Fino a qualche anno fa il termine 'big data' era relegato al mondo dei programmatori informatici e degli appassionati di tecnologia. Oggi invece è un tema di attualità, anche in agricoltura, un settore che apparentemente è distante anni luce dal mondo dei sensori e dei microprocessori. Sempre più spesso si parla di analisi dei big data in riferimento all'agricoltura e all'industria 4.0, come strumento per migliorare le performance delle aziende agricole e di quelle agroalimentari.

Di big data si parlerà anche durante il convegno "Dati & Agricoltura - più reddito, più efficienza, più tracciabilità" organizzato da Image Line nel corso di Eima International 2018, l'esposizione internazionale di macchine per l'agricoltura e il giardinaggio, che si svolgerà a BolognaFiere dal 7 all'11 novembre prossimi.

I big data sono, lo dice il nome, grandi dati. Ma al di là di questa definizione semplicistica capirne la natura e l'utilità della loro analisi è complicato, soprattutto visto che una definizione condivisa di che cosa siano ancora non esiste.

Per cercare di capire allora cosa sono questi big data procediamo per sottrazione, vedendo che cosa non sono.

I big data non sono necessariamente grandi, ma sono sicuramente tanti. Pensiamo alla temperatura rilevata da una centralina meteo, di per sé il dato è piccolo. Ma se sommiamo tutte le rilevazioni di una giornata di tutte le centraline di un'area il numero sale considerevolmente. E di tipologie di dati in agricoltura ce ne sono moltissime: umidità del suolo, fase fenologica della coltura, posizione di un trattore, quotazione di una derrata, forza del vento, produttività di una vacca, temperatura del mosto in fermentazione... per citarne solo alcuni.

I big data non sono i dati storici archiviati nei server delle aziende. La loro analisi è certamente utile, ma i dati più interessanti sono quelli real time (o quasi) provenienti da differenti fonti che possono essere analizzati per prendere decisioni tempestive.

I big data non sono numeri. Spesso pensiamo ai dati come tabelle contenenti cifre. Non è così. I big data possono essere immagini satellitari, fotografie scattate con uno smartphone, le coordinate Gps di un trattore, articoli di giornale, atti notarili o i post sui social network. La difficoltà di approcciarsi ai big data sta proprio nella difficoltà di analizzarli in maniera globale.

I big data non danno certezze granitiche. Per loro natura le informazioni che vengono ricavate dall'analisi dei big data sono mutevoli perché mutevoli sono i dati sottostanti. Banalmente un consiglio di irrigazione può cambiare se cambiano le previsioni meteorologiche.

I big data non sono prodotti (solo) in campo. Pensare ad una azienda agricola come ad una realtà isolata dal mondo è un errore di partenza da non commettere, perché moltissimi dati provengono ad esempio dai partner dell'azienda (con cui è bene avere accordi di interscambio). I dati del Gps della cisterna per la raccolta del latte crudo sono interessanti, soprattutto in caso di incidente. Ma dati utili per una azienda agricola possono essere anche quelli relativi ai mercati finanziari, alla Pubblica amministrazione o a discussioni su blog e social network.

I big data non hanno tutti lo stesso valore. Ogni dato, nella sua forma nativa, deve essere valutato per la sua affidabilità e avere un 'peso' differente. Il prezzo del gasolio agricolo è certo e affidabile così come la quantità di granella caricata dalla trebbia in una data area del campo. I dati rilevati da un drone che vola a cento metri di altezza sono più affidabili di quelli generati da un satellite. Così come le conversazioni su Twitter relative ad un agrofarmaco devono essere prese con le pinze.
 

Big data, il petrolio del futuro

Chi dice che i dati sono il petrolio dell'era moderna forse esagera, ma sicuramente la loro analisi può portare grande beneficio alle imprese agricole e agroalimentari. La digitalizzazione dei processi aziendali porta ad esempio ad un risparmio consistente.

L'Osservatorio Smart AgriFood (che parteciperà al convegno ad Eima) ha ad esempio analizzato il caso di Barry Callebaut, multinazionale del cacao, che grazie alla digitalizzazione e all'analisi dei big data ha migliorato i suoi prodotti e ridotto del 50% la documentazione generata da oltre 65mila agricoltori per la certificazione Utz. L'Osservatorio del Politecnico di Milano e dell'Università degli studi di Brescia ha anche analizzato l'introduzione della ricetta veterinaria elettronica che nella sola Lombardia può portare ad un risparmio di 18 milioni di euro per le stalle grazie allo snellimento dei processi di filiera.

L'analisi dei big data ha migliaia di applicazioni. Come il supporto alle decisioni agronomiche rivolto agli agricoltori, la manutenzione predittiva di trattori e attrezzatura, l'efficientamento della supply chain per le aziende di trasformazione o la creazione di una tracciabilità certa e completa per i prodotti agroalimentari.

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