Dal 20 al 30 marzo, l’Associazione parteciperà infatti fieramente all’11esima edizione del Pesticide Action Network (Pan), unendosi a organizzazioni e movimenti globali di cittadini uniti nella lotta all’uso di agrofarmaci in agricoltura e in ambito urbano. Un po’ come esser fieri di partecipare a un evento in cui si lotta contro gli antibiotici, i vaccini e i farmaci contro diabete e tumori, ritenendoli la causa dei mali anziché la cura.
A prestare l’assist a Slow Food sarebbero stati come detto due inviati delle Nazioni Unite, i quali avrebbero concluso che sarebbe falso che i prodotti per la difesa delle colture servano a garantire aumenti di rese colturali. Forse ignari delle innumerevoli e stringenti normative che regolano la registrazione e gli usi degli agrofarmaci, per Hilal Elver e Baskut Tuncak non esisterebbe neppure un trattato generale atto a regolare i pesticidi “altamente pericolosi”. Non paghi di ciò, negano perfino che gli incrementi di rese osservati degli ultimi 50 anni abbiano qualcosa a che fare con la chimica agraria. Stranamente, per i due inviati il raddoppio della popolazione mondiale, a fronte di un incremento del 10% delle superfici coltivate, sarebbe la prova che i “pesticidi” servirebbero a nulla. Un non-sense per il quale viene da interrogarsi seriamente sui criteri con cui vengono conferiti gli incarichi a certi livelli.
Di certo, i 200 mila morti annui citati dai due non sono fantasie. Peccato che, come loro stessi ammettono, il 99 per cento di tali intossicazioni acute avverrebbe proprio nei Paesi in via di sviluppo, cioè quelli più penalizzati dalla povertà di competenze tecniche, seconda solo a quella economica.
Ignorando forse - ma vi è da credere che il livello di consapevolezza sia invece alto - che le pratiche agricole italiane sono sideralmente diverse da quelle dei Paesi sub-sahariani, Slow Food si lancia all’attacco di contadini e hobbisti, i quali coltiverebbero la terra “senza pensare troppo alle conseguenze”. Ennesima rappresentazione di un comparto agricolo nemico della salute e dell’ambiente per meri interessi commerciali. Un quadro denigratorio del quale onestamente non se ne può proprio più.
Secondo Slow Food, peraltro, esisterebbe infatti un modo alternativo di fare agricoltura senza usare chimica. Questi, sempre secondo la Chiocciola, indebolirebbero addirittura le colture che dovrebbero difendere. Un’altra prova di quanto a Bra si viaggi disconnessi tra ciò che è e ciò che si vuole dimostrare sia. Perfino i dati più che positivi sui residui, quelli forniti dall’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa), vengono girati in chiave negativa da Slow Food, la quale trova incredibile che il 45% del cibo contenga residui e ritiene una percentuale altissima l’1,6% di campioni irregolari. Un po’ come stupirsi che nelle urine dei pazienti trattati per qualche patologia si rinvengano residui dei farmaci che li hanno curati, magari salvando loro la vita.
Immancabile infine il richiamo alla biodiversità animale e vegetale, distrutta a parere di Slow Food proprio dagli agrofarmaci. Dura spiegar loro che nel momento stesso in cui si ara un campo per coltivarlo la biodiversità viene praticamente ridotta rasente a zero. Purtroppo però, o si arano i campi o decine di milioni di Italiani saltano i pasti. Ma di questo a chi celebra prodotti da boutique agroalimentare si comprende bene possa importare poco.
E così, mentre si celebra la Settimana internazionale contro i Pesticidi, e mentre la povera Biancaneve bambina si vede rifilare una mela avvelenata che nei fatti non esiste, Slow Food affossa con le proprie mani l’ipotesi di qualificarsi in futuro come interlocutore attendibile quando si parli di agricoltura e di difesa fitosanitaria. Quella cioè che in 50 anni, con buona pace degli inviati Onu, ha contribuito in gran parte al miracolo di triplicare le rese per ettaro di cereali senza quasi aumentare le superfici coltivate. Ma anche quella che con il famigerato ddt ha però salvato milioni di vite dalla malaria, soprattutto in quei Paesi poveri ove Hilal Elver e Baskut Tuncak pare guardino molto di più alle pagliuzze ideologiche che alle travi agronomiche e sociali.
È primavera, verissimo, ma se fra qualche mese vorremo mangiare, tutti, che gli agrofarmaci si usino. Bene, con criterio, ma che si usino. Oppure si decida che la carestia è una scelta auspicabile e si dia ad essa stura. Tanto già in passato qualche nobildonna annoiata avrebbe pensato che se il popolo non aveva pane, gli si poteva dare le brioches. Oggi chissà, forse, direbbe "Gli si dia un presidio Slow Food!".