Quello avicolo è uno dei pochi settori della nostra zootecnia che senza interruzioni è in crescita da dieci anni. Significativo il risultato del 2016, aumentato del 5,7% sul 2015, con un totale di 1,36 milioni di tonnellate di carni macellate.
Grazie a questi progressi il comparto avicolo è l'unico fra quelli della carne ad avere un tasso di approvvigionamento superiore al 100%, cosa che consente a questa bilancia commerciale di essere in positivo.
 

Le ragioni di un succeso

Sono questi, in sintesi, i numeri che scaturiscono dall'analisi che Ismea, l'istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare, ha pubblicato in questi giorni e che confermano l'efficacia del modello produttivo che il settore si è dato.

Il segreto di questa efficienza ha molte ragioni: l'eccellente lavoro dei genetisti nella messa a punto delle linee produttive, la perfetta conoscenza delle esigenze degli animali allevati, la grande attenzione all'igiene e alla prevenzione delle patologie aviarie più temibili.
Il tutto organizzato in un modello integrato di filiera produttiva che nell'avicoltura ha il suo punto di eccellenza.
 

Controllo delle emergenze

Un'efficienza organizzativa che si riscontra anche nel controllo e nella gestione delle emergenze. Lo dimostrano i tempi di risposta agli episodi di influenza aviaria, risolti in media nell'arco di 35 giorni.
Assai meglio di quanto avviene negli altri paesi europei.

In questi giorni il settore ha dovuto affrontare il caso Fipronil, l'insetticida riscontrato in alcune partite di uova e di ovoprodotti.
La sinergia fra i controlli dei servizi veterinari e la filiera avicola ha permesso in tempi rapidi di isolare le partite compromesse e accertare l'origine del problema.
 

Come cambia il consumo

L'analisi di Ismea sul comparto avicolo prende anche in esame l'andamento dei consumi, che ora vede sopravanzare la carne avicola (20,4 kg anno procapite) a quella bovina, ferma nel 2016 a 17,1 kg procapite.

Interessante poi l'analisi delle tipologie di consumatori. Forte l'aumento dei giovani con meno di 34 anni che hanno dato nel 2016 la loro preferenza alle carni avicole, acquistandone in volume il 7% in più.
Aumento in volume ma non in valore, che invece è sceso. E qui entrano in ballo considerazioni di carattere economico, con la crisi che ha favorito i prodotti meno costosi e in particolare le promozioni attuate dai punti vendita, iper e supermercati in testa.

Analoghe considerazioni si possono fare in merito all'aumento dei consumi (+9%) delle fasce più avanti negli anni (oltre i 64 anni di età). Anche in questo caso l'aumento riguarda il volume dei consumi, ma non il loro valore, sostanzialmente stabile.
 

Chi dice no al pollo

Diverso il comportamento delle fasce di età intermedie, dove la carne di pollo sembra perdere interesse, registrando un calo dell' 8%.

Spostando l'analisi sulle fasce di reddito, si scopre poi che a rinunciare alla carne di pollo sono le persone a reddito alto. I consumatori benestanti e in una fascia di età intermedia sembrano dunque più attratti da prodotti nuovi e alternativi, o forse più soggetti a mode e tendenze. Un'evoluzione che gli esperti definiscono ricerca del valore reputazionale.

Forse la carne di pollo, accessibile a tutti con i suoi prezzi bassi, ha perso "appeal" per questi consumatori alla ricerca di un prodotto elitario.
 

Un pollo per intenditori

La filiera avicola ha già dato dimostrazione di ampie capacità nell'assecondare esigenze ed evoluzioni dei mercati.
Non ci stupirebbe se presto all'economico petto di pollo pronto per andare in padella troveremo affiancata una raffinata preparazione per palati sopraffini. Purché si sia disposti a spendere.