L’agricoltura guarda sempre più al cielo. I droni sono protagonisti di un numero crescente di applicazioni in campo in un'ottica di precisione e sostenibilità.
Tra le ampie possibilità di applicazione dei droni troviamo il monitoraggio, la raccolta, la semina e l'irrorazione. Ed è quest'ultima su cui l'attenzione dei protagonisti della filiera si sta focalizzando per gli evidenti vantaggi che presenta soprattutto in quelle condizioni dove operare con i tradizionali mezzi meccanici è difficile o impossibile.
Tuttavia, tra vantaggi agronomici, ostacoli tecnici e un impianto normativo non aggiornato, il quadro resta complesso. In questo articolo facciamo il punto sullo stato della normativa italiana ed europea, sui limiti tecnici ancora da superare e sulle sperimentazioni in corso per l’impiego dei droni nei trattamenti aerei.
Droni e irrorazione: la Direttiva europea
L’uso dei droni per l’irrorazione fitosanitaria è regolamentato a livello europeo dalla Direttiva 2009/128/CE che vieta in linea generale l’irrorazione aerea, pur ammettendo deroghe in situazioni particolari, lasciate alla discrezionalità degli Stati membri.
Dimostrazione di trattamenti aerei (con acqua) mediante drone ad Enovitis in campo 2024
(Fonte foto: AgroNotizie)
Le deroghe devono essere richieste dagli operatori secondo modalità e tempi definiti a livello nazionale, come in caso di emergenze fitosanitarie, casistica per cui la Direttiva consente procedure semplificate, che però in Italia non sono attualmente previste.
La normativa, redatta quando i droni agricoli erano ancora poco diffusi, non li cita espressamente. Solo nel 2017 l’UE chiarisce che anche questi rientrano nel divieto, mentre nel 2019 apre la possibilità di attuare sperimentazioni, senza tuttavia apportare modifiche sostanziali della norma.
Droni e irrorazione: la Normativa italiana
In Italia, la Direttiva europea viene recepita con il Dlgs 150/2012, che ribadisce il divieto e istituisce il Piano d’Azione Nazionale (Pan) operativo dal 2014. Il Pan consente alcune deroghe assoggettate però ad una procedura farraginosa che prevede tempistiche lunghe che risultano inapplicabili in caso di reale emergenza.
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L'agricoltore che intende effettuare trattamenti aerei con droni, deve presentare richiesta alla propria Regione almeno tre mesi prima dell’intervento. La Regione è poi tenuta a comunicare la domanda al Ministero della Salute con un preavviso minimo di 30 giorni, dopodiché il Ministero ha fino a 90 giorni per concedere o meno la deroga.
Da sinistra AerMatica3D e Scaligera Drone Solution con modelli dimostrativi ad Enovitis in campo 2024
(Fonte foto: AgroNotizie)
A complicare ulteriormente l’iter vi è il coinvolgimento obbligatorio dei comuni interessati che possono esprimere osservazioni o opposizioni entro 30 giorni. Una volta ottenuta la deroga, il richiedente è tenuto a informare con almeno 48 ore di anticipo le autorità sanitarie locali e i cittadini mediante affissione pubblica.
Ad oggi, il Pan del 2014, pur essendo scaduto nel 2019, resta l’unico riferimento normativo in vigore, poiché la nuova versione risalente al triennio 2019-2022 non è mai stata approvata. Allo stesso modo, una proposta di legge del 2021 che prevede l’impiego sperimentale dei droni agricoli, è ancora ferma in Parlamento. In assenza di aggiornamenti normativi specifici, le sperimentazioni restano possibili solo a livello regionale e previa approvazione ministeriale.
Il successo delle sperimentazioni regionali
Le prime sperimentazioni sono partite nel 2022 da regione Lombardia che ha ottenuto le deroghe per condurre test in vigneto, oliveto e risaia. In seguito anche altre regioni tra cui Emilia Romagna, Toscana e Liguria, sono riuscite ad ottenere i permessi.
Particolare impatto l'ha avuto l’autorizzazione all'uso ottenuta dall'Emilia Romagna come soluzione di emergenza in seguito agli eventi alluvionali del 2023, diventata una sperimentazione pilota nazionale per l’esecuzione di trattamenti quando non è possibile accedere ai campi con i mezzi tradizionali.
