Il Giappone è un’isola la cui estensione è comparabile alla superficie della Germania. Oltre la metà del territorio è montuoso ed è coperto da foreste. Il Pil del Paese nel 2014 è stato di 4,6 milioni di miliardi di dollari, con un Pil pro capite di 36.426,3 dollari. La popolazione supera di poco i 127 milioni e vive per il 94% in aree urbane. Un quarto degli abitanti è ultrasessantacinquenne.

L’agroalimentare in Giappone
Dai tradizionali piatti a base di riso i consumi di piatti “occidentali” stanno crescendo, con una particolare attenzione verso carne, uova, latte e grassi. Le abitudini di consumo alimentare registrano un incremento dei pranzi fuori e nell’acquisto di alimenti confezionati, a spese della cucina di casa e dei cibi freschi.

Nel 2010 i supermercati avevano la quota più importante di vendita al dettaglio di generi alimentari col 45%, seguiti dai piccoli rivenditori, negozi specializzati in alimentari e tabacco e altri piccoli negozi. I supermarket distribuiscono la maggior parte di circa 201,5 miliardi di euro di alimenti confezionati.
I “convenience store” costituiscono il 78% dei piccoli rivenditori di generi alimentari. I più importanti rivenditori sono 7-Eleven, Lawson, Family Mart, MaxValu e Circle K.

I principali player sul mercato dell’agroalimentare giapponese sono Kiring Brewing Co, Asahi Breweries, Ajinomoto Genereal Foods, Nippon Meat Packers, Yamazaki Baking Co.

Il mercato di servizio alla ristorazione vale circa 215 miliardi di euro (dato 2010), con un totale di 248.700 imprese, delle quali l’81% indipendente. Circa il 36% degli acquisti sono rappresentati dalle bevande.

Una popolazione che sta invecchiando, inferiori livelli di produzione e le preoccupazioni dei consumatori circa la sicurezza alimentare, hanno portato alla stagnazione del mercato dei prodotti alimentari freschi, anche se alcuni prodotti freschi sono molto richiesti, come noci, legumi, frutta e carne.
La vendita online da parte dei supermercati, conosciuta come “net super”, si sta diffondendo tra una popolazione di circa 6 milioni di anziani, che ha difficoltà di muoversi per fare la spesa.

I canali di distribuzione stanno cambiando, nella direzione di più brevi e più efficienti opzioni distributive per le importazioni. Da grossisti tradizionali si sta andando verso piccole e medie imprese all’ingrosso e al dettaglio, che acquistano direttamente dall’estero piccoli lotti.

Rapporti commerciali fra Unione europea e Giappone
Dai dati Eurostat, gli scambi di merci tra Ue e Giappone sono dominati dal manifatturiero che, nel 2014, ha rappresentato il 97% del totale delle importazioni dell’Unione europea dal Giappone e l’84% dell’export dall’Europa al Paese del Sol Levante.
Il deficit di 6,7 miliardi di euro registrati dall'Ue per il suo commercio di manufatti con il Giappone è in parte compensato da un surplus dell’Unione europea in beni primari (+6,1 miliardi di euro), in particolare per il cibo e le bevande (+4,7 miliardi di euro).

Rapporti commerciali Italia-Giappone
Secondo l’Istat, l’interscambio commerciale tra Italia e Giappone nel settore agroalimentare risulta nettamente sbilanciato a favore del nostro Paese, con un export che nel 2014 ha raggiunto i 783 milioni di euro, a fronte di un import pari a 9,3 milioni.
Il settore potrebbe garantire notevoli margini di espansione per i produttori italiani, ove fosse possibile ottenere un consistente allentamento dei vincoli ed una progressiva ma decisa contrazione delle barriere tariffarie e non tariffarie tradizionalmente imposte al Governo dall’Unione centrale delle cooperative agricole giapponesi (JA-Zenchu), cui risultano affiliate le associazioni agricole del Paese.

Il Giappone garantisce una protezione tariffaria superiore al 200% ad oltre 100 denominazioni merceologiche del settore agricolo. Tra queste spiccano le tariffe protettive sul riso (778%) e sui prodotti trasformati a base di latte, di carne o di zucchero.
Vi è inoltre un sistema di barriere non tariffarie il cui principio ispiratore generale è che le certificazioni ottenute dai competitors stranieri nei Paesi di origine, salvo casi specifici, non valgono di per sé a garantire sicurezza e qualità accettabili in Giappone e vanno quindi reiterate a cura delle autorità locali e a spese degli importatori interessati.

Nello specifico, le barriere sono legate soprattutto a regolamentazioni di carattere sanitario (tra le più note, tolleranza zero verso il batterio Lysteria, ad esclusione dei salami e dei formaggi naturali, e verso i batteri coliformi per i gelati), molte delle quali non sono in linea con il Codex alimentarius, riconosciuto a livello internazionale come quadro di riferimento in fatto di sicurezza alimentare.

Nel settore ortofrutticolo, in cui la vendibilità del prodotto è subordinata alla sua freschezza e presentabilità, la mancanza di regolamentazioni trasparenti accentua i possibili danni derivanti dalla discrezionalità concessa agli ispettori di frontiera.

Pur non risultando tra i primissimi esportatori verso il Sol Levante, il nostro Paese vanta tuttavia quote di export di assoluto rilievo riguardo, ad esempio, ai pomodori pelati, alle paste alimentari, al prosciutto crudo, all’olio di oliva, ai vini e al formaggio, ossia nei settori che per tradizione rappresentano la punta dell’agroalimentare italiano nel mondo.

La progressione di cibi e vini made in Italy sul mercato giapponese dura ormai da un ventennio: lo dimostra il fatto che l'export alimentare nazionale su questo mercato nel periodo 1994-2014 è quasi sestuplicato. L’incidenza dell’alimentare sul totale delle forniture italiane è così passata dal 4% a quota 14%.
La crescita ha coinciso con il boom della ristorazione italiana in Giappone (ove sono oggi attivi circa 20mila esercizi), che ha di fatto trainato l’export in questo settore.