Meno soldi per gli agricoltori. Più che una sensazione, sembra una certezza. E riguarderà la prossima Pac, quella compresa tra il 2021 e il 2027, ammesso che rimanga la cadenza settennale delle Politiche agricole comunitarie. Un pit-stop sembra ci sarà con il prossimo 1° gennaio, limitato a poche correzioni di natura tecnica.
Fino alla fine di marzo i parlamentari europei potranno proporre emendamenti al cosiddetto Regolamento Omnibus, di cui il vicepresidente della Commissione Agricoltura del Pe, Paolo De Castro, è relatore per gli aspetti agricoli insieme al collega Albert Dess.

Pac: le modifiche possibili dal 2018
Eventuali modifiche potrebbero riguardare la definizione di agricoltore attivo, la cui futura applicazione, qualora diventasse facoltativa, riaprirebbe numerose incognite, compreso l'accesso ai fondi comunitari per il settore primario di nuovo a campi da golf, aeroporti e affini.
Potrebbe inoltre essere abolito il tetto massimo di 90 ettari per gli aiuti ai giovani agricoltori al primo insediamento.
Lo strumento di stabilizzazione del reddito si dovrebbe applicare qualora il calo dovesse superare il 20% (con un miglioramento rispetto all'attuale 30%) del reddito medio annuo dell'imprenditore agricolo nei tre anni precedenti.

In caso invece di crisi di mercato legate a sovrapproduzioni, è previsto che si possano concedere aiuti accoppiati garantendo lo stesso ammontare percepito nell'anno precedente, anche in caso di riduzione delle produzioni. Si tratta di questioni sulle quali il dibattito è appena iniziato e sarà senz’altro corroborato dalle opinioni che emergeranno dalla consultazione pubblica online sulla modernizzazione e la semplificazione della Pac, lanciata dalla Commissione europea nei giorni scorsi.

Verso il taglio dei sussidi, causa Brexit
Quello che invece sembra essere ineluttabile è il taglio dei sussidi, come conseguenza della Brexit. Lo ha anticipato lo stesso commissario all'Agricoltura, Phil Hogan, nel corso di un colloquio con il settimanale tedesco Der Spiegel. La Brexit, infatti, costerà al bilancio del settore agricolo 3 miliardi di euro l'anno. Innegabile che senza più il Regno Unito si dovranno stringere i cordoni della borsa.

Le posizioni agricole: Dbv (Germania)
Il presidente del sindacato agricolo tedesco (Dbv), Joachim Rukwied, non ha nascosto che gli agricoltori in Germania sono "molto preoccupati" per il divario economico che si verrà a creare nei finanziamenti della Pac dopo la Brexit. Il sindacato agricolo tedesco sollecita una presa di coscienza e, non ultima, una riflessione per difendere il futuro della Politica agricola comune e, come naturale conseguenza, la necessità che i singoli Stati membri siano chiamati a dover contribuire di più nel bilancio europeo.

Nfu (Uk)
Dall'altra parte (quasi) della barricata, c'è preoccupazione per le sorti del comparto anche nel Regno Unito. Lo ammette, parlando al Farmers Guardian, Meurig Raymond, numero uno del sindacato degli agricoltori britannici (Nfu).

"Non c'è dubbio che i nostri colleghi europei si aspettano una riduzione del budget", ha esordito. "Stanno affrontando una sfida come la nostra e le argomentazioni sono sostanzialmente analoghe - ha proseguito Raymond - e quanto succederà rafforzerà il nostro messaggio al governo britannico sul fatto che non dovremo essere svantaggiati rispetto ai nostri colleghi agricoltori europei".

Macra na Feirme (Irlanda)
Anche i giovani agricoltori irlandesi si mostrano preoccupati per l'esito della Brexit. "Con l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea i giovani che vivono nelle aree rurali dell'Irlanda saranno più svantaggiati rispetto ai loro coetanei che vivono nelle aree urbane, e le loro necessità dovranno essere prese in considerazione", ha dichiarato Sean Finan, presidente dell'organizzazione Macra na Feirme, i giovani agricoltori irlandesi.
Svantaggi che potrebbero tradursi addirittura in minori capacità di istruzione e di accesso al college, rispetto ai coetanei che vivono nelle città.

Copa-Cogeca
A difendere il budget europeo è intervenuto anche il Copa-Cogeca, il cui segretario generale, Pekka Pesonen, ha rimarcato: "Crediamo che la Pac, che finora ha funzionato abbastanza bene, esprima un ottimo rapporto qualità-prezzo. Costa meno dell'1% del totale della spesa pubblica dell'Ue e in cambio fornisce alimenti sostenibili per 500 milioni di consumatori, garantendo allo stesso tempo la crescita e l'occupazione nelle zone rurali, la biodiversità e innumerevoli benefici per l'ambiente".

Slow food
Dall'Italia si leva la voce di Slow food che raccomanda di rimettere in discussione paradigmi obsoleti. "Negli ultimi vent'anni la Politica agricola comune ha attraversato ben cinque processi di riforma, ma questo non ha impedito che, in Italia soltanto dal 2003 al 2013, un'azienda agricola su quattro chiudesse i battenti. Segno che le risposte della politica sono state deboli, nonché incapaci di uscire dagli schemi della crisi", ha scritto Gaetano Pascale su La Stampa di Torino, nella rubrica dedicata al movimento della chiocciola.

"Più che una politica agricola in senso stretto - ha raccomandato - all'Europa serve una politica alimentare capace di rimettere in discussione i paradigmi obsoleti. Anche attraverso una Pac che ampli i suoi orizzonti e promuova sistemi agroecologici virtuosi, anziché incentivare l'uso della chimica e lo sfruttamento intensivo dei terreni".