23 settembre 2014
Economia e politica
Pomodoro, Confagricoltura Piacenza: "Cambiare le modalità contrattuali"
Articolo pubblicato 10 anni fa
Il presidente della sezione di prodotto, Lambertini: "Chiediamo sin da ora maggior concretezza alle Op"
Si sta chiudendo una difficile campagna del pomodoro da industria. Una stagione dominata dai chiaroscuri che ha visto le avversità atmosferiche contrastate efficacemente dalle puntuali e sapienti azioni agronomiche degli agricoltori che hanno salvato la coltura facendone però schizzare i costi produttivi alle stelle. “Quella che una volta era una coltura da reddito – commenta Giovanni Lambertini, presidente della sezione di prodotto Pomodoro da industria di Confagricoltura Piacenza e di Confagricoltura Emilia Romagna - sconta costi di produzione decisamente alti e che impongono rese molto elevate, al punto da rivelarsi remunerativa solo in annate agrarie perfette sotto ogni punto di vista e il 2014, di certo, non lo è, come, del resto, non lo è stata neppure il 2013. Serve maggiore consapevolezza da parte dei rappresentanti delle Op. Nonostante l’impegno per la produzione, comunque garantita, le imprese si confrontano con una situazione che va cambiata e con un accordo che, purtroppo come ci si aspettava, non è remunerativo perché il prezzo fissato a 9.2 euro al quintale, in tanti casi, corrisponde anche a meno di otto effettivamente percepiti, con punte negative al di sotto dei sette euro”.
Le superfici investite a pomodoro da industria in Italia nel 2014 rispetto all'anno prima hanno registrato un aumento di circa il 19% con l'Emilia Romagna confermata principale area di produzione e detenente una quota del 47% delle superfici totali nazionali. In questa regione, la produzione è localizzata prevalentemente nelle province di Piacenza, Ferrara e Parma. “I produttori - rimarca Lambertini - possiedono grande competenza, ma produrre pomodoro da industria costa sempre di più. Serve sin da ora impegno e serietà per cambiare le modalità contrattuali che, così concepite, non hanno più ragione di essere e portano alla deregulation, tanto che questa situazione ha indotto alcune aziende agricole a trovare accordi diretti con le industrie di trasformazione facendo venir meno il ruolo fondamentale delle Op che è quello di aggregazione del prodotto. I parametri qualitativi non possono essere uno strumento ingestibile e aleatorio di flessibilità e generare una forbice così grande tra pagamenti attesi e introiti effettivi. E stupisce lo stupore di alcuni rappresentanti delle Op – conclude Lambertini – che puntualmente si appellano al know how per contenere i danni di una contrattazione condotta a suo tempo con eccesso di ottimismo e sottovalutazione dei rischi a carico dei produttori”.