Il dilemma del secolo è agricolo. E riguarda la disponibilità di cibo e le tecniche che devono venire usate per produrlo. Lo abbiamo visto negli ultimi giorni al Parlamento Europeo - che ha avuto qualche tentennamento riguardo la Nature Restoration Law (che poi è passata) e ha deciso (con un no) riguardo l'inserimento dei bovini nella revisione della direttiva sulle emissioni industriali. In pratica le stalle bovine non saranno considerate alla pari delle industrie più inquinanti.
Due decisioni di buon senso ma sofferte e che hanno delineato opinioni diametralmente opposte. Mentre appare sempre più evidente che l'uomo sta letteralmente sgretolando il Pianeta cresce vertiginosamente il valore del cibo quale elemento strategico nella geopolitica mondiale.
Lo abbiamo visto con la crisi dei cereali (e quella dei fertilizzanti) causata dalla guerra in Ucraina. Lo vediamo sempre più spesso nei paesi in via di sviluppo. Le Nazioni Unite segnalano che in 22 paesi (soprattutto in Africa e nel Medio Oriente) vi sono forti situazioni di insicurezza alimentare dovute ai conflitti e al cambiamento climatico.
Qualche giorno fa la Nigeria (che è già e sarà sempre più un colosso demografico) ha dichiarato lo stato di emergenza alimentare - e metterà di conseguenza qualche milione di ettari di foreste in nuova coltura.
Lo scorso anno l'India ha proibito l'esportazione di riso per abbassare i prezzi sul mercato interno - una tecnica sempre più usata da molti paesi, soprattutto poveri. Paesi che temono quello che è successo durante le primavere arabe (quando l'aumento del prezzo del grano causato dal blocco russo delle esportazioni provocò rivolte in vari paesi) o la "crisi della tortilla" - quando la speculazione finanziaria e gli elevati prezzi dei biocarburanti portò a una situazione molto tesa in Messico.
L'antropocene può finire male: soprattutto per la stupidità umana.