Oltre 4 milioni di tonnellate di prodotti ortofrutticoli, per un controvalore superiore4,54 miliardi di euro, sono stati esportati complessivamente dalle aziende italiane, sulla base dei dati Istat su consuntivo 2015. Nello specifico, 2,58 di frutta fresca e 1,23 di ortaggi e legumi e il rimanente di agrumi, frutta secca e tropicale, con un incremento del 10,9% rispetto al 2014 e un incremento in volumi del 3,4%. Le importazioni sono aumentate sfiorando 3,5 milioni di tonnellate, con un incremento del 18,6% determinando una caduta del saldo attivo commerciale del 17,8% che si attesta a poco più di 715 milioni di euro.

Questi i numeri riportati da Marco Salvi, presidente di Fruitimprese, l’Associazione imprese ortofrutticole, rappresentativa delle imprese di produzione, commercializzazione, esportazione e importazione dei prodotti ortofrutticoli che operano sul mercato nazionale, comunitario e mondiale, analizzando il mercato italiano dell'ortofrutta durante il convegno “Quali politiche per un futuro sostenibile della filiera ortofrutticola” tenutosi lo scorso 14 aprile al Grand Hotel Plaza di Roma.

Il dato dell'export è particolarmente positivo se si considerano alcuni fattori che hanno condizionato negativamente lo scenario internazionale, come l'embargo russo, l'instabilità nella regioni del Nord Africa e Medio Oriente e l'incertezza economica in Cina e in Estremo Oriente - ha spiegato Salvi -. Le imprese del settore, in particolare le associate a Fruitimprese, hanno dimostrato vivacità e competitività portando valore aggiunto all’intero sistema nazionale, sapendosi adeguare. In particolare l’aumento delle esportazioni ha consentito di riportare valore sui territori alle aziende di produzione e mantenere i livelli di occupazione e, inoltre, ha contribuito in maniera determinante al tasso di crescita dell’economia del Paese. I risultati raggiunti testimoniano l’impegno e il buon lavoro realizzati; i nostri soci sono pienamente consapevoli del ruolo fondamentale che ricoprono nel garantire il mantenimento e l’ulteriore sviluppo dell’internazionalizzazione del settore ortofrutticolo che, unendo il fresco e trasformato, rappresenta il primo comparto per valore dell’export italiano”.

Il potenziamento dell'internazionalizzazione richiede un adeguamento dell'approccio che l'intero comparto deve costruire per affrontare la competizione con gli operatori internazionali. “Le nostre aziende devono affrontare i mercati in modo nuovo e, aggregate e organizzate, devono mantenere un ruolo centrale quali attori principali del processo di potenziamento dell’attività di internazionalizzazione – ha proseguito il numero uno di Fruitimprese -. Tuttavia è prioritario poter contare sull’attività di accompagnamento e tutoraggio delle istituzioni, in particolar modo nei momenti di apertura di nuove relazioni internazionali e di sostegno alla promozione del 'sistema Paese' nelle vetrine internazionali. Noi crediamo esista un grande spazio per lo sviluppo dell’export delle nostre produzioni e ci proponiamo come rappresentanti di un nuovo sistema vincente capace di raccogliere e vincere le sfide imposte dalla globalizzazione. Ribadiamo quindi con forza la revisione dell’attività della cabina di regia per l’export, affinché veda al suo interno la presenza diretta delle imprese esportatrici abituate a confrontarsi giornalmente con il mercato. Ribadiamo inoltre la necessità ormai non più rinviabile di un’unica regia della gestione comunitaria degli accordi bilaterali per l’export nei Paesi terzi”.

Anche l'aspetto sostenibile del settore ortofrutticolo italiano è stato al centro del convegno. Le certificazioni di qualità e ambientali sono vissute dalle imprese come un prerequisito di accesso ai mercati più evoluti e la rete tecnica di assistenza alla produzione completa un’attività costante di presidio della qualità e salubrità dei prodotti commercializzati.

L’Italia è leader nelle produzioni sostenibili a livello mondiale. La produzione integrata è nata in Italia oltre 30 anni fa ed il monitoraggio sui residui di fitofarmaci sull’Ortofrutta non lascia dubbi: il 99,6% dei prodotti analizzati risulta entro i limiti di legge e ben il 60% non presenta alcun residuo. Le difficoltà vere si registrano alla produzione nella disponibilità dei presidi fitosanitari utilizzabili. Il vero punto debole è dovuto dal fatto che la normativa comunitaria non è omogenea e crea indirettamente una situazione di distorsione della concorrenza fra i produttori dei diversi Stati membri. Un passo avanti è stato fatto con la costituzione di un apposito ufficio di coordinamento presso il Cso, realizzato anche con il contributo diretto di Fruitimprese, Aci e Assomela, che ha ottenuto buoni risultati e, soprattutto, ha attivato un nuovo fruttuoso metodo di confronto e relazione con i ministeri competenti. Speriamo che questo sia un nuovo tassello della costruzione del sistema Paese. Attendiamo con fiducia un formale riconoscimento pubblico dello strumento realizzato, attraverso una delega operativa dei ministeri competenti che ci consenta di sviluppare tutta l’attività necessaria con tempi e livello di efficacia corrispondenti alle esigenze della filiera” ha concluso Salvi.

