La guerra tra Russia e Ucraina non si trasformi per favore in una guerra fra agricoltori e società e fra diritto a produrre e attenzione all'ambiente. I cittadini devono avere fiducia negli agricoltori e una Politica agricola globale dovrà essere presa in considerazione, partendo magari dal rivedere alcuni aspetti della Pac in Europa.
Lo scenario attuale di conflitto ha esasperato tensioni in parte già in atto (dai rincari dell'energia a quelli delle materie prime ai fertilizzanti azotati), in parte potrebbe influenzare i consumi alimentari, almeno temporaneamente, ma dovremmo evitare di decidere quali delle due opzioni fra agricoltura e ambiente dovrebbe avere la meglio e sacrificare una parte a vantaggio dell'altra. In entrambi i casi dovremmo fare i conti con ripercussioni negative.
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In questo frangente così drammatico e complesso, un aspetto ci sembra possa essere ascritto alla voce "costante". Ci dobbiamo confrontare con una Unione Europea sistematicamente in ritardo. La ritrovata unità dell'Ue, celebrata in questo frangente da molti, non può farci dimenticare una frammentazione di posizioni che negli anni scorsi ha di fatto portato all'inazione, impedendo di operare in maniera unitaria, così da individuare una politica condivisa e piani d'azione strategici per centrare alcuni obiettivi. Fra questi, ridurre la dipendenza energetica dalla Russia, trovare alternative ai fertilizzanti (acquisto o produzione di quelli chimici e individuazione di prodotti organici); orientare la ricerca verso una direzione che non si è palesata nelle ultime tre settimane di invasione sanguinosa della Russia nei confronti dell'Ucraina. Un esempio.
Il tema dell'aumento della popolazione (i famosi 9-10 miliardi di persone entro il 2050) e dell'insicurezza alimentare (gli oltre 800 milioni di persone senza accesso costante al cibo, denunciati dalla Fao) non rappresentano temi inediti. Eppure, solamente con la guerra in Ucraina (il "cestino del pane" dell'Europa, come viene chiamato il Paese che sta eroicamente resistendo all'invasione), sembrano essersi ridestate le attenzioni sui terreni incolti, da destinare ora precipitosamente alla coltivazione di mais e soia. Non si poteva prevedere prima che, con una zootecnia sempre più strutturata e orientata all'export, e con una popolazione mondiale in crescita, sarebbe stato necessario produrre di più? Ma in che modo, mantenendo il set aside?
È doveroso tenere ben distinti e ben presenti gli obiettivi agricoli da quelli ambientali, ma non per sacrificare gli uni o gli altri, ma per meglio farli convivere. Probabilmente è avventato gettare l'intera Strategia Farm to Fork, così come erano da prevedere correttivi già prima delle tensioni belliche, avendo alle spalle una valutazione di impatto che non è mai stata fatta, se non da soggetti estranei alla Commissione Ue, come il Dipartimento Agricoltura degli Stati Uniti, l'Università di Wageningen, l'Università Cattolica.
Quali dovrebbero essere i punti sui quali concentrare gli sforzi dell'Unione Europea, restando naturalmente in tema agricolo? Ne individuiamo qualcuno e siamo disponibili ad integrare l'elenco con i suggerimenti dei lettori.
L'indipendenza energetica
Non entriamo nel merito se sia una mossa lungimirante rivolgersi a Paesi altrettanto poco democratici come il Venezuela o l'Iran (e potremmo aggiungerne altri) per ridurre i prelievi di gas e petrolio dalla Russia.
Dai calcoli effettuati dal Gruppo Bruegel, l'Europa assorbe il 75% del gas naturale russo e il 60% delle sue esportazioni di petrolio greggio. Ridurre la dipendenza significherebbe assestare un colpo feroce all'economia russa, il cui bilancio è rappresentato per oltre un terzo dai proventi derivati dall'energia.
Quale dovrà essere la soluzione immediata per evitare blackout o singhiozzi alle forniture lo lasciamo decidere all'Unione Europea e agli Stati membri, magari in sintonia.
Di certo è necessario puntare a sostenere le energie rinnovabili. Durante Fieragricola il presidente del Consorzio Italiano Biogas (Cib), Piero Gattoni, ha sostenuto che solo con qualche piccolo sforzo di efficientamento potremmo in Italia produrre il 15% di energia pulita in più grazie agli impianti di biogas e biometano. Perché non darsi da fare per eliminare gli ostacoli, in primis quelli burocratici?
La Germania ha definito piani per accelerare la sua distribuzione di energia eolica e solare con l'obiettivo di raggiungere quasi il 100% di energia rinnovabile entro il 2035. In Italia la proposta avanzata dall'Accademia dei Georgofili e ripresa dal mondo agricolo di utilizzare i tetti delle cascine per produrre energia pulita è in buona parte ancora sulla carta. Come mai non si agisce? Per cercare di arrivare all'indipendenza energetica, però, è bene tenere presente che l'energia pulita immessa in rete e non utilizzata sul posto (pensiamo ad esempio alle corti agricole abbandonate, che non hanno un utilizzo diretto dell'energia che potrebbe essere prodotta coprendo i tenni con pannelli fotovoltaici) deve essere adeguatamente pagata, altrimenti ci ritroveremmo degli investimenti che non si ammortizzano mai.
