E' stato questo il tema principale della giornata di lavori nella sede del Crea, dove esperti internazionali hanno cercato di inquadrare i risultati italiani nel contesto mondiale per trovare delle metodologie e delle forme di armonizzazione anche in una chiave di impatto ambientale della dieta, e di sviluppo di adeguate politiche per l'agricoltura, la nutrizione, e la sicurezza.
E' possibile quantificare infatti l'impatto ambientale dei consumi alimentari, soprattutto in relazione all'emissione di gas serra. Si scopre così che seguendo le raccomandazioni nutrizionali è possibile ottenere una riduzione del 28% di gas serra. E in Italia si potrebbe arrivare anche a un taglio del 50% delle emissioni, seguendo un modello di dieta che preveda la riduzione del consumo di carne (meno 70%) e l'incremento di verdura (più 30%) e legumi.
In generale, spiega Marika Ferrari del Crea, l'agricoltura può contribuire a ridurre le emissioni fino all'8% all'anno, mantenendosi in linea con l'obiettivo target del 2030. Mettendo a punto dei "regimi alimentari adeguati dal punto di vista nutrizionale e a basso impatto ambientale si possono identificare quali cambiamenti sono necessari sulle nostre abitudini alimentari per ridurre le emissioni dei gas serra e raggiungere gli obiettivi strategici dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite". Guardando alla costruzione di diete virtuose "l'Italia ha la più elevata rappresentatività nel modello sostenibile", e cioè in un modello in cui è presente un'alta qualità nutrizionale e un basso impatto ambientale.
"Un'alimentazione sostenibile - spiega Aida Turrini sempre del Crea - prevede il consumo di cibo nutrizionalmente sano, con una bassa impronta in termini di uso di suolo e di risorse idriche impiegate, con basse emissioni di carbonio e azoto, attento alla conservazione della biodiversità e degli ecosistemi, ricco di cibi locali e tradizionali, equo e accessibile per tutti".
Sulla piattaforma Gift - al momento sono presenti i dati di Italia, Burkina Faso, Zambia, Bangladesh, Uganda, Bolivia, Lao Pdr, Filippine - le differenze si concentrano tra paesi ad elevato e medio reddito e paesi a medio e basso reddito.
Dal confronto delle diverse abitudini alimentari emerge per esempio che l'Italia, seppur legata al modello della dieta mediterranea (con i cereali come alimenti base, l'olio di oliva come condimento e il vino come bevanda alcolica) - anche se servirebbe migliorare la parte dei vegetali - consuma più frutta, verdura e ortaggi, e meno cereali rispetto agli altri paesi; si tratta però di un dato che deve essere migliorato esprimendo i valori al cotto, e cioè quando dopo aver assorbito acqua con la cottura i cibi pesano di più.
Quando i consumi sono espressi al crudo è più facile confrontarli con le raccomandazioni dell'Oms, e per esempio con i 400 grammi di frutta, ortaggi, verdure che andrebbero assunti al giorno. Ma per una valutazione più precisa dei nutrienti, e specialmente delle vitamine, è necessario calcolare il contenuto al cotto, tenendo presenti i fattori di conversione crudo-cotto per capire dopo la cottura quanto pesa un determinato alimento e quanto rimane dei micro e macro nutrienti. Non soltanto questo però, perché per valutare un piatto composto è necessario conoscere la composizione di ogni ingrediente, il metodo di cottura, la riduzione dei nutrienti, delle vitamine e dei minerali. Questo tipo di piatti in Italia rappresentano più o meno la metà dell'assunzione giornaliera di energia. Il confronto poi dovrebbe esser parametrato per gruppi di età, sesso, area geografica e variabili socio-demografiche (dal titolo di studio alla professione, allo stile di vita).
Per lo sviluppo di un modello innovativo - conclude Turrini - "la formazione è cruciale per accuratezza e standardizzazione nell'applicazione dei metodi, la fiducia è fondamentale per aumentare il tasso di adesione", così come "la raccolta dei dati integrata nel percorso formativo". E questo per "creare quello che in Italia ancora manca", ovvero "un sistema di sorveglianza sui consumi alimentari".