AgroNotizie l'ha intervistata, a margine della manifestazione "Mondial des vins extrêmes", con 244 vini di montagna presenti, le cui premiazioni si sono tenute nei giorni scorsi a Milano.
Professoressa Giorgi, che cosa significa viticoltura eroica e qual è il futuro di tale segmento della viticoltura?
"Non è solo una questione di quota, ma di tendenza. L'eroismo di questa attività agricola presuppone un grande lavoro manuale, viste le condizioni orografiche in cui le produzioni sono realizzate.
Il lavoro manuale ha un costo significativo, non solo in termini economici, e garantisce di collocare le produzioni in contesti che sono poco antropizzati, più salubri e con caratteristiche che tradiscono fattori di unicità, in una dimensione in cui la vite viene fatta crescere sotto sforzo, per le condizioni climatiche, la quota e perché viene costretta ad assumere determinate forme per caratteristiche dei pendii".
Quali sono i vantaggi della viticoltura eroica?
"Molto spesso i viticoltori producono con vitigni che sono autoctoni, varietà che si sono co-evolute con l'ambiente. In queste condizioni si possono così individuare varietà con peculiarità definite in termini di resistenza e di biodiversità. E l'alto grado di biodiversità genera i presupposti perché vi sia un ecotipo resistente ad esempio a una malattia e lo studio permette di aprire nuovi orizzonti.
Tali collezioni di biodiversità delle viti e delle varietà di montagna rappresentano un grandissimo capitale, che va conservato e difeso".
Sforzi che si riconoscono anche nel vino?
"Assolutamente sì. Lo sforzo si trasforma in metaboliti secondari, che producono per resistere alla situazione di stress, sono sostanze bioattive, che danno un bouquet più ricco. Fa sì che siano una produzione limitata in quantità e di altissima qualità. E poi c'è il messaggio di attenzione del territorio, aspetto che non dobbiamo mai dimenticare.
Lo sforzo dell'eroismo è ripagato da una qualità elevatissima, frutto di caratteristiche uniche".
Come si possono promuovere i vitigni eroici e i vini?
"Facendoli assaggiare. Il driver è l'esperienza e, dunque, diventano fondamentali iniziative pubbliche di ampio spettro. Bisogna facilitare la partecipazione dei soggetti che producono con i criteri dell'agricoltura eroica".
Come Università di Milano e Università di Edolo siete molto attivi.
"Ci diamo da fare e ce lo riconoscono. Il coinvolgimento ad esempio del Cervim nasce proprio con l'obiettivo di porre all'attenzione della più ampia platea possibile le eccellenze dell'agricoltura di montagna e delle viticoltura eroica. Cerchiamo inoltre di favorire la sperimentazione, l'innovazione, le pratiche finalizzate alla riduzione dei costi o al contenimento delle energie, perché fare agricoltura in montagna è faticoso, oltre ad essere costoso".
Accanto ai vini, la montagna è foriera di altri grandi prodotti dell'agroalimentare, come latte, formaggi, miele. Possono fregiarsi del marchio Prodotto di montagna?
"Sì. C'era una dichiarazione volontaria approvata dalla Commissione europea un anno e mezzo fa. E' un'autocertificazione. Il produttore, quando rispetta le regole, può apporre il logo prodotto di montagna".
Secondo lei serve?
"La mia posizione personale è che sono utili tutti i loghi che veicolano un messaggio e che catalizzino l'attenzione del consumatore verso un prodotto diverso. Individuare un prodotto di montagna significa affermare che viene da un territorio specifico, la cui gestione è a vantaggio di tutti.
Quindi, ogni marchio che porta l'attenzione su un numero di prodotti riconducibili a una matrice comune di territorio e di qualità, ben venga. Gli altoatesini praticano la via del brand da lungo tempo e con efficaci ritorni, di immagini, ma anche economici".
Una soluzione che reputa positiva?
