Più del 90% dei consumi idrici (impronta idrica) è riconducibile all’agricoltura e alla produzione di cibo, ma adottando diete sostenibili, ad esempio scegliendo le proteine vegetali anziché quelle animali, è possibile ridurre l'impatto sulle risorse idriche. Questi sono alcuni dei dati elaborati dalla Fondazione Barilla Center for food & nutrition in occasione della Giornata mondiale dell’acqua che ricorre il prossimo 22 marzo.

Il pianeta è ricoperto di acqua ma, dei circa 1,4 miliardi di km3 che si contano sulla Terra, solo lo 0,001% del totale (tra i 9 e i 14mila km3) può essere prelevata per uso umano. La scarsità di acqua oggi colpisce 2 miliardi di persone in moltissimi paesi del mondo: 4 persone su 10 non hanno accesso a sufficienza a questa risorsa per soddisfare i propri bisogni. Eppure, nonostante una disponibilità di acqua così limitata oltre il 90% della nostra impronta idrica individuale è legata al cibo che consumiamo. Questo perché è nella produzione di cibo che finisce molta dell’acqua usata. Ad esempio servono 2312 litri di acqua per produrre una porzione di carne rossa da 150 grammi, 477 per una porzione di 150 grammi di formaggio, 130 per un panino da 100 grammi e 50 per un pomodoro. Ma l’impatto dell’agricoltura sull’uso di acqua cambia da un paese all’altro, in particolare per quanto riguarda la percentuale di acqua utilizzata attingendo da fonti rinnovabili si passa da percentuali molto basse come in Svezia o Canada (con rispettivamente 0,1% e 0,2%), a paesi come gli Emirati Arabi dove la percentuale schizza al 2208%. L’Italia è messa piuttosto bene con solo il 6,7%.
 

Accesso alla risorsa e capacità di prelievo

Si tratta di una scarsità di acqua che non riguarda soltanto l’aspetto fisico, ma anche economico, ossia l’accesso e la capacità di prelievo per mezzo di infrastrutture adeguate di questa preziosa risorsa. Questo secondo tipo di scarsità colpisce un quarto della popolazione mondiale ed è concentrata principalmente nei paesi in via di sviluppo. Eppure, entro il 2025 quello che si definisce stress idrico, ossia la quantità e la qualità di acqua dolce disponibile in un paese, riguarderà due terzi della popolazione mondiale.

L'agricoltura è il settore che richiede la maggiore quantità di acqua dolce al mondo. Richiesta destinata a crescere, visto che nel 2050 la popolazione arriverà a 9 miliardi di persone e che dovremo far fronte a una maggiore richiesta di cibo (fino a un +70%) e ad un consumo di acqua di almeno il +20%. Se a questo aggiungiamo che il cambiamento climatico modificherà le precipitazioni, l’evaporazione, la temperatura e il numero di eventi estremi, come siccità e inondazioni, allora diventa chiaro che dobbiamo ripensare i nostri modelli alimentari adottando stili di vita sani e attenti all’ambiente. Adottare una dieta di tipo mediterraneo può aiutarci a ridurre la nostra impronta idrica di più di 2mila litri di acqua al giorno a persona rispetto a una dieta di tipo occidentale e a portare benefici alla nostra salute La rivoluzione nel nostro piatto e un approccio più sostenibile alle pratiche agricole rappresentano strade obbligate da percorrere se vogliamo raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile promossi dall’Agenda 2030 e preservare la salute del pianeta”, ha dichiarato Marta Antonelli responsabile del Programma di ricerca della Fondazione Bcfn.
 

Etiopia, Australia e Colombia best practice da seguire

Etiopia, Australia e Colombia sono i paesi che, secondo il Food sustainability index, rappresentano delle good practice nella gestione dell’acqua. Questo grazie a diverse iniziative messe in pratica per il riciclo di questa risorsa a scopi agricoli, oltre che per un prelievo idrico per uso agricolo tra i più bassi, soprattutto se comparato alle risorse disponibili. Bene anche le percentuali rispetto al totale delle risorse rinnovabili, che confermano questo scenario: si parla del 7,9% per l’Etiopia, del 2,6% per l’Australia e dello 0,3% per la Colombia. L’Index, come detto, evidenzia tra i paesi più virtuosi per quantità di acqua utilizzata attingendo da fonti rinnovabili, Germania, Svezia e Canada, ma dall’altra parte, mostra come le sfide maggiori spetteranno a realtà che soffrono la scarsità di acqua, come Giordania, Egitto e Tunisia, che per 12 mesi consecutivi hanno registrato una significativa mancanza di acqua dolce. A questi e altri paesi spetterà ripensare il modo in cui viene usata e gestita questa risorsa, soprattutto nel settore agricolo.
 

