Il paesaggio agrario italiano è uno dei più bistrattati del Mondo - fatto, ahinoi, poco noto ai più.

A chi avesse la mia stessa sensibilità a riguardo sconsiglio vivamente di far quello che ho fatto la scorsa estate: prendere un treno a Lecce per arrivare fino ad Otranto. Uno dei paesaggi agricoli più incantevoli del Mediterraneo è oggi ridotto a una selva spettrale. Chilometri di percorso sono segnati da migliaia e migliaia di piante di olivi (anche secolari) totalmente disseccati dalla Xylella.

 

Una tragedia immane, una specie di Chernobyl agricola, di cui, stranamente, nessuno parla.

Le tragedie agricole e paesaggistiche legate alle malattie delle piante si stanno replicando vertiginosamente da diversi anni sia su piante ornamentali e selvatiche sia su specie frutticole.

 

Se saliamo di un migliaio di chilometri a Nord, nella bassa Pianura Padana orientale, noteremo come quella che era una volta la più vasta area mondiale coltivata a pero sia drasticamente ridotta. In neanche quindici anni da 40mila si è passati a 8mila ettari. E la debacle pare non abbia fine.

La ragione è anche in questo caso principalmente fitopatologica: fin dagli anni '90 si è diffusa l'alternariosi e in anni più recenti è arrivata la cimice asiatica.

 

A prescindere dalle analisi specifiche, su questi e altri flagelli che stanno affliggendo la nostra agricoltura e il nostro paesaggio, verrebbero da fare un paio di considerazioni, dettate dal vecchio buon senso.

La prima è che la fitopatologia, che è - non dimentichiamolo - una scienza, deve tornare ad avere un ruolo in questo Paese. Decisioni scellerate e prive di ogni fondamento scientifico (e anche empirico) ma dettate da visioni distorte, spesso ideologiche, hanno portato alle tragedie che oggi sono sotto gli occhi di tutti.

La seconda considerazione, ancor più dolorosa ma necessaria, è che bisognerà iniziare a pensare con che cosa sostituire quelle colture che per varie ragioni (fitopatologiche, di cambiamento climatico) non è più possibile operare come in passato. Qui bisogna mettere al lavoro (urgentemente) le migliori menti, che nel nostro Paese non mancano, ma raramente vengono ascoltate (e remunerate).