"Sì, indubbiamente. Nell'immaginario collettivo si va in Alto Adige anche perché si trovano prodotti buoni. E' stata una linea vincente a sostegno anche dell'agricoltura tradizionale nel contesto territoriale montano".
Pensa che gli agricoltori debbano ricevere un compenso per la tutela del territorio?
"Certo, l'agricoltore è come il giardiniere che cura le aiuole in città. A chi si occupa di manutenere davvero il territorio è bene che vengano dati dei sussidi, verificando anche che le cose vengano fatte secondo le regole prescritte".
In agricoltura si sta diffondendo l'uso dei droni. Cosa ne pensa?
"Sono strumenti che portano innovazione nel settore agricolo, anche nelle condizioni più estreme. E' un tema di grande rilevanza, che riguarda il presente e ancora di più il futuro. Il Cervim è il Centro internazionale per la viticoltura di montagna, che promuove l'attività di ricerca e sperimentazione in contesti territoriali a forte pendenza. Svolge un lavoro benemerito per introdurre strumenti tecnologici che, pur consentendo di conservare la produzione, aiutino gli uomini a svolgere un'attività complicata. I droni sono un tema che mi appassiona e che sta dilagando in termini di applicazioni, anche nel settore dell'agricoltura".
Quali saranno le innovazioni più importanti in frontiere di agricoltura di montagna?
"I satelliti per il monitoraggio dell'estesissimo patrimonio territoriale e forestale delle aree montane. Non dobbiamo sottovalutare il fatto che sono in atto fenomeni altamente impattanti, come il cambiamento climatico, i cui effetti devono essere attentamente monitorati, soprattutto nel versante meridionale delle Alpi, cioè quello italiano".
Come mai?
"Perché essendo a Sud è quello più sensibile e che restituisce in concreto gli effetti dei cambiamenti climatici anticipatamente rispetto al versante settentrionale. I satelliti permetterebbero di collezionare dati, di verificare i cambiamenti attraverso la vegetazione e di poter avanzare ipotesi e previsioni sulle evoluzioni future. Fino a dieci anni fa era impensabile coltivare la vite oltre i 1.100 metri sul livello del mare".
Oggi non è più così?
"Oggi i colleghi dicono che diventa interessante spostare la quota di coltivazione sempre più in alto, per ottenere vini aromatici. E questo è l'effetto dei cambiamenti climatici".
Lo scorso gennaio è nata la macroregione agricola. E' già operativa?
"In questo momento stiamo mettendo a punto le modalità di collaborazione tra sette Stati e 48 Regioni. Bisogna definire i presupposti e le regole comuni, in grado di generare i risultati attesi per dare concretezza al progetto. La macchina è complessa".
Avete già individuato i settori strategici?
"Sì: l'agro-food e il settore forestale. Partiranno iniziative a dimensione macroregionale, per capitalizzare le migliori pratiche in essere. Abbiamo la responsabilità di costruire dialoghi efficaci".
Abbiamo detto che la montagna non è solo vino. C'è un comparto che fa parte dell'immagine della montagna, quello delle erbe officinali. Quale può essere il suo futuro?
"E' un mondo complesso. Nell'Action plan della macroregione agricola è portato come settore potenzialmente strategico, ma poco valorizzato".
Perché?
"Al di là di Svizzera e Germania, che possono vantare una tradizione sia in termini di produzione sia di consumo, un'organizzazione perfetta e sono stati peraltro i primi a utilizzare le Alpi come brand, i nostri territori subiscono la competizione della materia prima importata, dove la manodopera costa pochissimo".
E' quindi più complicato?
"Sì. L'unica strategia praticabile è quella di produrre e trasformare direttamente e avere prodotti facilmente individuabili, che rendano ragione del maggior costo. Se, al contrario, si coltiva con l'intento di vendere a chi trasforma, è molto più complicato".
Cos'altro ritiene essenziale nel segmento delle erbe aromatiche?
"Comunicare la qualità a tutti".