Le conoscenze scientifiche e tecniche per raggiungere l'obiettivo fame zero ci sono, ma per raggiungere questo traguardo è indispensabile un coraggioso impegno di tutti, volto ad affermare anche una forte volontà politica. Sono queste le conclusioni emerse dal Geoprogress Global Forum, la due giorni organizzata dall’associazione no profit Geoprogress che si è tenuta qualche giorno fa a Torino.

Accademici, esperti e istituzioni internazionali, come la Fao, l'Ifad e l’associazione delle Ong (Focsiv), hanno affrontato temi relativi alla geografia e alla sicurezza alimentare: circa ottocento milioni di persone soffrono ancora la fame nel mondo, il fenomeno coinvolge un individuo su nove e il 13% della popolazione complessiva. 

Sono apparsi ottimisti circa il raggiungimento dell'obiettivo fame zero i rappresentanti delle agenzie delle Nazioni Unite: ritengono si possa sostanzialmente arrivare a questo risultato con un aumento dei loro aiuti a sostegno delle popolazioni più povere che consentano di aumentarne i redditi e la produzione dell'agricoltura contadina, dei piccoli possessori e proprietari di terre, nelle cui regioni vivono attualmente ben 2,5 miliardi di persone.

Il punto di vista comune del professor Francesco Adamo, professore emerito di Geografia economica e presidente di Geoprogress Onlus, e della professoressa Maria Sassi, della Facoltà di Economia e gestione del sistema agroindustriale all’Università di Pavia, è che “oltre agli aiuti sia essenziale al tempo stesso una politica macroeconomica, a livello nazionale e internazionale, che fondandosi su una visione sistemica del territorio e della questione della fame, integri le politiche dell'agricoltura e quella sociale di sostegno dei redditi dei poveri con altre politiche. Da quelle dell'energia e dell'ambiente naturale, alle politiche finanziarie e monetarie, di regolazione del commercio e del mercato mondiale, con particolare riguardo agli strumenti antimonopolistici e più in generale alla regolazione del comportamento delle poche imprese che controllano i principali mercati di prodotti agricoli e per l'agricoltura (sementi, fertilizzanti)”.

Per uscire da questa emergenza è fondamentale il ruolo dell'agricoltura, attraverso lo sviluppo e la diffusione di innovazioni che consentano di aumentare le rese agrarie delle colture alimentari di gran parte dei Paesi sottosviluppati, bloccare l'espansione di produzioni di biocarburanti a scapito di colture alimentari, ridurre l’inquinamento ambientale e gli input chimici, garantire la qualità e la salubrità dei cibi. Nel convegno sono stati presentati dati che vedono diminuire l'indice di sottoalimentazione nel mondo, ovvero il numero dei sottoalimentati in rapporto alla popolazione, che da circa 19 sottoalimentati ogni 100 persone del 1990/92 è sceso a poco più del 10% circa, a livello mondiale, restando però ancora superiore al 30% nell'Africa sub-sahariana. Dal momento che  la popolazione continua a crescere e si prevede raggiungerà nel 2050 oltre nove miliardi di persone, l'obiettivo di riduzione a zero il numero degli affamati rende necessario entro quella data una crescita dell’agricoltura del 50%.

Per superare le attuali contraddizioni della globalizzazione si è parlato di uno scenario geopolitico multicentrico quale soluzione possibile se i Paesi capitalistici avanzati troveranno il modo di ridurre la propria dipendenza dagli Stati Uniti. Ipotesi caldeggiata da grandi realtà come la Cina, la Russia e l’India. Sul fronte specifico della guerra alla povertà, sono state citate inoltre alcune iniziative positive riprese di recente dall’Unione europea a favore dei Pma, Paesi meno avanzati, come quelli dell'Africa Sub-Sahariana dove la povertà, contrariamente alla media mondiale, si è aggravata: l'Accordo di Cotonou del 23 giugno 2000 con gli Stati Acp, Africa-Caraibi-Pacifico, la decisione di liberalizzare tutte le importazioni provenienti dai Pma (salvo le armi) e le posizioni assunte per la III Conferenza delle Nazioni Unite sui Pma (Commission européenne, 2001).

Il professor Adamo ha infine precisato: “E' soprattutto a causa dei debiti e di problemi interni, e non per l'apertura dei mercati, se il numero dei poveri è aumentato nell'Africa Sub-Sahariana e persino in economie più avanzate dove si aggiunge la disoccupazione connessa alla diffusione di tecnologie labour-saving. E' questo ad esempio il caso del Brasile e ancor più dell'Argentina, che ha strettamente seguito l'ortodossia economica voluta dal Fondo monetario internazionale e oggi non solo è di nuovo nei guai, ma ha ben il 40% della popolazione al di sotto della soglia della povertà e addirittura alla fame”.