La politica dei dazi può forse essere utile all'inizio, ma poi non paga. Anzi, deprime l'economia. Concetto chiaro, che Dario Casati, economista agrario già prorettore dell'Università di Milano, ha espresso in diverse occasioni. Parole sacrosante, alle quali potrebbero essere abbinati a corollario numerosi esempi, che evidentemente i falchi di America First non conoscono.

Fatto che sta che gli Stati Uniti hanno annunciato la volontà di applicare i dazi del 25% sulle importazioni di acciaio e del 10% sull'alluminio, che rischia però di ingenerare un effetto valanga di ritorsioni e di blocchi commerciali. E poco importa se il presidente americano Trump ha annunciato che esenterà i "paesi amici" dall'applicazione dei dazi, nel cui elenco, peraltro, figurano solamente Messico e Canada, già protagonisti di un turbolento negoziato con gli Usa nel Nafta (North American free trade agreement).

Dietro questa politica protezionistica degli Stati Uniti l'obiettivo sembrerebbe la Cina, nel mirino per politiche di dumping commerciale che, secondo gli analisti americani, peserebbero per una cifra compresa tra i 30 e i 60 miliardi di dollari. Il divieto di importazioni, per questioni di sicurezza nazionale, riguarderebbe un elenco - non ancora comunicato - che va dal tech all'abbigliamento.

I timori che le politiche protezionistiche di Trump sfocino nell'applicazione di dazi in materia agroalimentare sono elevati. A farne le spese, in caso di ritorsioni, sarebbero innanzitutto gli agricoltori del Midwest, che rappresenta circa la metà della produzione agricola Usa, come ha ricordato il New York Times.
"L'agricoltura è un settore in avanzo commerciale e una guerra commerciale non farebbe che alzare barriere intorno a mercati remunerativi. Per ogni cinque filari di soia piantati negli Stati Uniti, tre vengono esportati; la metà, del valore di 14 miliardi di dollari nel 2016, va in Cina".

E proprio Pechino, appena due settimane dopo l'imposizione di un dazio da parte dell'amministrazione Trump sui pannelli solari, ha aperto "un'investigazione anti-dumping sulle esportazioni statunitensi di sorgo, un cereale usato nell'alimentazione del bestiame. Lo scorso anno gli Stati Uniti sono stati praticamente l'unica fonte straniera di sorgo in Cina, con 1 miliardo di dollari di vendite. Circa la metà delle colture statunitensi sono in Kansas".

Un possibile blocco delle importazioni di soia americana in Cina, secondo il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, potrebbe avere un impatto sul mercato di proporzioni mondiali. "Il secondo importatore al mondo di soia, dopo la Cina - ha rilevato Giansanti - è l'Unione europea. Un aumento delle quotazioni inciderebbe sui costi e sulla competitività del settore zootecnico".

Anche l'Unione europea si è mossa per contrastare i dazi Usa, presentando una lista di prodotti che potrebbero essere oggetto di misure ritorsive, per un valore di 3,5 miliardi di dollari. La palla ora passa alla politica ma, raccomanda Joachim Rukwied, presidente della Dbv, il principale sindacato agricolo tedesco, "il conflitto non deve degenerare".

Gli Stati Uniti - sottolinea la Coldiretti - sono di gran lunga il principale mercato di riferimento per il made in Italy fuori dall'Unione europea, con un impatto rilevante anche per l'agroalimentare. Il rischio è di innescare una guerra commerciale che metterebbe a rischio i 40,5 miliardi di esportazioni dell'agroalimentare italiano, che per il 10% sono frutto delle vendite in Usa, di gran lunga il principale mercato di riferimento per il made in Italy fuori dall'Unione europea.

Per il presidente della Cia, Dino Scanavino, "è una disputa commerciale assolutamente da evitare, con sullo sfondo il concreto pericolo del proliferare dell'italian sounding, che già toglie alle nostre aziende 60 miliardi di euro l'anno, di cui 26 solo negli Usa. In una fase storica che vede il fallimento del Wto, è urgente favorire accordi commerciali multilaterali e bilaterali".

I risvolti negativi, secondo Gianni Dalla Bernardina, presidente della Confederazione agromeccanici e agricoltori italiani, avrebbero ripercussioni negative anche "per l'acquisto di trattori, macchine e mezzi agricoli, in quanto un innalzamento del costo dell'acciaio si riverserebbe sui costi sostenuti dalle imprese di meccanizzazione agricola".

La ritorsione dell'Ue, secondo un primo studio elaborato da Coldiretti/Ixé sull'impatto per l'Italia delle contromisure ipotizzate dalla Commissione europea da varare in consultazione con gli Stati membri, colpisce con l'aumento dei dazi 328 milioni di euro di importazioni statunitensi annuali in Italia, che riguardano principalmente manufatti in ferro, acciaio e ghisa per 235,3 milioni, barche a vela e a motore da diporto per 31,6 milioni e l’agroalimentare per 29,6 milioni.
 

La Russia

Coldiretti chiede che, a livello europeo, venga ripensato dopo quattro anni il quadro delle sanzioni economiche decise nei confronti della Russia. L'Ue, secondo Palazzo Rospigliosi, non può sopportare il moltiplicarsi dei fronti di scontro commerciale. In seguito all'embargo russo, sancito nell'agosto 2014 e più volte rinnovato, sono state completamente azzerate le esportazioni made in Italy, nel 2017 risultate di poco inferiori a 8 miliardi, circa 3 miliardi in meno del 2013, l'anno precedente all'introduzione delle sanzioni.

Un blocco che è costato caro all'Italia, informa la Coldiretti, anche perché al divieto di accesso a questi prodotti si sono aggiunte le tensioni commerciali che hanno ostacolato di fatto le esportazioni anche per i prodotti non colpiti direttamente. Alle perdite dirette subite dalle mancate esportazioni italiane in Russia si sommano poi quelle indirette dovute al danno di immagine e di mercato provocato dalla diffusione sul mercato russo di prodotti di imitazione che non hanno nulla a che fare con il made in Italy.