'E’ meglio nessun accordo che un cattivo accordo'. Il presidente della Cia (Confederazione italiana agricoltori) Giuseppe Politi torna sul fallimento del negoziato Wto di Ginevra e analizza una situazione con prospettive incerte per il commercio mondiale che rischia di accentuare gli squilibri e le tensioni.
'Il quadro che emerge', afferma, 'non è dei migliori, ma per il nostro Paese un’intesa senza alcuna garanzia in particolare per le indicazioni d’origine avrebbe avuto riflessi pesantissimi per l’agricoltura nazionale. Quindi, l’Italia, la cui agricoltura rivolta all’export è fatta di prodotti mediterranei e di prodotti tipici di qualità, ha fatto bene', rileva Politi, 'a sostenere la posizione di disponibilità a trattare a condizione di ottenere una tutela delle sue esigenze. Ma, al contempo, l’Italia, essendo un paese a forte vocazione export, deve sostenere non una posizione protezionistica, con la chiusura dei mercati, ma una visione aperta al libero scambio, purché, ovviamente, ci siano regole certe ed eque per tutti. Cosa che, purtroppo, nelle trattative di Ginevra non è stato possibile raggiungere'.
'Il fallimento di questa fase negoziale, che il direttore generale dell'Organizzazione mondiale del Commercio Pascal Lamy ha fortemente voluto a livello politico nonostante gli ancora elevati disaccordi di carattere tecnico, era prevedibile, ma non certo. Gli Usa e l’India, ha sottolineato il presidente della Cia, hanno portato avanti istanze condizionate dalla fase politica interna, con elezioni ormai imminenti.
Soprattutto, gli Stati Uniti avrebbero avuto grandi problemi a far approvare dal Congresso un accordo che, pur prevedendo il contenimento del sostegno interno (vedi gli alti livelli di sussidi nell’ultima Farm Bill), non avesse contenuto una vasta apertura dei mercati da parte dei paesi nei quali c’è ampio margine di crescita della domanda interna. Insomma, come ha sostenuto più volte il presidente Bush, sì alla riduzione del sostegno interno a condizione di avere grandi vantaggi sull’accesso ai mercati.
'L’India, d’altro canto, dimostra', aggiunge Politi, 'che appartiene anche ai paesi emergenti il conflitto sul grado di liberalizzazione commerciale. Il fallimento, come del resto ha sostenuto lo stesso Lamy, si è, infatti, avuto su uno degli ultimi punti all’ordine del giorno del tavolo di Ginevra: l’applicazione del meccanismo di salvaguardia speciale da parte dei paesi in via di sviluppo. In una parola, la possibilità di alzare temporaneamente le barriere doganali in situazioni di eccezionale gravità (aumento livello di importazioni, oscillazioni eccessive di prezzo). Il conflitto che ha portato al fallimento c’è stato, quindi, tra Usa e India proprio sul livello di importazioni tale da far scattare la clausola'.
'Il fallimento di Ginevra', ha rimarcato il presidente della Cia, 'ci lascia tre fondamentali insegnamenti: i paesi emergenti, come India e Cina, sono i nuovi attori con i quali dobbiamo confrontarci; il ‘round’ ha bisogno di nuove regole; i mercati agricoli mondiali sono cambiati enormemente e di questo dobbiamo tenere conto nello scrivere, appunto, le nuove regole Wto. Oggi', conclude Politi, 'siamo in una fase di difficile congiuntura economica, che non facilita il dialogo politico e rischia, anzi, di portare all’ulteriore frammentazione dei negoziati commerciali in accordi bilaterali o regionali. Una cosa è, però, certa: la crescita economica ha l’impellente necessità di accordi multilaterali. Per questo motivo la fiducia nella gestione e regolamentazione multilaterale degli scambi agricoli deve rimanere intatta. Occorre operare, fin dai prossimi mesi, in modo da riallacciare il confronto e ripartire su basi nuove e costruttive per arrivare finalmente ad un’adeguata intesa di cui tutti abbiamo bisogno'.