Prima un 2016 decisamente positivo, poi un 2017 altalenante ma tutto sommato favorevole. Ecco in estrema sintesi la fotografia della suinicoltura italiana negli ultimi due anni.
A scattarla è il Crefis (Centro ricerche economiche sulle filiere suinicole) attraverso l'elaborazione dell'indice di redditività, un parametro che offre una sintesi delle dinamiche economiche del comparto.
 

L'altalena dei prezzi

Per una lunga parte centrale del 2017, l'indice di redditività ha fatto registrare variazioni positive; poi, nel corso dell'autunno, sempre in termini di remuneratività, i nostri allevamenti suinicoli hanno mostrato qualche contrazione.

Parallelamente, l'andamento in termini generali dei prezzi del suino pesante, ovvero del prodotto principale della nostra suinicoltura, ha evidenziato un percorso simile a quello della redditività; con l'eccezione di settembre quando l'indice di remuneratività è rimasto positivo anche in presenza di mercati al ribasso, grazie al contemporaneo calo dei costi alimentari.
 

I costi

Se dunque il 2016 e il 2017 sono stati relativamente favorevoli per la nostra suinicoltura, è forse utile capire perché le cose sono andate così.
Secondo gli esperti del Crefis, dietro a questi risultati si riescono a vedere alcune precise cause.

Innanzitutto dal punto di vista dei fattori alimentari di produzione: negli ultimi anni, le quotazioni di mais e soia sono rimaste relativamente contenute, e questo ovviamente ha inciso favorevolmente sui bilanci aziendali dal lato dei costi.
 

L'export

In secondo luogo, già a partire dal 2015, ma soprattutto nel 2016 per proseguire nel 2017, si è verificato un forte incremento delle esportazioni di derivati suini verso la Cina.

Un dato su tutti: il totale in valore delle spedizioni dall'Ue di carni lavorate e congelate verso gli importatori cinesi è passato da 934 milioni del 2015 a 1,75 miliardi di euro del 2016; quasi un raddoppio.


I prosciutti

Infine, a giocare un ruolo di traino sul segmento del suino pesante è stato l'andamento economico favorevole del Prosciutto di Parma, il prodotto di punta delle filiere suinicole italiane.

A partire dalla fine del 2015 e per tutto il biennio 2016 - 2017, la redditività del Parma Dop è stata relativamente elevata e soprattutto si è mantenuta costantemente più alta rispetto alla remuneratività del prosciutto generico.
 

Solo congiuntura?

Ma tutto ciò cosa significa in concreto? E cosa può indicare per il prossimo futuro? Lo abbiamo chiesto al professor Gabriele Canali, docente all'Università Cattolica e direttore del Crefis.

"I dati che riscontriamo guardando agli ultimi due anni sono relativamente positivi e hanno indubbiamente determinato uno stacco netto dalla crisi del 2015. Questi stessi dati, però, non devono indurre a facili ottimismi. Non è superfluo evidenziare – prosegue Canali – quanto i fattori che hanno giocato un ruolo positivo nel corso del 2016 e del 2017 – e già in quest'ultimo anno in modo più discontinuo – abbiano natura prettamente congiunturale e possano mutare direzione in qualsiasi momento".

Si tratta di un'eventualità scongiurabile?
"Prendiamo ad esempio i comportamenti dei paesi grandi importatori quali la Cina o consideriamo gli andamenti dei mercati internazionali di mais e soia: si tratta di dinamiche di complessità e dimensioni tali per cui i singoli operatori economici possono influire ben poco o, meglio, nulla. E nemmeno c'è molto da sperare in forme di intervento diretto della Pac, che pure è intervenuta nel recente passato ma sempre con una funzione di estrema 'rete di sicurezza'".

Cosa si può fare, allora?
"Nei confronti di fenomeni sui quali non si può incidere direttamente, ci si deve attrezzare per poterli affrontare al meglio.
Da questo punto di vista le filiere suinicole italiane, e in particolare quella del suino pesante per prosciutto Dop che quantitativamente è la più importante nel nostro Paese, non dovrebbero perdere l'occasione di questa congiuntura relativamente favorevole per affrontare quei nodi che già da anni avrebbero dovuto aggredire.

Si tratta
– spiega il professor Canali – di cambiamenti importanti sul fronte organizzativo che potrebbero consentire finalmente di creare una vera interprofessione che coinvolga allevatori, macellatori e stagionatori; soprattutto al fine di pianificare e sostenere forme di ricerca e innovazione su temi centrali per la competitività quali l'alimentazione, la genetica, le questioni sanitarie, le strategie e gli strumenti di valorizzazione, la maggior capacità di interpretazione delle dinamiche nuove sui mercati".