Sovranità alimentare europea
Dal Salone dell'Agricoltura di Parigi al Consiglio dei Ministri Agricoli dell'Ue, la Francia (che ha la presidenza di turno) è tornata a rilanciare un tema prioritario, che è quello della sovranità alimentare. Può l'Europa aver raggiunto il primato di primo esportatore di beni agroalimentari ad alto valore aggiunto (carne, vino, olio d'oliva, prodotti lattiero caseari) e poi essere carente in tema di commodity agricole? E come produrre di più? Lasciamo sospesa la risposta. Potrebbe essere opportuno rimettere in produzione quegli oltre 9 milioni di ettari in Europa (circa 200mila in Italia) destinati alle Efa, le Ecological Focus Area, per incrementare commodity quali mais, cereali, semi oleosi.
Ma come faremmo con l'olio di girasole, l'80% del quale arriva dall'Ucraina? Tornare all'olio di palma certificato? Potrebbe essere una soluzione provvisoria, sì.
Le parole del premier Mario Draghi sull'importanza strategica dell'agroalimentare e sulla necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento, così come quella di rivedere i regolamenti che rallentano la possibilità di prendere decisioni emergenziali sono illuminanti.
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Gli stock cinesi. Riequilibrare i commerci mondiali?
A questa valutazione si connette anche un altro tema di carattere geopolitico, sul quale si è soffermato da Fieragricola di Verona anche il sottosegretario alle Politiche Agricole, Gian Marco Centinaio. Può la Cina detenere il 71% degli stock mondiali di mais, il 34% di soia e il 50% delle scorte planetarie di frumento? Non sarebbe opportuno riorientare i flussi così da evitare situazioni così sbilanciate?
Non dimentichiamo che Ucraina e Russia detengono una quota rilevante di grano a livello mondiale, 102 milioni di tonnellate su un totale mondiale di 424 milioni. Senza l'export da Russia e Ucraina (in un nuovo equilibrio internazionale la Russia potrebbe avere come acquirente unico o quasi esclusivo la Cina, mentre Stati Uniti e Sud America ricalibrare le rotte delle commodity verso l'Europa), cosa accadrà nei Paesi fortemente dipendenti? L'Egitto è il primo importatore mondiale di grano, con acquisti onerosi dalla Russia (il 50% del proprio fabbisogno) e dall'Ucraina (il 30%), ma anche Algeria, Libia e Marocco, per non dire dello Yemen, si trovano in situazioni di dipendenza dall'area russo-ucraina e, comunque, la popolazione locale non ha l'opportunità di reggere situazioni di salita libera dei prezzi del grano all'infinito. Ci troveremmo di fronte a nuove rivolte per il pane?
Ricerca genetica
Accanto all'esigenza di produrre di più per ridurre la dipendenza europea dall'import - difficile raggiungere, almeno in tempi brevi, la sovranità alimentare ribadita a più riprese dal presidente francese Emmanuel Macron e dal ministro dell'Agricoltura Julien Denormandie - e allo stesso tempo per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, la ricerca genetica, la genomica e nuovi modelli di agricoltura, calibrati sulla base di come si prevede che la situazione meteo e ambientale sarà fra dieci, venti, trenta anni, sono ineluttabili.
È ora non solo di mandare al macero posizioni obsolete contro la ricerca, ma anche eliminare gli ostacoli normativi e burocratici che frenano le sperimentazioni in campo.
Agricoltura di precisione
I sistemi di precision farming potrebbero assolvere a una duplice funzione: incrementare le produzioni agricole, ridurre l'impatto ambientale riducendo gli input chimici, i passaggi in campo, i maggiori utilizzi di gasolio o manodopera e tagliando gli sprechi. Sono strumenti sempre più diffusi (i dati dell'Osservatorio Smart AgriFood segnano per il 2021 una crescita del 23% rispetto all'anno precedente di strumenti di Agricoltura 4.0, per un valore complessivo degli investimenti di 1,6 miliardi di euro) e molti sono sostenibili anche economicamente, visto che centraline meteo o stazioni di rilevamento di insetti potenzialmente dannosi per le colture in campo costano da qualche centinaio di euro a qualche migliaio, in base alla complessità. Quindi si tratta di dotazioni delle quali ogni azienda dovrebbe dotarsi.
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Le immagini di scaffali presi d'assalto più per prevenire sostanzialmente i rialzi di prezzo ipotizzabili nei prossimi giorni che per la paura dell'indisponibilità all'acquisto fanno pensare che qualche influenza sui consumi degli italiani potrebbe esserci. Se la guerra fra Russia e Ucraina dovesse durare a lungo potrebbero forse palesarsi difficoltà di reperimento di alcuni prodotti (già oggi l'industria delle patatine confezionate è in crisi per la carenza di olio di girasole). Un incremento dei prezzi taglierà alcuni acquisti? Sarà la Dop Economy a farne le spese? Si ridurranno i consumi pro capite?
Nella speranza che si metta al più presto fine alla barbarie di una guerra insensata, prendiamo a prestito le parole di Carlo Petrini apparse su La Stampa qualche giorno fa: "Il cibo in nessun momento deve diventare un'arma che amplifica i danni di un conflitto. Il cibo può e deve, solo e sempre, essere uno strumento per diffondere la pace".