Italia, troppa acqua virtuale importata

Con i suoi 6mila millilitri cubi di acqua virtuale importati all’anno, l’Italia (seguita da Russia, Regno Unito, Germania e Giappone) è al 30° posto nella classifica generale delle importazioni di questo tipo di acqua, ovvero l'acqua dolce utilizzata nella produzione e nella commercializzazione di alimenti e beni di consumo, dimostrando una forte dipendenza da produzioni agricole provenienti da sistemi irrigui di altri paesi del mondo. A livello individuale, l'impronta idrica italiana è all’89% determinata dal consumo di cibo, per una cifra pari a 6309 litri pro capite al giorno. Da monitorare, in Italia, anche la sostenibilità del settore ittico: quasi il 30% dello stock di pesce è a rischio per eccesso di sfruttamento. Il Belpaese, di contro, si distingue per la presenza di iniziative per il riciclo dell’acqua e per il prelievo nel settore agricolo. Risultati che, nel complesso, portano l’Italia al 6° posto nella classifica globale sul fronte dell’uso e gestione delle risorse idriche secondo il Fsi.
 

"Acqua: diritti e doveri" a Fico Eataly World

L'acqua sarà al centro dell'evento "Acqua: diritti e doveriin programma i22 marzo prossimo alle 11.00 a Fico Eataly World di Bologna. La seconda tappa del ciclo di Lezioni per la generazione Z promosse da Fondazione Fico e dedicate ai diritti e doveri del cibo, dell’acqua e dell’energia, così come al valore della legalità per un’economia e un’agricoltura sostenibile. Il testimone passa a Romano Prodi, presidente della Fondazione per la collaborazione tra i popoli, che sarà protagonista dell'incontro.

Si sta andando verso una stagione di minore regolarità delle precipitazioni, con prolungati periodi siccitosi inframmezzati a brevi violenti acquazzoni ed è chiara l’urgenza di attuare gli interventi necessari, seguendo il doveroso principio di precauzione. L'obiettivo dell'incontro è quello di riaccendere l’attenzione su un tema centrale per l’evoluzione sostenibile del pianeta.
 

Emergenza idrica

L’emergenza idrica è motore del fenomeno dell’accaparramento dell’acqua a livello mondiale è un tema caldo in molte zone del mondo, ha conseguenze complesse nel presente e avrà nel futuro implicazioni sempre più drammatiche e concrete sulla popolazione, soprattutto quella più debole ed emarginata. Otto anni fa, il 28 luglio 2010, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite approvava a New York la storica risoluzione che riconosce l'accesso all'acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari quale diritto umano fondamentale. L’accesso all’acqua potabile è così entrato a far parte ufficialmente della Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo. Nel mondo, però, oltre 800 milioni di persone non hanno accesso all'acqua potabile oltre 2 miliardi di persone, in maggioranza neonati e bambini, non dispongono di infrastrutture igienico-sanitarie di base (dati Onu).

La risoluzione del 2010 aveva fissato in dieci anni, quindi entro il 2020, la deadline per garantire il diritto umano all’acqua e ai servizi igienici per tutti gli abitanti del pianeta. E’ questo uno degli obiettivi del millennio fissati dalle Nazioni Unite.
La riduzione della disponibilità idrica pro capite è legata anche al fallimento delle governance nel controllare gli usi e gli abusi dell’acqua e nella protezione del sistema idrico in rapporto all’uso della terra, alla deforestazione, all’agricoltura insostenibile, all’urbanizzazione, all’inquinamento atmosferico. Le zone umide globali si sono dimezzate negli ultimi 100 anni e il numero delle specie di pesci di acqua dolce si è ridotto del 50% negli ultimi 40 anni. Gli ecosistemi acquatici si stanno velocemente degradando e la quantità di acqua disponibile in varie aree geografiche del pianeta non è già sufficiente a sostenere la vita umana e l’ecosistema.