Queste considerazioni e valutazioni possono essere fatte anche e particolarmente nel pesco che rappresenta una specie frutticola particolarmente interessata da queste problematiche e oggetto di ricerca e sperimentazione da parte di Vincenzo Ossani, ex professore all’Istituto professionale per l’agricoltura “Caldesi” di Persolino - Faenza (Ra) ed esperto nella ricerca di pesche nettarine e actinidia.
Tra queste problematiche ricordiamo la scelta degli ambienti più vocati, la razionale applicazione d’irrigazione e concimazione, l’inerbimento del frutteto, le forme d’allevamento con i rispettivi sesti d’impianto e di tecniche di potatura, l’equilibrato diradamento dei frutti e la scelta del portinnesto. Proprio in funzione del miglioramento qualitativo senza diminuire la quantità produttiva nell’arco dell’intera vita della pianta di pesco, si sono messe a punto o si stanno valutando diverse tecniche colturali che possano agire proprio in questa direzione sopra indicata.
La scienza infatti ha messo a disposizione dell’uomo diversi strumenti che devono essere utilizzati per cercare di ottenere tale risultato. La ricerca scientifica ha inoltre dato all’uomo la possibilità di scegliere in tre direzioni diverse come la meccanica, la chimica ed il miglioramento genetico.
“Il veterinario – dice Vincenzo Ossani - fatica a diagnosticare la malattia dell’animale, il medico ancora di più nell’essere umano, ma l’agronomo ha vita più facile a capire il linguaggio della pianta, perché la pianta è sincera e leale. Se essa dice che ha frutti grossi si vedono, se dice che ha foglie verdi si vedono, se dice che ha sete si vede, se dice che ha caldo si vede. Deve quindi essere l’uomo a capire i segni ed i messaggi per poter evitare che si arrivi alla manifestazione delle problematiche. Quindi non sono le sovvenzioni che daranno la possibilità di salvarsi ai produttori ma saranno le tecniche colturali. Dovremmo quindi dare una smussata alla nostra mentalità dato che troppe volte si sente dire ma una volta si faceva così ed andava bene ed ora perché devo cambiare. Basti pensare alla Ferrari che monti ancora oggi gli stessi pezzi e gomme di 40 anni fa che sicuramente non sarebbe competitiva e vincente”.
Tra le tecniche ed operazioni più interessanti per poter ottenere una valida ed interessante resa, qualità e qualità ricordiamo l’analisi del terreno completa, il livellamento del terreno, la concimazione organica, la concimazione minerale, la fertirrigazione, la preparazione del terreno, la scelta varietale, l’irrigazione, la potatura d’allevamento, la potatura di produzione ed il diradamento.
L’autoradicato da micropropagazione
La micropropagazione rappresenta una tecnica di propagazione agamica ormai diventata per molte specie un sistema di moltiplicazione alternativo alle tecniche tradizionali di propagazione. L'obiettivo di tale metodologia è quello di ottenere in tempi brevi ed a costi contenuti, un grande numero di piantine, identiche sia genotipicamente che fenotipicamente alla pianta di partenza precedentemente selezionata per caratteristiche fisiologiche e produttive di pregio.
Essa consiste nell'allevare le gemme o le microtalee su idonei mezzi di coltura addizionati di ormoni vegetali in maniera tale da esaltare al massimo la produzione di nuovi germogli.
Le piante ottenute con questa tecnica sono uguali alla "mamma" e per questo cloni della pianta che ha donato il tessuto. Nel processo di micropopagazione distinguiamo le seguenti fasi:
1. Induzione e stabilizzazione delle colture in ambiente asettico.
2. Promozione dell'attività rigenerativa e moltiplicazione dei nuovi germogli.
3. Induzione e sviluppo di nuove radici alla base dei germogli.
4. Trapianto ed acclimatazione.
La pianta autoradicata è invece una pianta di una certa varietà, che ha seguito di micropropagazione attualmente, può radicare ed essere piantata tale quale nel terreno per dare origine ad un impianto. In questo modo non c’è la necessità come oggi avviene di dover innestare un nesto della varietà che noi vogliamo su di un portinnesto specifico dando origine alla pianta innestata che rappresenta quella che verrà impiantata e coltivata.
