Globalizzazione, tradizione, sostenibilità. Questi i tre capisaldi di quelli che comunemente vengono chiamati pseudocereali, ovvero grano saraceno, quinoa, amaranto, chia. Ma - al convegno "Gli pseudocereali: aspetti socioculturali, produzione, consumo e nutrizione umana" nell'ambito del Festival Cerealia, ospitato nella sede della Confederazione Italiana Agricoltori (Cia) a Roma - viene spiegato come abbiano anche un altro elemento chiave: il "senza", e in particolare il senza glutine.

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Dalla loro coltivazione ne emerge l'importanza per le aree periferiche, rurali, lontane dai grandi centri; specialmente nelle zone montane alpine e prealpine. Gli psuedocereali che sono meno conosciuti se non da settori di nicchia, e di conseguenza da cittadini informati, hanno però un raggio d'azione economico importante se si guarda al mercato del "senza" (glutine); e per esempio ci si accorge - come racconta il Crea - che il mercato aumenta a cifre sempre più alte, e vale 17 miliardi di dollari con una crescita del 10% all'anno.

 

Per quanto riguarda la quinoa per esempio le previsioni di raccolta in Italia nel 2022 offrono come indicazione circa 3mila quintali con 200 ettari di coltivazione, in grande crescita se si pensa che nel 2021 erano 60 ettari. In base ai dati della Fao nel 2020 la produzione mondiale è stata di 175mila tonnellate, in aumento del 120% rispetto ai dieci anni prima.

 

Il presidente del Federazione Italiana Dottori in Scienze Agrarie e Forestali (Fidaf) Andrea Sonnino mette in evidenza "il valore economico, sociale, ambientale" di questa dimensione degli pseudocereali. Per Sonnino è un sistema che rappresenta "uno dei fondamenti principali dell'agricoltura: la biodiversità. Se c'è richiesta di mercato, poi, gli agricoltori sono naturalmente pronti a raccogliere le sfide e a soddisfare la domanda che continua a crescere". Inoltre crea un'interazione "necessaria tra la ricerca e l'innovazione; l'Italia investe poco ma poi riesce a competere in Europa grazie alla sua dinamicità".

 

Sembrano cereali, ma non lo sono; oltre a non avere il glutine, sono apprezzati perché più ricchi di proteine e perché sono spesso integrali. Quelli più diffusi in Italia sono quattro; come detto quinoa, amaranto, grano saraceno, chia. Gli pseudocereali sono quindi ricchi di proteine. Ma non è il solo motivo per cui quinoa, grano saraceno, amaranto e chia sono sempre più presenti nella nostra dieta. Tra l'altro la questione ambientale sembra abbia un ruolo essenziale, nella sostituzione per assumere proteine: una delle motivazioni che spinge a non mangiare carne è l'inquinamento che deriva dagli allevamenti.

 

La quinoa ha un buon quantitativo di fibre; l'apporto proteico è del 16% (quello del grano del 10-11%): non è sbagliato considerarla una fonte proteica, anche se ha un profilo amminoacidico migliore del grano. L'amaranto ha un valore biologico simile a quello della quinoa. Rispetto al grano, ha molta più lisina; è una fonte benefica di nitrati vegetali e ne vengono consumate anche le foglie, chiamate spinaci rossi. È privo di glutine e con un buon quantitativo di minerali (ferro e magnesio) e vitamine del gruppo B.

 

Il grano saraceno è quello con il valore proteico più elevato, pari a circa il 18%. Privo di glutine, come gli altri, ha anche un quantitativo di amminoacidi essenziali più alto del grano (specialmente la lisina); ricco di ferro, zinco e selenio. Il grano saraceno non è originario dell'Europa; è arrivato nel Medioevo. La chia è leggermente diversa dalla maggior parte degli altri tipi di pseudocereali. Buona fonte di fibre, proteine e antiossidanti, contiene anche una certa quantità di acidi grassi Omega 3 di origine vegetale.

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