Il convegno ha rappresentato l’occasione per ribadire la disponibilità di Fruitimprese a ricercare e ad applicare gli strumenti più idonei per rendere concreto un vero e proprio “patto di responsabilità sociale” che coinvolga tutta la filiera, dalla produzione alla distribuzione, con l’obiettivo di tutelare il mercato e evidenziare chi opera fuori dalle regole per garantire al consumatore un prodotto con i necessari requisiti di eticità.
Un ragionamento, che tocca la sicurezza sul lavoro, la legalità e l’etica della produzione, che deve necessariamente partire dall’analisi delle reali dinamiche organizzative del settore e dai meccanismi di formazione dei prezzi, sui quali Fruitimprese ribadisce la necessità di un confronto: “Occorre un confronto serio e deciso sui costi di produzione e sulla dinamica di formazione dei prezzi dal campo al consumatore. La filiera ortofrutticola italiana, ormai da troppi anni, sconta una pressione sui prezzi ed una lievitazione dei costi di produzione che la mettono fuori mercato, nei confronti degli altri Paesi produttori della Ue oltre che dei Paesi produttori emergenti. In queste condizioni si creano spazi per l’illegalità e distorsioni sull’attività di un intero comparto fondamentale per l’economia del nostro Paese – ha sottolineato il presidente -. Siamo convinti che lo strumento della Rete del lavoro agricolo di qualità introdotto dal decreto 91/2014, possa essere l’inizio di un nuovo percorso che porti a tutelare il lavoro e l’imprenditorialità della grande maggioranza delle imprese agricole. Chiediamo al Governo che anche per le imprese di confezionamento e commercializzazione sia possibile iscriversi alla rete. Riteniamo tuttavia che i criteri e gli obblighi previsti dalla attuale normativa debbano essere modificati e snelliti perché è ormai chiaro che la complessità dei requisiti richiesti sta determinando l’insuccesso dell’operazione, come testimonia l’esiguo numero delle imprese aderenti. Anche per questa materia riteniamo che soltanto da un rapporto virtuoso fra pubblico e imprese possa nascere uno strumento realmente utilizzabile ed efficace e proponiamo la costituzione di una specifica cabina di regia che coinvolga le imprese della filiera ortofrutticola”.

Il vice ministro alle Politiche agricole Andrea Olivero, intervenuto all'incontro, ha sottolineato: "Per favorire l’orientamento ai mercati esteri e migliorare la competitività delle nostre imprese, oggi più che mai diventa fondamentale puntare su aggregazione e organizzazione della produzione. La sinergia tra grandi imprese e Pmi, supportata da una cabina di regia pubblica come previsto dal piano d'internazionalizzazione, è una soluzione idonea a valorizzare i nostri prodotti, soprattutto in mercati dove difficilmente si riesce ad arrivare se non con una massa critica adeguata.
Per una strategia efficace e lungimirante, dobbiamo riuscire ad accrescere il valore aggiunto, ciò vuol dire esportare non solo un prodotto, ma un modello che ha il suo punto di forza nel connubio con il territorio e nella valorizzazione delle produzioni di qualità
".

Italia 2016: la ripresa minacciata e le sue implicazioni
I dati congiunturali sul 2016 dicono che l’Italia non ripartirà davvero senza il volano dell’estero, senza una robusta ripresa del mercato interno, e se la ripresa non si diffonde tra imprese e territori. Ma rispetto al passato la ripresa di oggi dipende più da noi che dagli altri. Nel bene e nel male” questo il commento del professor Francesco Daveri, professore ordinario di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, in riferimento all’analisi “Italia 2016: la ripresa minacciata e le sue implicazioni” presentata durante il convegno.

Daveri ha evidenziato che nel 2015 in tutta l’economia italiana è tornato il segno più: quattro trimestri consecutivi di crescita.
A fine 2015 la crescita tendenziale del prodotti interno lordo (variazioni tendenziali su dati concatenati destagionalizzati e corretti per gli effetti di calendario (2010) si è attestata all’1%. In l’Italia l’importazione di beni e servizi nel 2015 è cresciuta del +6%mentre l’export ha avuto una crescita più contenuta, pari al +4,3% (in volume). Il governo vede il Pil in accelerazione a +1,2 nel 2016: l’accelerazione arriverà soprattutto dagli investimenti. La capacità produttiva utilizzata è ritornata quasi ai livelli pre-crisi.
 
Tuttavia la ripresa sta dando segnali di stasi nel 2016: l’Istat prevede un +0,1 di crescita di Pil nel primo trimestre 2016, che riprende quanto accaduto nell’ultimo trimestre 2015.
Le tre minacce alla ripresa sono:
• il mondo rallenta la corsa, secondo Imf World economic outlook aprile 2016, nell’anno in corso la crescita non si discosterà molto rispetto all’anno precedente
• la stagnazione dei consumi dal novembre 2015
• la ripresa in atto rimane molto diseguale tra settori e tra territori.