Da diversi anni si parla di autoradicato e da studi e valutazioni eseguite su diverse specie e varietà di pesco e di nettarine autoradicate con materiale proveniente da micropropagazione in vitro sono emerse interessanti considerazioni sul comportamento vegeto-produttivo di queste piante che possono in qualche modo influire sulle scelte tecniche da applicare in peschicoltura. In particolare si è notata la possibilità di modificare o migliorare il comportamento delole piante rispetto all’uso del portinnesto. E’ noto che tutte le cultivar (con la sola eccezione delle mutazioni gemmarie) sono state originariamente selezionate eseguendo le prime osservazioni sui semenzali cioè su piante allevate senza portinnesti. Grazie alla ricerca scientifica oggi la micropropagazione consente all’impianto di frutteti a partire da materiale sicuro dal punto di vista sanitario e certificato geneticamente, ma soprattutto consente di poter svincolarsi dall’utilizzo del portinnesto pur mantenevo inalterate le caratteristiche originarie della varietà. (in alto a destra: Pianta autoradicata di Caldesi 2020)
Dalle attività di ricerca condotte da esperti del settore si è potuto notare che:
1. Comportamento uniforme delle piante della stessa cultivar ma con carattere proprio per ciascuna varietà
2. Vigoria inferiore rispetto a piante innestate principalmente su franco e su GF 677 tranne nei casi dove esiste una disaffinità d’innesto
3. Precocità di messa a frutto
4. Presenza e sicurezza di utilizzare materiale sano e controllato
5. Si evita il selvatico (soggetto) e l’innesto che rappresentano operazioni veicolanti per il contagio di virosi e fitoplasmi
6. Si evita un’alta percentuale di invecchiamento della pianta dovuta alla presenza di secco nel taglio selvatico sopra l’innesto
7. Si migiora la qualità gustativa del frutto
8. Minore durata di raccolta con conseguente riduzione del periodo di “coda” dove da sempre si hanno frutti non di prima e seconda qualità (o addirittura immangiabili) che non danno un’adeguato ritorno economico
9. Apparato radicale più profondo e quindi anche più pungente e penetrante nel terreno (maggiore capacità di sondare)
10. Maggiore vita produttiva della pianta
11. Minore sensibilità al trapianto in terreno dove erano appena state estirpate piante di pesco riducendo così il problema del “ristoppio”
Una valutazione ulteriore vuole essere fatta sulla micropropagazione e sui portinnesti. Da impianti di pesco valutati negli ultimi 30 anni si è visto come le piante riprodotte per micropropagazione presentano un forte miglioramento qualitativo ed una maggiore resistenza alla siccità.
Inoltre, a seguito di studi eseguiti dalla stesso Vincenzo Ossani, si è visto come l’utilizzo dei portinnesti ostacoli alcune funzioni della pianta. Basti pensare che nel bosco e nella foresta le piante sono senza soggetto e che attualmente le piante di actinidia vengono messe a dimora autoradicate.
La sperimentazione e la ricerca
Proprio per dare valore a queste considerazioni, Vincenzo Ossani svolge attività di ricerca e sperimentazione in merito all’autoradicazione e ai suoi vantaggi, come confermano i dati della sperimentazione avviata all’inizio degli anni ’70 in alcuni poderi della provincia di Ravenna e tuttora in fase di svolgimento. L’entrata in produzione si è verificata per tutte le cultivar nel corso del 1989 con rese medie di 4-5 Kg/pianta per le precoci e di 10-15 Kg/pianta per le tardive. Nel 1990 la produzione si è assestata intorno ai 10-12 Kg/pianta per le precoci e 25-30 Kg/pianta per le tardive. In questo modo si può confermare che le piante presentano buona e precoce produzione (circa 250 ql/ha). Anche da punto di vista qualitativo i frutti hanno risentito positivamente della mancanza del portinnesto riuscendo a manifestare al meglio i caratteri tipici della varietà. Inoltre si è avuto la possibilità di poter mettere a dimora le piante autoradicate anche alla fine dell’estate riducendo ad un solo anno il periodo improduttivo (si potrebbe così raccogliere, espiantare la vecchia cultivar e mettere a dimora la nuova nello stesso anno). Da quanto rilevato si evidenzia anche la possibilità che varietà vigorose trovino buone condizioni di sviluppo una volte messe a dimora in terreni ristoppiati con elevate densità nonostante le ridotte potenzialità vegetative che si riscontrano nei terreni “stanchi”.
A cura di Lorenzo Cricca
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Fonte: Agronotizie