I risultati di tale sperimentazione, ottenuti principalmente su vigneti nella zona collinare di Predappio, hanno mostrato benefici significativi: riduzione della deriva, maggiore sicurezza per gli operatori e ottimizzazione dei tempi di intervento. Sulla base di questi esiti, il Ministero ha rinnovato l’autorizzazione per il 2025, estendendo le prove ad altre colture quali la cipolla nella provincia di Ravenna, il pomodoro nel piacentino e la vite nel territorio di Forlì-Cesena.
Anche la Lombardia ha ottenuto il rinnovo delle deroghe in seguito al successo delle sperimentazioni precedenti, estendendo le attività ad un’azienda vitivinicola in Valtellina per contrastare peronospora e oidio su un vigneto terrazzato, un'area difficile da raggiungere con mezzi tradizionali, e ad un’azienda risicola in Lomellina con l'obiettivo di testare l’efficacia dei trattamenti contro le infestanti.
Oltre gli ostacoli normativi
L’irrorazione con droni offre benefici in termini di accessibilità, rapidità e sicurezza ma, nonostante il grande sviluppo tecnologico degli ultimi anni, presenta alcune sfide tecniche legate a parametri come il peso trasportabile, la scarsa autonomia, l'altezza di volo, la velocità e i volumi.
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I droni agricoli in commercio sono in grado di trasportare serbatoi dalla capacità contenuta rispetto alle alternative della meccanizzazione tradizionale. Più aumenta la grandezza più aumentano peso e dimensioni, raggiungendo una soglia limite anche in termini di potenza e autonomia.
Un esempio è il drone Agras T50 del colosso cinese Dji, uno dei più grandi e capaci nel mercato, equipaggiato di un serbatoio da 40 litri con una larghezza ad ali aperte di oltre 3 metri, un peso a serbatoio pieno di quasi 100 chilogrammi ed un'autonomia tra i 7 e 10 minuti di volo per batteria.
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Altro parametro critico da tenere in considerazione è l'altezza di volo. Più il drone vola alto maggiore è la copertura, ma anche la deriva. Inoltre, nel caso di colture a sviluppo verticale in territori con pendenza elevata - come i vigneti eroici dove i benefici dell'utilizzo dei droni per l'irrorazione sarebbero maggiori - le sperimentazioni hanno rilevato che il radar del drone fatica a mantenere l'altezza di volo configurata.
Cosa serve per volare con il drone
Andando oltre gli aspetti tecnici e normativi legati all'irrorazione aerea, per volare in sicurezza ed utilizzare legalmente i droni in agricoltura occorre effettuare alcune procedure, in riferimento all'ente preposto alla regolazione dei veicoli aerei che per l'Italia è l'Ente Nazionale per l'Aviazione Civile (Enac).
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Tra gli obblighi di legge vi è il conseguimento di un apposito patentino, la registrazione sul portale d-flight per l'abilitazione al volo, la stipula di un’assicurazione e il rispetto delle regole di volo previste dal Regolamento europeo ed italiano.
Oltre al rilascio di specifici attestati di competenza, secondo la normativa di rifermento Easa/Enac per decollare con droni dalla massa complessiva maggiore di 25 chilogrammi, è necessario procedere con una richiesta di autorizzazione specifica una tantum all'ente preposto.
Un cane che si morde la coda
Nonostante il successo delle sperimentazioni che in generale hanno dimostrato l'efficacia dell'uso dei droni per la distribuzione di prodotti fitosanitari, mostrando una riduzione della deriva e una maggiore sicurezza degli operatori, l'ostacolo principale alla diffusione di tale tecnologia è legato ad una normativa conservatrice ed ancora piuttosto statica.
Un'ulteriore considerazione è quella per cui le direttive europee e italiane impongono che l’irrorazione aerea sia effettuata solo con prodotti fitosanitari specificamente autorizzati per questo uso. Attualmente però non esistono prodotti etichettati per la distribuzione tramite droni, poiché nessun produttore ha richiesto l’autorizzazione per l’uso aereo dei propri formulati, trattandosi di tecnica teoricamente vietata. L’unica categoria di sostanze attualmente distribuibili tramite droni è quella dei biostimolanti.
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Chiunque intenda quindi impiegare un prodotto per via aerea, anche se già autorizzato per trattamenti convenzionali, deve richiedere una deroga al Ministero della Salute, secondo quanto stabilito dall’articolo 53 del Regolamento UE 1107/2009.
Come è evidente, la complessità burocratica è elevata e non c'è un posizionamento chiaro nè a supporto dello sviluppo tecnologico nè a garanzia di una reale tutela. L'immagine che ritorna è quella di un cane che si morde la coda, girando intorno e rincorrendo la deroga della deroga.