Secondo il Servizio fitosanitario della Regione Lombardia, per il pero, ci sono state punte di danno del 75%, in provincia di Mantova, mentre per le drupacee la media è stata intorno al 35-40% con punte che hanno toccato l'80%, in provincia di Brescia. Per le mele precoci il danno è stato contenuto (10%) ma ci si aspetta un incremento sulle tardive. Il danno medio segnalato sulla soia si è attestato fra il 15 e il 20%.
In Piemonte si attendono i dati su kiwi e nocciole (il danno è rilevabile solo sullo sgusciato) mentre per quanto riguarda le pere, l'insetto ha causato in media un danno del 50%.
Dal 2018 H. halys è presente in tutto il Friuli Venezia Giulia dove è arrivata nel 2014. Secondo i rilievi dell'Ersa, la massima infestazione riguarda proprio le zone di primo insediamento, quindi nei pressi di Sedegliano (Ud) mentre nel triestino è arrivata di recente e lì i danni sono inferiori. Ad essere interessate sono soprattutto melo, pero e drupacee oltre a soia e mais. Secondo i tecnici della cooperativa Friul fruit (350 ettari di meleti) quest'anno il danno in media è più contenuto rispetto al 2018, la previsione è di un 12% circa.
E' stato quantificato in 7 milioni di euro il danno in Trentino, a fare i calcoli sono stati i tecnici di Codipra, si tratta soprattutto di mele, anche se la raccolta non è ancora terminata. Secondo Apot, quando si era a circa metà campagna, si poteva prevedere una media del 10% con punte fino al 50% nei casi più critici.
c: erogazione di indennizzi alle imprese colpite, attivazione di ammortizzatori sociali e valutare l'utilizzazione di fondi europei a rischio di disimpegno: "Se le aziende dovessero chiudere - ha detto ad AgroNotizie Simona Caselli, assessore all'Agricoltura della Regione Emilia Romagna - c'è da tenere presente un effetto di perdita di fatturato e quindi di gettito fiscale, verranno poi a mancare imposte dirette di lavoratori che non sono più impiegati. Stiamo parlando di centinaia di milioni di euro ma di fronte all'impatto che potenzialmente ha sull'economia la cimice asiatica, questi stanziamenti sarebbero il male minore. Per dare una mano alle imprese colpite quest'anno pensiamo all'utilizzo della 102/2004, è macchinosa ma è subito operativa. Per il futuro bisogna valutare fondi mutualistici".
Nel 2019 Halyomorpha halys era stata inserita nel Piano gestione di rischi dal Governo ma di fatto non era possibile assicurarsi, non esistevano infatti polizze: "Fino al 2018 la cimice non era presente nel piano" ha spiegato ad AgroNotizie Marco Castelli, direttore Condifesa Piemonte. "Ogni anno il piano viene redatto e stabilisce le avversità, anche parassitarie, che godono di contributo pubblico. Nessuna compagnia però ha voluto assumersi il rischio di offrire una copertura contro la cimice e quindi non era possibile assicurarsi, anche volendo. Un esperimento lo avevamo fatto noi in Piemonte, nel 2017-2018. Si trattava di una polizza senza contributo pubblico e limitata alla coltura del nocciolo. Il costo per l'agricoltore era irrisorio, nessuno però si è assicurato. E' stato un flop. Il problema credo siano state le franchigie molto alte".
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