Le prime ad avere avuto problemi sono state le aziende agricole che coltivano asparagi nel veronese e fragole nel Metaponto. Ma presto si troveranno a corto di manodopera anche i produttori di ciliegie emiliani e poi via via di tutto il comparto frutticolo. Così come l'orticoltura, che nelle serre in cui si coltivano pomodori, peperoni e melanzane assorbe migliaia di lavoratori.

Secondo la Coldiretti mancano all'appello circa 370mila braccianti che negli anni passati arrivavano in Italia da altri paesi Ue, come Polonia, Romania e Bulgaria. Lavoratori che oggi, causa restrizioni dovute all'emergenza coronavirus, non possono più arrivare nel Belpaese. E così il rischio concreto, paventato da tutte le associazioni di categoria, è di veder marcire i prodotti nei campi.
 

Arruolare i percettori di reddito di cittadinanza

La proposta più frequente che si rincorre tra programmi tv e social è quella di obbligare i percettori di reddito di cittadinanza ad andare a lavorare nei campi. Ovviamente i destinatari di questa misura non possono essere obbligati ad andare a raccogliere frutta e verdura e il reddito di cittadinanza non può essere considerato un sostituto del reddito da lavoro. Tuttavia per le aziende agricole in cerca di lavoratori già oggi sarebbe possibile assumere questi disoccupati con regolare contratto.

Gli ostacoli sono di altro tipo. Da un lato le tempistiche, con il sistema di ricollocamento e di navigator che non è mai davvero partito e che dunque difficilmente riuscirebbe a gestire centinaia di migliaia di lavoratori. Dall'altro c'è il timore, da parte di chi riceve il reddito di cittadinanza, di perdere il diritto al sussidio (anche se lavorare, entro certi limiti, è concesso). Per i più maliziosi che si sfogano su Facebook invece, nessuno sarebbe disposto a faticare in campagna per ricevere un compenso simile a quello percepito non facendo nulla.
 

Studenti, disoccupati e cassintegrati

L'altra opzione ventilata è quella di assumere tutte quelle figure che oggi si trovano senza lavoro, come ad esempio i lavoratori dello spettacolo o del turismo. Ma anche gli studenti oppure i cassintegrati delle aziende costrette a chiudere i battenti. Per questi soggetti Coldiretti, Confagricoltura e Cia - agricoltori italiani hanno lanciato l'ipotesi di reintrodurre i voucher. Ipotesi bocciata invece da Cigl, Cisl e Uil.

Non si capisce perché, ricordano le sigle sindacali, se mancano lavoratori bisognerebbe introdurre uno strumento che non garantisce un giusto salario e adeguate tutele (nessuna copertura per malattie ed infortuni, ad esempio). La paura è che si utilizzi il momento di emergenza per derogare alle leggi sul lavoro e creare un far west, in cui persone disperate vengono sfruttate.

I primi a toccare con mano il nodo-voucher sono stati gli agricoltori aderenti a Confagricoltura Veneto, alle prese con la campagna di raccolta delle fragole. Piergiovanni Ferrarese, presidente regionale, aveva lanciato un appello per reclutare studenti e disoccupati. Un appello che, a suo dire, ha avuto un riscontro enorme. "Non ci sorprendono le molte richieste arrivate in questi giorni da parte di studenti universitari, dipendenti della ristorazione e di fabbriche chiuse; non ci sorprende perché era facilmente prevedibile", ha sottolineato Ferrarese in una nota.

"Il problema rimane quello denunciato pochi giorni fa, ossia la mancanza di uno strumento flessibile per poter integrare nelle nostre aziende queste persone. Lo strumento esiste, c'è ed è il voucher. Lo abbiamo usato, lo conosciamo, è la risposta giusta. Strumento flessibile e dalla facile attivazione, capace di dare le corrette tutele ai lavoratori temporanei".

C'è poi un altro punto, quello della produttività. In Francia infatti è stato lanciato un progetto, denominato 'Braccia per il tuo piatto' per reclutare lavoratori nelle campagne. L'iniziativa è stata un successo, con migliaia di adesioni (quasi 300mila), ma per gli agricoltori è stato un mezzo flop. Chi non è abituato a lavorare nei campi ha una produttività bassissima, si stanca facilmente e dopo qualche giorno con la schiena piegata getta la spugna.
 

Il nodo dei migranti

C'è infine la questione migranti. Oggi in Italia risiede un numero imprecisato di immigrati irregolari, oltre a quelli in attesa dell'esito della domanda di asilo. Persone che vivono ai margini della società e che spesso lavorano in nero come braccianti nei campi. In una lettera-appello scritta da Terra! e Flai-Cigl, si propone di approvare una sanatoria regolarizzando il lavoro di tanti braccianti in nero nella filiera, applicando i contratti collettivi agricoli.

"Questo però non dev'essere uno strumento per rifornire il settore primario di lavoro a buon mercato in un momento di shock economico" si sottolinea nella lettera. "È necessario, pertanto, rafforzare le misure di contrasto al lavoro nero e favorire l'assunzione di chi sta lavorando in maniera irregolare".

Molti sono stati i no arrivati però dai partiti che temono di affrontare un nodo come questo in un momento di incertezza politica. Anche perché regolarizzare il lavoro di migliaia di persone, al di là dei giudizi politici, non risolverebbe la questione della scarsità di manodopera.
 

Il rischio di non agire

La soluzione? Nessuno sa come gli agricoltori usciranno da questo vicolo cieco. Probabilmente con un mix di soluzioni. Da un lato oggi è possibile far lavorare in azienda partenti fino al sesto grado. Alcuni lavoratori stranieri riusciranno comunque ad arrivare e molte persone che normalmente fanno altro nella vita si ricicleranno in agricoltura.

Non si escludono poi accordi tra l'Italia e altri paesi Ue, a cui il Governo sta lavorando. La consolazione, per chi riuscirà a raccogliere i prodotti, saranno probabilmente prezzi di vendita più alti a causa della scarsità di merce sul mercato.